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Home » Sport » Un canestro per la libertà: otto ragazze di Chatila (Libano) sognano un futuro grazie al basket

Un canestro per la libertà: otto ragazze di Chatila (Libano) sognano un futuro grazie al basket

Hanno tra i 16 e i 20 anni, sono nate e vivono nel Campo profughi a Beirut: grazie alla polisportiva Real Palestine Youth F.C. hanno iniziato a praticare sport e, con l'aiuto di Basket Beats Borders, sono potute uscire dai confini del Libano. Ora vogliono conquistarsi un posto nel mondo

Domenico Guarino
19 Maggio 2021
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Il campo profughi di Chatila fu creato nel 1949 a Beirut, in Libano, per offrire rifugio a 3000 palestinesi in fuga dal loro paese e dalle violenze della guerra e dell’occupazione. Molte di loro non avrebbero mai più rivisto la loro terra. Col passare degli anni, anche a causa dell’alto numero di rifugiati in fuga dalla guerra in Siria, la popolazione del campo è cresciuta a dismisura, al punto che oggi Chatila è una cittadina di 25000 persone, letteralmente ammassate in un’area di appena un chilometro quadrato.

Nel Campo, dove le condizioni di vita sono malsane, spesso senza accesso all’acqua potabile e all’elettricità, sognare di uscire appare come un lusso che nessuno può permettersi. L’orizzonte della vita, soprattutto per una giovane donna, è spesso tragicamente angusto: matrimonio, famiglia e poco altro. In questo contesto otto ragazze tra i 16 e i 20 anni, nate e cresciute a Chatila, sono riuscite a conquistarsi  un proprio spazio di libertà giocando a basket. L’opportunità gliel’ha fornita la polisportiva Real Palestine Youth F.C. fondata da Coach Majdi, a sua volta rifugiato palestinese nato nel campo.

Basket Beats Borders (BBB) è un progetto italiano lanciato 5 anni fa a Roma e a Beirut, nell’intento di dare visibilità a questa bella storia, aiutando le ragazze ad uscire dal Campo, a fare nuove esperienze e a rendersi protagoniste, attraverso l’acquisizione di una consapevolezza personale e sociale, del proprio destino. In questi anni BBB ha organizzato 3 viaggi, 2 in Italia ed uno in Spagna, ed ha portato due volte squadre giovanili italiane e spagnole al campo di Chatila.

Responsabile del progetto è David Ruggini. “In un ambiente come quello di Chatila lo sport assume un ruolo fondamentale, aiutando gli adolescenti ad adottare uno stile di vita sano e positivo, fornendo loro gli strumenti necessari a prendere il controllo delle loro vite e incoraggiandoli ad analizzare con occhio critico le questioni sociali che li riguardano” dice.

 

Come nasce il progetto?

“L’idea di Basket Beats Borders è nata principalmente da un incontro che ho fatto con l’allenatore Coach Majdi durante il mio primo viaggio in Libano, nel 2016. Ho chiamato lui per visitare i campo di Chatila, e mi ha  fatto conoscere sia le squadre di calcio sia la squadra di basket femminile. Una sera, a cena, mi ha raccontato con emozione di quando erano riusciti ad organizzare un viaggio in Irlanda, e da lì è nata l’idea di provare a farlo anche in Italia. Ed eccoci qua”.

Cosa rappresenta per le ragazze della squadra questa esperienza, il fatto di poter uscire dal Campo, di confrontarsi con altri stili di vita, con altri mondi che difficilmente avrebbero potuto avvicinare?

“La possibilità di giocare a basket dà loro il modo di affermarsi prima all’interno della cerchia familiare ed amicale, e poi a livello più generale di società. Le aiuta a trovare un posto nel contesto dove vivono. Una cosa che mi colpisce sempre, quando vado al Campo, è che loro si allenano in un campetto pubblico e sono le uniche ragazze che lo fanno. Quando stanno giocando, intorno, ci sono campi di calcio e di basket dove gli atleti sono tutti uomini. Per loro dunque il fatto stesso di poter praticare uno sport equivale alla possibilità di riaffermare il proprio ruolo e la propria identità nel contesto in cui vivono. I viaggi aggiungono a questo la possibilità di vedere e conoscere qualcosa di diverso. Di entrare in contatto con realtà differenti, di avere rapporto con l’altro, scrutare nuovi orizzonti, sperimentare nuove connessioni e nuove conoscenze. Alla fine significa una cosa importantissima nella sua apparente semplicità: capire che oltre al Campo c’è una tutto un mondo da conoscere. Una cosa che a noi può apparire banale ma che, vi garantisco, per chi abita a Chatila, non è per nulla scontato”.

 

Da quanto tempo esiste BBB?

“Il progetto esiste da 4 anni, durante i quali abbiamo fatto 3 viaggi verso l’Europa con la squadra femminile, ed abbiamo organizzato un viaggio con una delegazione di squadre spagnole e italiane a Beirut. Nel 2017 e nel 2018 abbiamo portato le ragazze della polisportiva Real Palestine Youth F.C a Roma. Nel 2019 siano andati nei Paesi Baschi. E a fine 2019, in Libano, proprio durante il deflagrare delle proteste, è venuta la delegazione delle squadre romane che avevano ospitato le ragazze.  Nel 2020 era invece previsto un viaggio a Madrid, ma ovviamente stiamo aspettando ancora che la situazione si stabilizzi. Nel frattempo quello che stiamo facendo è sfruttare al massimo il centro che abbiamo all’interno del campo di Chatila,  soprattutto per cercare di intervenire sull’abbandono scolastico che in questi mesi è stato particolarmente grave, spingendo molti bambini e bambine verso il lavoro minorile. Attraverso lo sport cerchiamo di avvicinarli e riportarli tra i banchi. Inoltre prestiamo la nostra struttura all’associazione italiana che si occupa di servizi medici, per un ambulatorio gratuito una volta al mese, per circa  15 pazienti”.

