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Marco Sessa, il mondo visto dal basso verso l'alto: "Ciò che rende diversi noi nani è come ci guardano gli altri"

di MAURIZIO COSTANZO -
29 maggio 2022
Nanessere, Marco Sessa racconta com’è il mondo visto dal basso verso l’alto

Nanessere, Marco Sessa racconta com’è il mondo visto dal basso verso l’alto

Come può essere la vita, e il mondo, vista dal basso verso l’alto? Nel libro ‘Nanessere’ (Corsiero Editore) Marco Sessa parla della sua Acondroplasia, una condizione che, presentata da un’altra prospettiva, diventa risorsa. La sua penna bella e felice ha il raro pregio di coinvolgere il lettore in un percorso attraverso cui s’impara a leggere la ‘diversità’ come elemento positivo per tutta la comunità. Un viaggio che, tra sfide ai propri limiti e vicende autobiografiche, propone diversi spunti di riflessione da cui tutti, soprattutto i più giovani, possono imparare qualcosa, per avere uno sguardo nuovo sul mondo. Marco Sessa, come nasce il libro? “Nasce sostanzialmente con lo spirito di raccontare la vita di una persona con l’Acondroplasia, che è la forma più diffusa e comune di nanismo. Coinvolto da Paolo Cendon per la collana ‘Fragilità’, lo faccio attraverso esperienze, episodi, vicende autobiografiche. Riporto anche delle riflessioni su dei miei lavori legati al concetto di ‘sguardo’, di come le cose cambino in base a come ti poni e alla prospettiva con cui tu le vedi, nonostante l’oggetto in sé rimanga sempre lo stesso. Che è poi la sintesi di tutto il libro: quello cioè che ci rende diversi è come ci guardano gli altri, non è la nostra specifica condizione in quanto tale”. Cosa vorrebbe rimanesse al lettore di queste pagine? “Vorrei che quasi paradossalmente si 'annoiasse' nel leggere questi episodi, di una vita assolutamente normale pur nelle sue sfaccettature e specificità. La condizione della persona nana è quella di chi vive più di uno stigma, mentre in realtà è più simile alla condizione dei cosiddetti normodotati di quanto possa apparire: è questo ciò che vorrei emergesse. A tale scopo il mio libro si rivolge anche alle persone con la mia stessa condizione. Attraverso vari episodi - legati alla scuola, altri al Taekwondo e ai rapporti di amicizia - racconto le similitudini che ci possono essere con una vita di una persona assolutamente normale. Il principale episodio, forse quello più straordinario, riguarda l’intervento di allungamento degli arti a cui mi sono sottoposto quando avevo 14 anni, e che allora feci in Unione Sovietica”.

Marco Sessa nel suo libro 'Nanessere' (Corsiero Editore) parla della sua Acondroplasia, una condizione che presentata da un'altra prospettiva diventa risorsa

Qual è la difficoltà maggiore che ha incontrato in vita sua? “Il nano porta dietro di sé un retaggio culturale molto pesante, perché nell’immaginario collettivo fa parte del mondo del ‘fantasy’. Biancaneve e i sette nani, i Puffi, gli Hobbit ecc. il nostro corpo un po’ goffo e piccolo in alcuni ispira ilarità. Induce a far credere che facciamo parte di un mondo che sembra quasi irreale. Quindi, nell’incontro con le persone, la prima cosa che devi smontare è proprio questo stigma: la 'straordinarietà' di portarli a vederti come persona normale, laddove nel loro immaginario tu fai parte dello 'straordinario'. C’è un altro aspetto, sempre legato a questo: l’uso dispregiativo, in termini di sfottò e di presa in giro, che spesso si fa del termine nano, soprattutto in ambito politico. Questo retaggio culturale è il primo muro da abbattere. In tal senso questo libro può aiutare ed è per questo che spero di riuscire a portarlo anche nelle scuole”. Come ha vissuto gli anni di scuola? “Alle elementari non ho avuto particolari problemi, anche perché si fanno sempre in un quartiere dove già ci si conosce un po’ tutti. Il problema più grosso è sorto con le medie, perché si entra nell’adolescenza, l’età dei primi amori, delle festicciole e dei primi balli. Mi è capitato un episodio spiacevole che mi è rimasto: una professoressa, forse perché facevo un po’ di baccano, mi tirò su dalla cintura, a mò di gru, e questo gesto mi svilì molto, tanto che me lo ricordo ancora adesso. Negli anni delle superiori ho passato molto tempo a curarmi per gli allungamenti, dunque non ricordo particolari problemi, anche perché allora si è già grandi e si riesce a instaurare un rapporto più adulto e maturo con gli altri”.

