
intervista a Kasia Smutniak
"Essere donne è stato un vantaggio per noi. Perché ci sottovalutavano. Non pensavano che fossimo davvero capaci di fare un film…". E invece, il film l’hanno fatto. Kasia Smutniak e Marella Bombini lo hanno fatto. Con coraggio, rischiando di essere arrestate dalla polizia polacca, finendo con l’essere inseguite, nello stesso bosco livido dove vengono inseguiti i migranti, quelli che cercano di raggiungere l’Europa, un’idea di occidente, di salvezza.

Kasia Smutniak e Marella Bombini per l’uscita del documento-film MUR (Giuseppe Cabras/New Press Photo)
"Mur", il film di Smutniak e Bombini
Il loro film si chiama "Mur", il muro. Dopo essere stato presentato al Toronto Film festival e alla Festa del cinema di Roma, è stato presentato a Firenze, al Festival di cinema e donne. Un festival che, da 44 anni, non smette di raccontare storie di donne, storie narrate da donne. "In Polonia c’è un muro, il muro più lungo d’Europa, un progetto costosissimo, che chiude tutto il confine con la Bielorussia", dice Smutniak, che incontriamo a margine della proiezione del film. "E a quel muro non ti puoi neanche avvicinare: né come profugo, come migrante, né come giornalista, come reporter. Quel muro c’è, ma rimane invisibile", dice. Avete girato voi stesse, con quali mezzi? "Non potevamo portare luci, microfoni esterni, attrezzature pesanti. Dovevamo fare riprese veloci, rubate: abbiamo girato con un iPhone, con una telecamera con il fuoco automatico, perché più agile, più pronta. Molte immagini sono rubate, a volte abbiamo dovuto nasconderla. All’inizio del progetto avevamo due operatori, ma li abbiamo persi, perché sono dovuti andare a filmare la guerra in Ucraina. Ci siamo trovate da sole, e abbiamo fatto di necessità virtù: siamo state operatrici, registe e testimoni di quello che vedevamo". Che cosa è stato più difficile per lei, Kasia? "La mia paura più grande era quella di non riuscire a essere abbastanza forte psicologicamente, per reggere tutto quello che vedevo, e che sentivo".
Il docufilm è stato girato interamente dalle due donne, con mezzi di fortuna e spesso di nascosto (Giuseppe Cabras/New Press Photo)