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Home » Sport » Nuove regole del Cio per i transgender: la scelta alle Federazioni. Un passo indietro dei diritti civili a favore dell’equità sportiva?

Nuove regole del Cio per i transgender: la scelta alle Federazioni. Un passo indietro dei diritti civili a favore dell’equità sportiva?

Da Caster Semenya, probabilmente la più famosa, a Laurel Hubbard, dalla nostra Valentina Petrillo a Christine Mboma. Queste e tante altre atlete e atleti transgender che saranno sottoposti al decalogo appena pubblicato dal Comitato olimpico internazionale, che demanda la responsabilità sulla loro ammissione alle gare alle singole Federazioni

Doriano Rabotti
18 Novembre 2021
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Un passo indietro che rischia di generare soltanto altro caos, in una situazione già confusa: parliamo degli atleti transgender, per i quali il Comitato Olimpico mondiale sta varando un regolamento che, nei fatti, sottolinea valori importanti come quelli dei diritti civili e dell’inclusione, ma rende ancora più complicato decidere se un risultato è giusto o se c’è una disparità di condizioni competitive. Tanto che viene da chiedersi se ha vinto Caster Semenya, simbolo della lotta delle atlete sospettate di iperandroginia, se hanno vinto i diritti civili, nel caso specifico quelli degli atleti transgender, o se ha perso la scienza?
La domanda resterà sospesa nell’aria, appesa a un grande punto interrogativo che esce dall’ambiente delle piste di atletica e dei campi di calcio o volley, dalle pedane di sollevamento pesi, e diventa un po’ più globale. Perché l’impressione è che nemmeno la scienza sia riuscita a dare una risposta certa su un tema così dibattuto.

Caster Semenya  (ANSA/AP Photo)

Sul piano morale e dei diritti, il problema non si pone neanche: è chiaro che chi è nato in un corpo che non sente suo e per questo motivo, spesso dopo anni di grandi sofferenze interiori, ha deciso di cambiare sesso, abbia il diritto di non sentirsi discriminato. Ma come si fa a capire se in nome dell’uguaglianza viene rispettato un concetto fondamentale non solo dello sport, ovvero quello della parità competitiva? Il problema si pone per gli sport di forza e resistenza, e solo per gli uomini che decidono di cambiare sesso: sono avvantaggiati rispetto alle concorrenti donne?
Nel 2009, sulle piste d’atletica, fu la nostra Elisa Cusma a mettere in discussione il genere di Caster Semenya, che l’aveva battuta: “Per me quello è un uomo”, disse. In pratica è partita da lì l’attenzione dello sport mondiale su questo tema. In dodici anni, per fortuna, cultura e mentalità sono cresciute insieme a un dibattito che però è ancora ben lontano dall’essere concluso. Ma le ragioni dello sport possono essere considerate più grandi di quelle della vita?

È proprio partendo da questo principio, dall’equità di genere e dall’inclusione, che il Comitato Olimpico mondiale ha varato le nuove regole per le gare del futuro. Ci ha messo due anni, sentendo il parere di 250 soggetti interessati, prima di stilare un decalogo che all’atto pratico è un passo indietro, perché consegna alle federazioni di ogni sport e nazione la responsabilità di decidere se un atleta possa avere un “vantaggio sproporzionato rispetto ai suoi pari”.

Laurel Hubbard (EPA/MIKE NELSON)

Come stabilirlo, non si sa. Fino ad ora, l’unico strumento di valutazione oggettivo che era stato individuato dagli scienziati era il livello di testosterone: superato un certo punto, non potevi gareggiare contro le donne. Questo non era bastato a evitare la gogna del sospetto alle due atlete namibiane Christine Mboma e Beatrice Masilingi, alle quali fu impedito di gareggiare nei 400 metri a Tokyo per ‘iperandroginia’. Ma il testosterone andava bene per fare negli stessi Giochi i 200, nei quali la Mboma ha vinto l’argento.

Problema rimosso: il valore del testosterone non sarà più una discriminante, il Cio suggerisce di valutare caso per caso (nel tiro a volo, per esempio, la differenza di genere è ininfluente), tenendo in considerazione anche “aspetti etici, sociali, culturali e legali”. A Tokyo, per la cronaca, la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, nata come Gavin, gareggiò senza classificarsi, ma già esserci fu una vittoria (ne abbiamo parlato qui e qui). E nel corso degli anni sono stati tanti i casi famosi: dal decatleta americano campione olimpico nel ‘76 diventato Caytlin durante un reality, alla nostra Valentina Petrillo, alla ciclista canadese campionessa del mondo Veronica Ivy.
Il documento del Cio conclude: “Non si dovrebbe presumere che le donne trans abbiano un vantaggio automatico rispetto alle altre donne”.
Scommettiamo che non è finita qui?

