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Home » Sport » Baseball, la squadra di Cleveland cambia nome: da “Indians” a “Guardians” nel rispetto dei nativi americani

Baseball, la squadra di Cleveland cambia nome: da “Indians” a “Guardians” nel rispetto dei nativi americani

La società di Baseball cambia nome dopo più di 100 anni. La reazione di Trump: "È una disgrazia, un vergogna, alla fine la gente non ne potrà più"

Francesco Lommi
29 Luglio 2021
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I tempi corrono e la nostra sensibilità viaggia di pari passo. La crescente coscienza collettiva in continuo sviluppo relativamente a determinati argomenti (una volta completamente ignorati) costringe aziende e società a profondi cambiamenti per abbracciare le nuove tendenze.

Ultimo in ordine di tempo, il terremoto arrivato a Cleveland: i campioni della squadra professionistica di baseball cambiano nome e, dopo oltre cento anni, non si chiameranno più Indians, il controverso nickname considerato da molti razzista e un insulto per i nativi americani. La comunicazione è stata fatta tramite un video sul web, in cui la società spiega di “guardare al futuro”. Il vecchio nome, Indians, appariva sulle maglie da gioco dal 1915.

Apriti cielo: nemmeno il tempo di dare l’annuncio che dal prossimo anno i fan dovranno tifare Guardians che l’invettiva di Donald Trump si è abbattuta sui responsabili della squadra, sulla Major League e sulla sinistra radicale, accusata di voler cancellare la storia dell’America.
Poi, con Joe Biden, neanche a dirlo, si apre l’ennesimo match a distanza, con la portavoce della Casa Bianca che fa sapere come il presidente in carica sostenga invece a pieno la scelta di Cleveland di cambiare il nome. Proprio come lo scorso anno fece Washington con la sua squadra di football americano, rinunciando allo storico appellativo di Redskins (pellerossa) e scatenando polemiche a non finire. La questione dell’appropriazione culturale indebita dunque, così come quella della guerra alle statue degli eroi americani accusati di razzismo e schiavismo, torna al centro del confronto politico, candidandosi a diventare tema di scontro in vista delle elezioni di metà mandato del 2022.

La decisione di Cleveland era già nell’aria da tempo, da quando nel 2018 gli ormai ex Indians rinunciarono al logo e alla loro mascotte, quel Chief Wahoo rappresentato dalla caricatura di un pellerossa e ritenuto da molti nativi gravemente offensivo. Poi quanto accaduto dopo l’uccisione di George Floyd nel maggio del 2020 e l’affermarsi nell’opinione pubblica delle istanze portate avanti da movimenti come Black Lives Matter hanno fatto il resto, portando alla svolta epocale del cambio di quel nome con cui la squadra si identificava e con cui ha giocato quasi 20 mila partite della Major League. “Posso assicurare che la gente più arrabbiata sono proprio gli indiani del nostro Paese, per loro avere una squadra col loro nome era un onore”, tuona Trump, accusando “un piccolo gruppo di persone di avere avuto un’idea folle volta a distruggere la nostra cultura e la nostra eredità”.

Ma l’offensiva contro l’appropriazione culturale indebita dilaga anche al di fuori dello sport. “Non ci onora avere il nostro nome attaccato sulla targa di un’automobile”, ha attaccato tempo fa il gran capo dei Cherokee, nel chiedere ai vertici di Stellantis di togliere il nome della propria nazione al modello da sempre più venduto del marchio Jeep. Tante poi le aziende americane costrette negli ultimi anni a modificare il logo di alcuni loro prodotti iconici. È accaduto per lo sciroppo e i pancake di Old Aunt Jemina o per il riso Uncles Ben’s, due popolarissimi marchi le cui confezioni raffiguravano uno stereotipo considerato razzista di personaggi afroamericani immaginari.

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  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
  • Paese che vai inquinamento che trovi. O, se volete, un mal comune che non diventa affatto un mezzo gaudio. Secondo uno studio pubblicato su “The Lancet Planetary Health”, primo autore il professore Yuming Guo, sono infatti a appena 8 milioni le persone che possono dire di respirare aria pulita: lo 0,001% della popolazione mondiale, che vive su una percentuale irrisoria del globo terraqueo, lo 0,18%.

Per i rimanenti 7 miliardi e passa la situazione è grama, se non critica, con la concentrazione annuale di polveri sottili che è costantemente al di sopra della soglia di sicurezza indicata dall’Oms, Organizzazione mondiale della sanità (PM2.5 inferiori a 5 µg/m3), un limite oltre il quale il rischio per la salute diventa considerevole. E come se non bastasse la concentrazione media giornaliera globale è di 32,8 µg/m3, più del doppio della soglia Oms.

Lo studio pubblicato su “Lancet” è il primo al mondo ad aver ricostruito i valori giornalieri di polveri sottili, ovvero smog, su tutto il Pianeta, attraverso un metodo complesso e multifattoriale che ha permesso di ottenere dei valori anche nelle regioni non monitorate, grazie a un mix fatto di osservazioni tradizionali di monitoraggio della qualità dell’aria, rilevatori meteorologici e di inquinamento atmosferico via satellite, metodi statistici e di apprendimento automatico (machine learning).

Dati allarmanti, dunque. Per quanto qualche segnale di miglioramento comincia a intravvedersi, con il totale dei giorni con concentrazioni eccessive che sta diminuendo nel complesso. I dati degli ultimi 20 anni rivelano delle tendenze positive in Europa e Nord America, dove l’inquinamento da PM2.5 è sceso, ma non in Asia meridionale, Australia e Nuova Zelanda, America Latina e Caraibi, dove il trend è invece di crescita. Le concentrazioni più elevate di PM2.5 sono state rilevate nelle regioni dell’Asia orientale (50 µg/m3) e meridionale (37,2 µg/m3), seguite dall’Africa settentrionale (30,1 µg/m3). Poco da gioire, dunque e molto da lavorare.