Una delle più grandi difficoltà riscontrate da Marco Sessa è il retaggio culturale: "I nani nell'immaginario collettivo fanno parte del mondo 'fantasy' e ciò induce a far credere che facciamo parte di un mondo quasi irreale"

Ha avuto problemi in ambito lavorativo? “Sì, i problemi più grossi li ho incontrati proprio in questo ambito. Ho iniziato come business developer, mi sono occupato di analisi strategiche di mercato, ho lavorato per tante grandi compagnie e società, e ricordo che ci sono state delle difficoltà con alcuni capi e responsabili. È stato complicato soprattutto all’inizio. Credo che quello del lavoro sia un mondo fondamentalmente fatto di ‘squali’, in cui esistono delle dinamiche che portano a una forte competizione: dunque o sei forte e resisti oppure rischi di essere travolto. Del resto non c’è ancora una vera uguaglianza di genere, figuriamoci per la disabilità. Una persona con delle fragilità può essere dunque più soggetta ad attacchi”. Quali obiettivi si è dato con se stesso? “L’obiettivo che mi sono dato è stato quello di trovare pace con me stesso, con il mondo in cui vivo, con l’ambiente attorno a me. E penso di averlo abbondantemente raggiunto intorno ai quarant’anni, quando ho trovato un equilibrio tra me e gli altri. In tutto questo, le amicizie sono state tante e nel loro piccolo mi hanno aiutato a essere quello che sono. Ovviamente l’elemento principale, la base di partenza, è sempre la famiglia, che riesce a darti gli strumenti giusti e le capacità per affrontare un mondo complesso e complicato. Da questo punto di vista sono stato molto fortunato”. Che importanza ha avuto il Taekwondo nella sua vita? “Ha avuto una funzione molto importante per riappacificarmi col mio corpo e con tutti quelli che erano i limiti fisiologici del mio corpo, legati agli interventi e all’impossibilità di fare determinate cose. Mi ha alleggerito del peso che il corpo mi creava, portandomi a superare limiti che non pensavo avrei mai potuto superare. L’ho praticato a quarant’anni, a livello dilettantistico, soprattutto come sfida con me stesso. Mi ha aiutato tantissimo a trovare l’equilibrio con la vita. Una volta trovato l’equilibrio con me stesso e con la mia parte fisica, ho potuto concentrarmi di più sulla mia persona”.

Marco Sessa ha vissuto per molto tempo a Villaberza, nell'entroterra emiliano, e ora vive a Milano

