Monica Guerritore: "Donna e bella? Desti sospetto: i potenti del teatro non mi ascoltano mai"

di TITTI GIULIANI FOTI
16 aprile 2021
MonicaGuerritore2

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Un intenso ritratto di Monica Guerritore

Impetuosa e generosa, originale e tenace. Monica Guerritore  è un'attrice di quelle che lasciano il segno. Per la tempra, l'energia che le sgorga con naturalezza soprattutto in palcoscenico. Lasciata la strada intrapresa con Gabriele Lavia con cui formò una coppia sulla scena e nella vita, Monica ha impresso una nuova svolta alla carriera concentrando su di sé eroine epiche che bene  si integrano con questa seconda, esaltante fase della sua vita: da Giovanna D'Arco a Oriana Fallaci, passando per Judy Garland. Guerritore che bambina è stata? «Un ragazzaccio. Capelli corti e ginocchia sempre sbucciate. Guardavo le amichette con i capelli biondi , gli occhi azzurri e l'astuccio con le matite sempre in ordine e mi veniva una rabbia… dopo due giorni la mia cartella e il mio astuccio erano un disastro». Quando ha capito che sarebbe diventata attrice? «Ci sono voluti anni: mi piaceva il teatro, ma non è stato un salto e via. Sono incapace di arrendermi, e avverto se è il momento di rinunciare. Ho capito che sarei diventata attrice quando ho cominciato ad accorgermi della fatica e della difficoltà del mestiere,  ed ho cominciato a studiare». L'incontro che ha dato una svolta alla sua vita. «Con Giorgio Strehler. Si è assunto la responsabilità di dire a mia madre: me la lasci al Piccolo Teatro, questo è il suo mestiere. Avevo 16 anni e sarei rimasta da sola a Milano per provare il Giardino dei Ciliegi di Cechov. Mia madre si fidò subito: lei e Giorgio mi hanno regalato la mia vita vera». Nel lavoro, si è  mai sentita offesa come donna? «Direttamente, mai. Ma tutt'ora considero l’atteggiamento delle istituzioni che hanno a che fare con il teatro e l'arte drammatica, estremamente irriguardoso nei miei confronti. Dovrebbero essere a conoscenza che potrei avere cose interessanti da dire per il nostro settore. Ma sono donna e sono bella: due cose che ancora oggi destano sospetto». Cosa pensa dell’essere donna, oggi? «Quello che pensava la Fallaci: quando sei una donna devi combattere di più e devi vedere di più, pensare di più, ‘ essere’ di più. E’ questione di sopravvivenza. Ma io, come Oriana, non ho mai voluto scusarmi per lo spazio che occupavo. Ho fatto regie, scritto testi e libri, senza mai chiedere il permesso a nessuno». Le sue eroine, quanto le somigliano? «Non nelle storie, ma nelle motivazioni somigliano non solo a me, ma a  tutte noi. Ognuna porta in scena lesioni dell’intimo femminile: una frattura, una mancanza, una richiesta, una debolezza a cui la rappresentazione teatrale deve porre riparo». La sua  declinazione dell’essere donna, tra teatro e cinema ? «Nessuna differenza rispetto a un maschio. Immagino le cose nella mente, poi cerco di metterle in forma poetica, esattamente come farebbe un maschio». Si discute delle qualifiche al femminile,  sindaca, assessora: che pensa? «Non mi piace per niente. Considero questi termini ‘funzioni’ non ‘identità’. Ci sono qualifiche al femminile che mi fanno pensare a donne che svolgono servizi. Certe parole al  maschile suonano meglio, perché non si riallacciano ad una tradizione immaginaria collettiva di belle presenze sottomesse e funzionali». Che studentessa è stata? «Curiosissima nelle materie scientifiche». Nostalgica o volta-pagina? «Nostalgica: è un buon riparo per noi, nature solitarie» Tratto principale del carattere? «Il coraggio». Cosa apprezza di un uomo? «La serietà, la solidità , la forza». E in  una donna? «La simpatia, l'accoglienza, l’apertura». Madre di due figlie: come si impara a fare la mamma? «Forse dalla propria madre. Io sono stata fortunata,  ho avuto liti violente durante l'adolescenza con mia madre ma il suo essere madre mi accompagna da sempre. E’ stata forte e leggera allo stesso tempo e io lo sono stata con le mie figlie». Cosa ha insegnato loro? «Ho cercato di insegnare che ogni caso richiede lavoro e applicazione. Che gli altri provano sentimenti e che bisogna mettersi nei panni degli altri, sempre». L'amicizia è? «Affinità elettiva». Un difetto? «Sono impulsiva». Felicità è? «Essere riuscita, anche solo per un attimo, a trasportare il pubblico con me in un altrove magico e irripetibile».