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  • Nino Gennaro cresce in un paese complesso, difficile, famigerato per essere stato il regno del boss Liggio, impegnandosi attivamente in politica; nel 1975 è infatti responsabile dell’organizzazione della prima Festa della Donna, figura tra gli animatori del circolo Placido Rizzotto, presto chiuso e, sempre più emarginato dalla collettività, si trova poi coinvolto direttamente nel caso di una sua amica, percossa dal padre perché lo frequentava e che sporse denuncia contro il genitore, fatto che ebbe grande risonanza sui media. Con lei si trasferì poi a Palermo e qui comincia la sua attività pubblica come scrittore; si tratta di una creatività onnivora, che si confronta in diretta con la cronaca, lasciando però spazio alla definizione di mitologie del corpo e del desiderio, in una dimensione che vuole comunque sempre essere civile, di testimonianza.

Nel 1980 a Palermo si avviano le attività del suo gruppo teatrale “Teatro Madre”, che sceglie una dimensione urbana, andando in scena nei luoghi più diversi e spesso con attori non professionisti (i testi si intitolano “Bocca viziosa”, “La faccia è erotica”, “Il tardo mafioso Impero”), all’inseguimento di un cortocircuito scena/vita. Già il logo della compagnia colpisce l’attenzione: un cuore trafitto da una svastica, che vuole alludere alla pesantezza dei legami familiari, delle tradizioni vissute come gabbia. Le sue attività si inscrivono, quindi, in uno dei periodi più complessi della storia della città siciliana, quando una sequenza di delitti efferati ne sconvolge la quotidianità e Gennaro non è mai venuto meno al suo impegno, fondando nel 1986 il Comitato Cittadino di Informazione e Partecipazione e legandosi al gruppo che gestiva il centro sociale San Saverio, dedicandosi quindi a numerosi progetti sociali fino alla morte per Aids nel 1995.

La sua drammaturgia si alimenta di una poetica del frammento, del remix, con brani che spesso vengono montati in modo diverso rispetto alla loro prima stesura.

Luca Scarlini ✍

#lucenews #lucelanazione #ninogennaro #queer
  • -6 a Sanremo 2023!

Questo Festival ha però un sapore dolceamaro per l
  • Era il 1° febbraio 1945, quando la lotta per la conquista di questo diritto, partita tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, sulla scorta dei movimenti degli altri Paesi europei, raggiunse il suo obiettivo. Con un decreto legislativo, il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi riconobbe il voto alle donne, su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. 

Durante la prima guerra mondiale le donne avevano sostituito al lavoro gli uomini che erano al fronte. La consapevolezza di aver assunto un ruolo ancora più centrale all’interno società oltre che della famiglia, crebbe e con essa la volontà di rivendicare i propri diritti. Già nel 1922 un deputato socialista, Emanuele Modigliani aveva presentato una proposta di legge per il diritto di voto femminile, che però non arrivò a essere discussa, per la Marcia su Roma. Mussolini ammise le donne al voto amministrativo nel 1924, ma per pura propaganda, poiché in seguito all’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime” tra il 1925 ed il 1926, le elezioni comunali vennero, di fatto, soppresse. Bisognerà aspettare la fine della guerra perché l’Italia affronti concretamente la questione.

Costituito il governo di liberazione nazionale, le donne si attivarono per entrare a far parte del corpo elettorale: la prima richiesta dell’ottobre 1944, venne avanzata dalla Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi), che si mobilitò per ottenere anche il diritto di eleggibilità (sancito da un successivo decreto datato 10 marzo 1946). Si arrivò così, dopo anni di battaglie per il suffragio universale, al primo febbraio 1945, data storica per l’Italia. Il decreto prevedeva la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili, ed escludeva però dal diritto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”.

Le elezioni dell’esordio furono le amministrative tra marzo e aprile del 1946 e l’affluenza femminile superò l’89%. 

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  • La regina del pulito Marie Kondo ha dichiarato di aver “un po’ rinunciato” a riordinare casa dopo la nascita del suo terzo figlio. La 38enne giapponese, considerata una "Dea dell’ordine", con i suoi best seller sull’economia domestica negli ultimi anni ha incitato e sostenuto gli sforzi dei comuni mortali di rimettere in sesto case e armadi all’insegna del cosa “provoca dentro una scintilla di gioia”. Ma l’esperta di decluttering, famosa in tutto il mondo, ha ammesso che con tre figli da accudire, la sua casa è oggi “disordinata”, ma ora il riordino non è più una priorità. 

