Combattere il gender gap? Senza dati è impossibile. "L'assenza di numeri in alcuni ambiti strategici è condizionata dagli stereotipi"

di DOMENICO GUARINO -
22 luglio 2021
paritàGender

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E se l’incapacità di vincere il gender gap fosse dovuta (anche) all’uso di dati errati o parziali? O meglio, alla mancanza di informazioni corrette in grado di orientare politiche corrette? Secondo la Fondazione Openpolis, che si occupa appunto di raccogliere e diffondere dati, uno dei limiti maggiori che abbiamo al momento sta proprio negli strumenti di analisi della realtà che non sarebbero mirati a "definire meglio le criticità attraverso valutazione di impatto di genere”. Come è stato recentemente sottolineato dalle stesse Nazioni unite e dal World economic forum, l’applicazione di un approccio che preveda l’integrazione della prospettiva di genere nell’attività di realizzazione delle politiche (dal processo di elaborazione all’attuazione, includendo anche la stesura delle norme, le decisioni di spesa, la valutazione e il monitoraggio) è infatti impossibile in mancanza di dati specifici sul tema. L’Onu segnala che, per colmare questa assenza o per ridurre la scarsità di questo tipo di informazioni, sono necessari degli investimenti innanzitutto nella capacità degli istituti di statistica nazionali. "Un incremento – sostiene Openpolis – potrebbe ampliare la copertura, la qualità e la storicità dei dati necessari al monitoraggio dell’equità di genere e degli obiettivi di sviluppo sostenibile inclusi nell’agenda 2030. Inoltre, questi dati potrebbero permettere di rappresentare in modo più fedele la realtà della vita delle donne e delle bambine, nelle loro diversità e specificità, mettendo a fuoco gli stereotipi più radicati nei concetti, nelle definizioni, nelle classificazioni e nelle metodologie". In particolare, tra le iniziative promosse dall’Onu contro la disparità tra donne e uomini, c’è la costruzione di una serie di 72 indicatori di genere, volti a monitorare la situazione mondiale e dei singoli Paesi in materia. L’obiettivo è quello di trasformare le promesse in realtà misurando costantemente i progressi raggiunti. Attualmente, in media, in Europa ben il 55,6% dei dati di genere non sono disponibili e la quota italiana non si discosta troppa da questa. Infatti, il 52,5% degli indicatori per l'Italia non hanno un riscontro in dati, solo il 21% viene, invece, reperito e considerato come di alto livello. Questa percentuale, tuttavia, è più bassa della media europea, pari al 24,8%. La questione dei dati di genere italiani si aggrava poi  ulteriormente se si analizzano i settori in cui vi è questa mancanza, che, guarda caso, sono proprio nelle aree più strategiche: per esempio mancano gli indicatori sul mercato del lavoro, i dati sul tasso di disoccupazione femminile, il rapporto tra genere e povertà, violenza fisica e sessuale, l’accesso delle donne agli asset di sviluppo, l'indice del rapporto tra genere e ambiente. "La mancanza di dati di genere in alcuni ambiti strategici come la povertà e l’esclusione è direttamente condizionata dagli stereotipi che possano portare a una ridotta percezione della realtà, come ad esempio la scelta di raccolta e analisi dei dati a livello familiare, piuttosto che a livello individuale” sottolinea Openpolis. Proprio per questa mancanza e in vista dell’arrivo dei fondi legati al Pnrr, l’associazione femminista "Period Think Tank", ha deciso di promuovere da marzo 2021 la campagna #datipercontare per chiedere alle istituzioni, partendo da quelle locali, un impegno concreto a rendere aperti e pubblici i numeri necessari a misurare il gender gap. La campagna ha due obiettivi. Il primo è l’accesso ai dati disaggregati per genere, mentre il secondo è di impegnare gli enti locali affinché la valutazione di impatto di genere diventi uno strumento obbligatorio per la definizione delle politiche e degli investimenti economici finanziati dal Recovery fund.