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Motta, la voce di un'anima inquieta ma sincera: "Noi trentenni condividevamo la solitudine, oggi i ragazzi sono soli e basta"

di GIOVANNI BALLERINI -
29 aprile 2022
Motta cover dx

Motta cover dx

È un personaggio particolare Francesco Motta. Il cantautore, polistrumentista e compositore di colonne sonore nato nel 1986 a Pisa da genitori livornesi è uno dei principali artefici dello storytelling indie in Italia. Tre album belli all’attivo ('La Fine dei vent’anni’, 'Vivere o morire’ e 'Semplice’), oltre alla produzione con la sua vecchia band i Criminal Jokers, fotografano un’anima inquieta, ma sincera, un trentenne che vive la musica come un’esigenza espressiva da vivere con slancio. Lo incontriamo alla fine del tour primaverile (che si è concluso al Viper di Firenze il 28 aprile) per parlare del suo presente e del suo futuro. “Sono felice di come è andato questo tour: Ci siamo tolti lo sfizio di fare un concerto come non facevamo da tanto tempo, ritrovando quella dimensione che a me piace di più – dice Motta -. La tournée dell’estate scorsa è stata emozionante, ci ha fatto stringere i denti, ma stavolta sembra che siamo ripartiti davvero. Suonando nei posti che ho sempre vissuto come casa mia".

  Lo sa che con il disco 'La fine dei venti anni' è diventato un punto di riferimento per la sua generazione? "Una generazione diversa, quelli dai trent’anni in su. Più ho cercato di scavare, più ho messo sul tavolo le mie fragilità, le mie cose personali, più la gente, si è immedesimata nel mio modo di fare musica. È stata una grande scoperta per me, anche perché quando ho scritto quello che era il mio disco d’esordio da solista non c’era nessun tipo di pressione o aspettativa. Questo mi ha permesso di raccontarmi fino in fondo". In sintonia con le aspirazioni di tanti trentenni? "Anche la mia generazione ha patito la solitudine, ma un tempo tutto sfociava in un maggiore senso di comunità. Oggi quello che mi spaventa di più è la mancanza di solitudine condivisa, come è successo negli ultimi due anni ai ragazzi più giovani".

Francesco Motta, 35 anni, nato a Pisa da genitori livornesi, ha tre album all'attivo: 'La Fine dei vent’anni’, 'Vivere o morire’ e 'Semplice’ (Foto di Guido Gazzilli)

Lei comunque continua a fare canzoni d’amore? "Anche una canzone d’amore può essere politica. Una volta in cui il tuo messaggio è chiaro e si capisce bene da che parte stai, è come prendere una posizione". Ha mai parlato apertamente di problemi sociali, di genere? "Ho sempre cercato di andare oltre nei miei pezzi. Mi è capitato di parlare di un transgender o degli sbarchi a Lampedusa senza esplicitarlo. Quello che deve fare un cantautore non è mettere sotto forma di articolo di giornale le cose. Sono linguaggi diversi. Bisogna arrivare un po’ più in là. Quando sono riuscito a farlo è stato faticoso perché non volevo che le cose fossero troppo chiare. Non per marcare una mancanza di responsabilità, ma al contrario per fotografare gli stati d’animo". Come è la vita vista dalla costa toscana? "Bella. Pisa è la città dove ho vissuto di più e quando mi sono trasferito a Roma mi sono portato dietro un po’ di sano provincialismo, che fondamentalmente nelle grandi città manca. Penso che la verità stia nel mezzo. Nella provincia, anche dal punto di vista della collaborazione con altre band, con altri musicisti, o ti odi o diventi un fratello. È molto drastica e spietata la provincia, ma mi ha insegnato tantissimo".

Francesco Motta è cresciuto e ha vissuto la maggior parte della sua vita a Pisa: "La provincia è molto drastica e spietata, ma mi ha insegnato tantissimo" (Foto di Claudia Pajewski)

È mai stato bullizzato, ha avuto qualche difficoltà in provincia o è stato sempre sulla cresta dell’onda? "Non ho subito bullismo e qualche schiaffo in più me lo sarei anche meritato. Ma, come tanti da adolescente non riuscivo a trovare il mio posto nel mondo. La fortuna è stata imbattermi in altre due persone che si sentivano come me. In quei casi o ti disperi insieme o metti su una band. Così abbiamo creato i Criminal Jokers". Ma poi lei, come Jack Frusciante, ha lasciato la band? "In realtà non l’ho fatto, sono gli altri due che mi hanno consigliato di fare un disco solista. Non so se è stato per amore o perché non mi sopportavano più. In ogni caso non c’è mai stato un momento ufficiale in cui abbiamo detto di smettere di suonare insieme. Tutti quelli che sono passati da quel gruppo continuano a fare i musicisti e spesso infatti capita di ritrovarsi sul palco assieme".

Il pubblico ha apprezzato molto l'album 'La Fine dei vent'anni'. Motta lo scrisse quando "non c'erano soldi e quindi l'unica cosa che mi rimaneva era essere sincero"

Si sente ancora un riferimento per la scena indie? "Quando ho fatto il mio primo album solista stava esplodendo il pop indie. Ci sono dei momenti storici in cui tutto va bene e la gente ha le antenne dritte, in altri anche dischi meravigliosi non vengono notati. Io ho avuto anche fortuna, ma per il disco 'La Fine dei vent’anni' non c’erano pressioni, non c’erano soldi e quindi l’unica cosa che mi rimaneva era essere sincero. La gente lo ha molto apprezzato". Col nuovo tour cambierà tutto per non cambiare niente? "Alcune condizioni sono cambiate col tempo. È chiaro che non sarò più lo stesso di prima perché sarebbe molto noioso non cambiare mai idea sulle cose, ma sarò ancora me stesso, cercherò sempre di essere sincero".