#lucenews #inquinamento
  • L’arrivo della bella stagione ha il sapore del gelato 🍦

Golosi ma di qualità. È il rapporto degli italiani con il gelato artigianale secondo un’indagine di Glovo. Piattaforma di consegne, e Gusto17, brand gourmet, in vista del Gelato Day del prossimo 24 marzo.

Nel 2022 solo sull’app di Glovo gli italiani hanno ordinato più di 2 milioni di gelati, il 16% in più rispetto al 2021, con una media di 5.500 gelati al giorno, principalmente dalle gelaterie di quartiere, facendo aumentare le vendite del 138% per i piccoli esercenti. In particolare, il picco di ordini si registra alle 21.

Tra i gusti più amati dagli italiani ci sono: crema, pistacchio, nocciola e Nutella. Questa la Top 10 delle città più golose di gelato: Roma, Milano, Torino, Palermo, Napoli, Firenze, Catania, Bologna, Bari e Verona.

🍨E voi, amanti del gelato, qual è il vostro gusto preferito? 

📸 Credits: @netflixit 

#lucenews #lucelanazione #gelatoday
  • 🗣«Persi undici chili in poco tempo. Per cercare di rialzarmi iniziai un percorso con uno psicologo, ma ho capito presto qual era il motivo per cui ero caduta dentro quel tunnel. E ho iniziato presto a lavorare su di me, da sola.

Nel 2014 avevo ripreso ad allenarmi da pochissimo tempo, quando ho incontrato una donna, Luana Angeletti. Ho scoperto dopo che era la mamma di un amico, ma la cosa importante è quello che lei mi disse quella volta.

Che avevo una struttura fisica adatta a competere nella categoria bikini, nel body-building. Mi è scattato dentro qualcosa, ho iniziato a lavorare perché volevo migliorare e finalmente farmi vedere dagli altri, dopo che per otto anni non ero andata neanche al mare perché mi vergognavo del mio fisico e della mia scoliosi. Grazie a Luana sono passata dal nascondermi allo stare su un palco guardata da tante persone. È stata decisiva.

Imparate a volervi bene, e se non ci riuscite con le vostre forze, non abbiate paura di farvi aiutare e seguire da altri. È importantissimo».

Dai disturbi alimentari al body building, l
I tempi corrono e la nostra sensibilità viaggia di pari passo. La crescente coscienza collettiva in continuo sviluppo relativamente a determinati argomenti (una volta completamente ignorati) costringe aziende e società a profondi cambiamenti per abbracciare le nuove tendenze. Ultimo in ordine di tempo, il terremoto arrivato a Cleveland: i campioni della squadra professionistica di baseball cambiano nome e, dopo oltre cento anni, non si chiameranno più Indians, il controverso nickname considerato da molti razzista e un insulto per i nativi americani. La comunicazione è stata fatta tramite un video sul web, in cui la società spiega di “guardare al futuro”. Il vecchio nome, Indians, appariva sulle maglie da gioco dal 1915. Apriti cielo: nemmeno il tempo di dare l'annuncio che dal prossimo anno i fan dovranno tifare Guardians che l’invettiva di Donald Trump si è abbattuta sui responsabili della squadra, sulla Major League e sulla sinistra radicale, accusata di voler cancellare la storia dell'America. Poi, con Joe Biden, neanche a dirlo, si apre l'ennesimo match a distanza, con la portavoce della Casa Bianca che fa sapere come il presidente in carica sostenga invece a pieno la scelta di Cleveland di cambiare il nome. Proprio come lo scorso anno fece Washington con la sua squadra di football americano, rinunciando allo storico appellativo di Redskins (pellerossa) e scatenando polemiche a non finire. La questione dell'appropriazione culturale indebita dunque, così come quella della guerra alle statue degli eroi americani accusati di razzismo e schiavismo, torna al centro del confronto politico, candidandosi a diventare tema di scontro in vista delle elezioni di metà mandato del 2022. La decisione di Cleveland era già nell'aria da tempo, da quando nel 2018 gli ormai ex Indians rinunciarono al logo e alla loro mascotte, quel Chief Wahoo rappresentato dalla caricatura di un pellerossa e ritenuto da molti nativi gravemente offensivo. Poi quanto accaduto dopo l'uccisione di George Floyd nel maggio del 2020 e l'affermarsi nell'opinione pubblica delle istanze portate avanti da movimenti come Black Lives Matter hanno fatto il resto, portando alla svolta epocale del cambio di quel nome con cui la squadra si identificava e con cui ha giocato quasi 20 mila partite della Major League. "Posso assicurare che la gente più arrabbiata sono proprio gli indiani del nostro Paese, per loro avere una squadra col loro nome era un onore", tuona Trump, accusando "un piccolo gruppo di persone di avere avuto un'idea folle volta a distruggere la nostra cultura e la nostra eredità". Ma l'offensiva contro l'appropriazione culturale indebita dilaga anche al di fuori dello sport. "Non ci onora avere il nostro nome attaccato sulla targa di un'automobile", ha attaccato tempo fa il gran capo dei Cherokee, nel chiedere ai vertici di Stellantis di togliere il nome della propria nazione al modello da sempre più venduto del marchio Jeep. Tante poi le aziende americane costrette negli ultimi anni a modificare il logo di alcuni loro prodotti iconici. È accaduto per lo sciroppo e i pancake di Old Aunt Jemina o per il riso Uncles Ben's, due popolarissimi marchi le cui confezioni raffiguravano uno stereotipo considerato razzista di personaggi afroamericani immaginari.
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