Da quando è diventata madre di tre bambini, ha dichiarato che il suo stile di vita è cambiato e che la sua attenzione si è spostata dall’organizzazione alla ricerca di modi semplici per rendere felici le abitudini di tutti i giorni: "Fino a oggi sono stata una organizzatrice di professione e ho dunque fatto il mio meglio per tenere in ordine la mia casa tutto il tempo”, e anche se adesso “ci ho rinunciato, il modo in cui trascorro il mio tempo è quello giusto per me in questo momento, in questa fase della mia vita”.

✍ Marianna Grazi 

#lucenews #lucelanazione #mariekondo
Un passo indietro che rischia di generare soltanto altro caos, in una situazione già confusa: parliamo degli atleti transgender, per i quali il Comitato Olimpico mondiale sta varando un regolamento che, nei fatti, sottolinea valori importanti come quelli dei diritti civili e dell'inclusione, ma rende ancora più complicato decidere se un risultato è giusto o se c'è una disparità di condizioni competitive. Tanto che viene da chiedersi se ha vinto Caster Semenya, simbolo della lotta delle atlete sospettate di iperandroginia, se hanno vinto i diritti civili, nel caso specifico quelli degli atleti transgender, o se ha perso la scienza? La domanda resterà sospesa nell’aria, appesa a un grande punto interrogativo che esce dall’ambiente delle piste di atletica e dei campi di calcio o volley, dalle pedane di sollevamento pesi, e diventa un po' più globale. Perché l’impressione è che nemmeno la scienza sia riuscita a dare una risposta certa su un tema così dibattuto.
Caster Semenya  (ANSA/AP Photo)
Sul piano morale e dei diritti, il problema non si pone neanche: è chiaro che chi è nato in un corpo che non sente suo e per questo motivo, spesso dopo anni di grandi sofferenze interiori, ha deciso di cambiare sesso, abbia il diritto di non sentirsi discriminato. Ma come si fa a capire se in nome dell’uguaglianza viene rispettato un concetto fondamentale non solo dello sport, ovvero quello della parità competitiva? Il problema si pone per gli sport di forza e resistenza, e solo per gli uomini che decidono di cambiare sesso: sono avvantaggiati rispetto alle concorrenti donne? Nel 2009, sulle piste d’atletica, fu la nostra Elisa Cusma a mettere in discussione il genere di Caster Semenya, che l’aveva battuta: "Per me quello è un uomo", disse. In pratica è partita da lì l’attenzione dello sport mondiale su questo tema. In dodici anni, per fortuna, cultura e mentalità sono cresciute insieme a un dibattito che però è ancora ben lontano dall’essere concluso. Ma le ragioni dello sport possono essere considerate più grandi di quelle della vita? È proprio partendo da questo principio, dall'equità di genere e dall’inclusione, che il Comitato Olimpico mondiale ha varato le nuove regole per le gare del futuro. Ci ha messo due anni, sentendo il parere di 250 soggetti interessati, prima di stilare un decalogo che all’atto pratico è un passo indietro, perché consegna alle federazioni di ogni sport e nazione la responsabilità di decidere se un atleta possa avere un "vantaggio sproporzionato rispetto ai suoi pari".
Laurel Hubbard (EPA/MIKE NELSON)
Come stabilirlo, non si sa. Fino ad ora, l’unico strumento di valutazione oggettivo che era stato individuato dagli scienziati era il livello di testosterone: superato un certo punto, non potevi gareggiare contro le donne. Questo non era bastato a evitare la gogna del sospetto alle due atlete namibiane Christine Mboma e Beatrice Masilingi, alle quali fu impedito di gareggiare nei 400 metri a Tokyo per 'iperandroginia'. Ma il testosterone andava bene per fare negli stessi Giochi i 200, nei quali la Mboma ha vinto l’argento. Problema rimosso: il valore del testosterone non sarà più una discriminante, il Cio suggerisce di valutare caso per caso (nel tiro a volo, per esempio, la differenza di genere è ininfluente), tenendo in considerazione anche "aspetti etici, sociali, culturali e legali". A Tokyo, per la cronaca, la sollevatrice di pesi neozelandese Laurel Hubbard, nata come Gavin, gareggiò senza classificarsi, ma già esserci fu una vittoria (ne abbiamo parlato qui e qui). E nel corso degli anni sono stati tanti i casi famosi: dal decatleta americano campione olimpico nel ‘76 diventato Caytlin durante un reality, alla nostra Valentina Petrillo, alla ciclista canadese campionessa del mondo Veronica Ivy. Il documento del Cio conclude: "Non si dovrebbe presumere che le donne trans abbiano un vantaggio automatico rispetto alle altre donne". Scommettiamo che non è finita qui?
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