L’Italia si divide tra chi guarda Sanremo, chi mente e chi lo snobba

Quando schierarsi va di moda, che sia per il calcio o la politica, non può essere diverso per il festival di Sanremo. Ecco, quindi, che le varie tipologie di pubblico si fanno sentire. E voi da che parte state?

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI -
10 febbraio 2024
Chi vede Sanremo e chi no (foto di archivio)

Chi vede Sanremo e chi no (foto di archivio)

Nel Paese in cui tutti, a ogni costo, devono avere un’opinione su tutto, anche il Festival di Sanremo si trasforma in una data rossa da cerchiare in calendario per dare fuoco alle polveri della polemica. Alla base della dialettica il solito “Io Sanremo? Ma ti pare!”. Un inganno della mente in cui, per decenni, è caduta anche un pezzo di classe politica - quella che la cultura pop l’ha sempre guardata con malcelato sospetto - e che oggi gioca la partita a parti pressoché invertite.

Osservare chi osserva Sanremo è un esercizio assai divertente, paradossalmente utile anche per capire la politica di casa nostra. Se fossimo in un altro contesto, sarebbe utile il classico disegnino. Proveremo comunque a fornirvi qualche elemento utile per intuire qualcosa in più.

74th Sanremo Music Festival
74th Sanremo Music Festival

Gli anticonformisti

Ci sono quelli che Sanremo non lo guardano davvero, che si rifiutano di conformarsi o che, molto più semplicemente, lo ritengono una inutile e dispendiosa spettacolarizzazione pagata (non è vero) con il denaro dei contribuenti. Una frangia che si divide a metà tra i radical-chic più radicali e i populisti convintissimi. Quelli al cospetto dei quali i più timidi hanno timore a esporsi e ad ammettere la colpa di aver premuto il tasto 1 la sera prima sul telecomando.

Ci sono poi quelli che prima Sanremo non lo guardavano e si curavano di farlo sapere al mondo ma che, a un certo punto del cammino, si sono resi conto che guardarlo - e commentarlo - sarebbe potuto essere un elemento utile ad accrescere il consenso nel loro gruppo sociale. Neofiti ma non troppo, si avvitano in ragionamenti social più o meno sofisticati su musica, parole, opere e omissioni. Talvolta criticano, sovente elogiano. In generale, ci sono e lo fanno sapere, con un occhio aperto e l’altro chiuso.

74th Sanremo Music Festival
74th Sanremo Music Festival

I festivalieri genuini

In questa compagine ci sono poi i festivalieri genuini, quelli che potremmo far ricadere a pieno titolo nella categoria “Paese reale”. Loro Sanremo lo amano, lo hanno sempre guardato e non comprendono le ragioni di chi, in qualche angolo recondito dello Stivale, si permette di sollevare anche la più piccola polemica. Per loro il Festival è un momento attesissimo, immancabile. Ascoltano le canzoni in gara, attendono gli ospiti, commentano abiti e acconciature. Credono fideisticamente in quello che vedono e si sentono parte di una grande famiglia.

I tifosi di circostanza

C’è poi una frangia che il Festival lo guarda come si guarda un torneo di tennis, un mondiale di calcio. Un approccio razionale ma non distaccato. Il loro coinvolgimento è pacato, moderato. Ci sono, si adeguano, comprendono che al sentiment sanremese non si può sfuggire e, con un sano pragmatismo, stanno al gioco e se lo fanno piacere senza neanche troppa fatica.

Alla luce di una platea così variegata, il Festival di Sanremo negli anni si è adeguato e ha imparato a portare sul palco temi sociali, questioni polarizzanti, spunti per notizie, post social, commenti su chat di WhatsApp e chiacchiere da ballatoio. Una serie infinita di ganci che amplificano il già di per sé abbastanza importante richiamo della manifestazione e contribuiscono non poco alla frammentazione e, talvolta, al cambio di casacca.

74th Sanremo Music Festival
74th Sanremo Music Festival

E l’industria discografica si mette in vetrina

Il punto è che, che piaccia o meno, Sanremo è la passerella “buona” di un’industria che merita molto più di una settimana di luci della ribalta e che, in questo frangente, deve poter contare sul supporto del Paese intero. Quello musicale è un settore fortemente in crisi come, del resto, lo è quello dell’arte in generale. Le risorse sono pochissime, la garanzia di un lavoro continuativo è rarefatta, gli ammortizzatori sono pressoché inesistenti.

Se a questo si somma l’innovazione tecnologica e l’avvento delle piattaforme streaming, appare semplicissimo comprendere il motivo per il quale sostenere Sanremo è un gesto rivoluzionario. Le artiste e gli artisti - e, con loro, le musiciste e i musicisti - vivono di musica. Una musica da cui adesso si guadagna da mangiare - per farla brutale - a colpi di streaming. Un meccanismo infernale che vede in vetta alle classifiche piccoli rapper sconosciutissimi ai più ma amati dai teen.

A Sanremo, invece, continua a trovare casa la buona musica, quella suonata e cantata come si deve, più o meno vecchio stile, quasi analogica. Un richiamo a quando le canzoni si ascoltavano attendendo di acquistare l’album e non passando di brano in brano su Spotify. Quell’industria, quelle lavoratrici e quei lavoratori, meritano tutto il successo di Sanremo possibile perché è anche dall’Ariston che passa il loro futuro.

A quei coraggiosi e pazzi artisti “che barcollano su tacchi che ballano” per dirla alla coppia De Gregori / Toffoli, che andiamo a cercare quando abbiamo bisogno di conforto, dobbiamo moltissimo.

E allora viva Sanremo, viva chi coraggiosamente continua a fare musica per vivere e viva pure chi Sanremo lo critica perché, si sappia, anche in questo caso il “purché se ne parli” è un buon viatico per il successo (di chi trionferà e non solo).