Quanto è stato importante sperimentare differenti stili di vita in paesini dell’Appennino tosco-emiliano? “Ho avuto modo di andare per tanto tempo a Villaberza, nell’entroterra emiliano. Qui ho potuto entrare in contatto con una vita estremamente semplice, ‘bucolica’, ed è stato un grande sollievo per chi, come me, vive a Milano. Perché nella semplicità delle cose spicca la sostanza, la concretezza, quello che oggettivamente tu sei. Ho frequentato questo luogo dai 7 ai 18 anni, perché andavo a trovare delle persone care: è stata un po’ una ‘tana’ per me, nella quale rifugiarmi quando si era troppo stressati. In quel contesto ho sperimentato per la prima volta una pace e un equilibrio rispetto alle sollecitudini che una grande città poteva darmi. Lì le amicizie erano molto più facili, ma anche il fatto che non c’erano pericoli, mi consentiva di fare una vita molto più libera. Questo mi ha permesso di scoprire possibilità che prima neppure immaginavo”. Chi è oggi Marco Sessa? “Un uomo, che si è fatto uomo e ha trovato il suo equilibrio e la sua serenità. Vivo e lavoro a Milano, convivo con la mia compagna da sette anni e ho una vita abbastanza intensa. Oltre al mio lavoro svolgo attività di volontariato, sono presidente di una associazione che si occupa di coloro che hanno la mia condizione (Aisac, Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia), mi dedico alla difesa dei diritti delle persone più fragili, scrivo su blog, riviste, giornali. Negli ultimi vent’anni ho ritrovato momenti di pace e di rilassatezza nei libri, che mi permettono di staccare e di entrare in storie diverse. I miei titoli preferiti? Sono tanti, non ce n’è uno in particolare. Da ‘Guerra e pace’ alla Divina Commedia, la lettura dei classici mi è sempre piaciuta, gli autori russi in particolare. Da ogni libro sono riuscito a estrapolare qualcosa che mi è stato utile: mi piacciono perchè ti insegnano quanto l’esperienza altrui sia molto simile alla tua. Ti mostrano che, prima o poi, certe cose le proviamo tutti, le facciamo tutti. E attraverso i libri ho ritrovato, anche in epoche remote, le stesse situazioni di fragilità, le stesse dinamiche, le stesse sofferenze che si vivono nella quotidianità”.

'Nanessere - Il mondo visto dal basso verso l'alto', di Marco Sessa (Corsiero Editore)

Cosa si sente di dire alle nuove generazioni che vivono la sua stessa condizione? “Che bisogna avere molta pazienza. Probabilmente fino ai trent’anni ci saranno situazioni molto complicate, difficili, a volte anche durissime. Bisogna quindi utilizzare questo tempo per costruire la propria personalità, perché nel momento in cui si entra nel mondo adulto, la differenza non la fa più il fisico, ma la persona. Perciò se hai una buona personalità, se sai stare al mondo, se hai qualcosa da dire, a quel punto vieni non solo apprezzato, ma anche cercato. Il mio consiglio è di cercare un equilibrio, una passione e coltivarla: questo aiuta tantissimo. Le persone che ho sempre ritenuto fortunate sono quelle che sono riuscite a trasformare la propria passione nel proprio lavoro. Consiglio di alimentare la propria curiosità, di porsi sempre alla ricerca di risposte. Questa ricerca alla fine porta a creare consapevolezza di ciò che è l’esistenza e l’umanità, e fa vivere molto meglio l’età adulta”. Pensa ci sia bisogno di un cambiamento culturale? “Ce n’è assolutamente bisogno. La nostra, che scientificamente è una malformazione genetica, che possiamo definire genericamente disabilità, è stata la più raccontata di tutte. I nani, che facevano parte delle corti nel Medioevo, sono stati rappresentati in vari quadri, nei ruoli di giullari o di consiglieri, e poi associati al mondo circense. Non credo dunque si sia raccontato poco, piuttosto si è raccontato male. C’è bisogno perciò di un grandissimo cambiamento culturale, rivolto a valorizzare l’imperfezione. Siamo in un’epoca in cui si è sempre alla ricerca della perfezione, in ogni campo: dove bisogna essere perfetti non solo fisicamente, ma sempre e dovunque. Dove bisogna essere sempre al top in qualsiasi cosa, vietato essere ordinari. Rispetto a tutto questo, io invece ho scritto degli articoli sul “diritto alla debolezza”. Oggi non si può essere deboli, la società non te lo permette: nel momento in cui sei debole vieni scartato e giudicato. Credo invece che si dovrebbe lavorare tutti assieme per un futuro possibilmente meno legato alla perfezione, ma più legato all’accettazione dell’imperfezione, in tutti i suoi sensi”. Le tre parole che vorrebbe salvare e quelle che invece cancellerebbe? “Salverei: Libertà, Serenità e Umanità. Le parole che vorrei venissero cancellate sono: Indifferenza, Stupidità e Superficialità”.