Cosa raccontano le ragazze dei loro viaggi? Che impressioni ne ricavano? Che cambiamenti vedete in loro?

“Quello che è evidente è il cambio di  prospettiva. Molte di loro in questi anni hanno  deciso di frequentare l’università, di conseguire una  specializzazione, si sono laureate. Altre hanno conquistato una loro indipendenza attraverso il lavoro. Poi c’è anche chi ha deciso di sposarsi e metter su famiglia. Ma in tutte loro quello che è cambiato è  il fatto di voler  scegliere in autonomia quando, come e perché agire: se andare avanti con gli studi, se lavorare, se sposarsi. Trovano il loro posto e lo riaffermano autonomamente con una maggiore consapevolezza della propria emancipazione”.

Come si può aiutare il progetto?

“Si può fare una donazione all’associazione Sport against Violence cui ci appoggiamo. SAV opera anche in Iraq, dove ha organizzato recentemente la maratona di Baghdad. Oppure si può andare sulla nostra pagina per partecipare alle nostre campagne di fund raising. O ancora destinare il 5×1000 a SAV”.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

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  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere

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"L’idea di Basket Beats Borders è nata principalmente da un incontro che ho fatto con l’allenatore Coach Majdi durante il mio primo viaggio in Libano, nel 2016. Ho chiamato lui per visitare i campo di Chatila, e mi ha  fatto conoscere sia le squadre di calcio sia la squadra di basket femminile. Una sera, a cena, mi ha raccontato con emozione di quando erano riusciti ad organizzare un viaggio in Irlanda, e da lì è nata l'idea di provare a farlo anche in Italia. Ed eccoci qua".

Cosa rappresenta per le ragazze della squadra questa esperienza, il fatto di poter uscire dal Campo, di confrontarsi con altri stili di vita, con altri mondi che difficilmente avrebbero potuto avvicinare?

"La possibilità di giocare a basket dà loro il modo di affermarsi prima all'interno della cerchia familiare ed amicale, e poi a livello più generale di società. Le aiuta a trovare un posto nel contesto dove vivono. Una cosa che mi colpisce sempre, quando vado al Campo, è che loro si allenano in un campetto pubblico e sono le uniche ragazze che lo fanno. Quando stanno giocando, intorno, ci sono campi di calcio e di basket dove gli atleti sono tutti uomini. Per loro dunque il fatto stesso di poter praticare uno sport equivale alla possibilità di riaffermare il proprio ruolo e la propria identità nel contesto in cui vivono. I viaggi aggiungono a questo la possibilità di vedere e conoscere qualcosa di diverso. Di entrare in contatto con realtà differenti, di avere rapporto con l'altro, scrutare nuovi orizzonti, sperimentare nuove connessioni e nuove conoscenze. Alla fine significa una cosa importantissima nella sua apparente semplicità: capire che oltre al Campo c'è una tutto un mondo da conoscere. Una cosa che a noi può apparire banale ma che, vi garantisco, per chi abita a Chatila, non è per nulla scontato".

 

Da quanto tempo esiste BBB?

"Il progetto esiste da 4 anni, durante i quali abbiamo fatto 3 viaggi verso l'Europa con la squadra femminile, ed abbiamo organizzato un viaggio con una delegazione di squadre spagnole e italiane a Beirut. Nel 2017 e nel 2018 abbiamo portato le ragazze della polisportiva Real Palestine Youth F.C a Roma. Nel 2019 siano andati nei Paesi Baschi. E a fine 2019, in Libano, proprio durante il deflagrare delle proteste, è venuta la delegazione delle squadre romane che avevano ospitato le ragazze.  Nel 2020 era invece previsto un viaggio a Madrid, ma ovviamente stiamo aspettando ancora che la situazione si stabilizzi. Nel frattempo quello che stiamo facendo è sfruttare al massimo il centro che abbiamo all’interno del campo di Chatila,  soprattutto per cercare di intervenire sull’abbandono scolastico che in questi mesi è stato particolarmente grave, spingendo molti bambini e bambine verso il lavoro minorile. Attraverso lo sport cerchiamo di avvicinarli e riportarli tra i banchi. Inoltre prestiamo la nostra struttura all’associazione italiana che si occupa di servizi medici, per un ambulatorio gratuito una volta al mese, per circa  15 pazienti".

Cosa raccontano le ragazze dei loro viaggi? Che impressioni ne ricavano? Che cambiamenti vedete in loro?

"Quello che è evidente è il cambio di  prospettiva. Molte di loro in questi anni hanno  deciso di frequentare l’università, di conseguire una  specializzazione, si sono laureate. Altre hanno conquistato una loro indipendenza attraverso il lavoro. Poi c'è anche chi ha deciso di sposarsi e metter su famiglia. Ma in tutte loro quello che è cambiato è  il fatto di voler  scegliere in autonomia quando, come e perché agire: se andare avanti con gli studi, se lavorare, se sposarsi. Trovano il loro posto e lo riaffermano autonomamente con una maggiore consapevolezza della propria emancipazione".

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"Si può fare una donazione all'associazione Sport against Violence cui ci appoggiamo. SAV opera anche in Iraq, dove ha organizzato recentemente la maratona di Baghdad. Oppure si può andare sulla nostra pagina per partecipare alle nostre campagne di fund raising. O ancora destinare il 5x1000 a SAV".

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