Quando l’amore da dono divino diventa peccato: “Io, innamorata di un prete. Ma non sono la metà di niente”

di MAURIZIO COSTANZO
3 maggio 2022

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L’amore è un dono di Dio, serve a generare vita e la Chiesa cattolica lo benedice. Ma c’è un amore ritenuto ‘sconsiderato’, che procura sconcerto, che si fatica ad accettare. È l’amore tabù per eccellenza: quello tra una donna e un sacerdote. Che si trasforma addirittura in peccato nel momento in cui la guida spirituale, da riferimento di una comunità di fedeli, diventa oggetto del desiderio di una donna. È quello che è successo ad Anna (nome di fantasia), 37 anni, originaria del sud Italia ma che da anni vive a Firenze, dove lavora come commessa. Lei di un prete si è innamorata e con lui vive, di nascosto da tutto e da tutti, tacendo di questa convivenza gioie e dolori persino con i parenti e gli amici. L’amore umano e l’amore divino: due strade che, al momento del sacerdozio, si dividono. La logica clericale non ammette repliche. Tuttavia al cuore non si comanda, e può capitare che da un momento all’altro due cuori, due anime, si ritrovino intimamene e inaspettatamente legate l’una all’altra, nonostante non l’abbiano cercato né voluto. Ecco che il celibato si scontra con quello che è un aspetto profondamente umano nelle relazioni umane: l’intimità. Ad Anna è capitato esattamente questo: si è innamorata di un sacerdote e da questi è stata ricambiata. Dopo aver attraversato un momento di profondo tormento interiore, vissuto da parte di entrambi, la loro ‘storia’ è iniziata, e ora prosegue non alla luce del sole ma nell’ombra della verità, vivendo per il tempo del loro stare insieme. Appena oltre la porta di casa, nel mondo, quell’amore risulta proibito, viene visto come colpevole, addirittura per certi versi sacrilego. Per Anna, e solo per lei, è invece tutta la sua vita. Come recita un vecchio adagio, “il vero amore non si riconosce da ciò che chiede, ma da quel che offre”. E lei che ha seguito la voce del cuore ha offerto tutta se stessa, sacrificando sogni, progetti e speranze di quand’era ragazza. A Luce! ha deciso di raccontare la sua storia, svelandoci quanto coraggio e quanti sacrifici richieda questa ‘scandalosa’ scelta d’amore.
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Gli amanti, René Magritte (1928). La versione più famosa si trova al MoMa di New York

Anna, come vi siete conosciuti? “Non frequentavo molto la parrocchia. Ero credente, sono stata avviata a un’educazione cattolica fin da piccola dai miei genitori, ma non sono mai stata molto praticante. Come molte ragazze credo, il sabato preferivo uscire con le amiche piuttosto che andare in chiesa, e la domenica mattina preferivo dormire e non andare a messa. Andavo in chiesa lo stretto necessario. Poi però, dopo un grande dolore, in me è cambiato qualcosa. Non ero più la ragazza di un tempo. Non mi andava più di uscire, di truccarmi, andare a ballare. Volevo stare sola con me stessa e ho riscoperto la preghiera. Più che altro desideravo abbandonarmi a una forza più grande di me, in un momento in cui di forze io non ne avevo più”. A cosa si riferisce quando parla del grande dolore che ha vissuto? “Alla morte di mio padre, perché ero molto legata a lui. La mia vita da quel momento è cambiata, la mia famiglia si è destabilizzata. A quel punto ho iniziato a frequentare la parrocchia, e lì l’ho incontrato. Avevo bisogno di tirare fuori da me tutto quel dolore. Non mi aspettavo consigli, non mi aspettavo parabole miracolose, desideravo solo aprirmi, svuotarmi del dolore che provavo. Lui era lì, come se mi aspettasse da sempre, come se fosse lì ad aspettare proprio me. Ci siamo seduti, gli ho parlato a lungo, ma come ho detto non ero in cerca di risposte. Intanto il tempo volava senza accorgermene. Cosa mi ha colpito più di tutto? Il fatto che mi ha ascoltato, perché non è affatto comune trovare qualcuno che ti ascolta come ha fatto lui, qualcuno cioè che lo fa per davvero”.
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Anna racconta di aver trovato nel sacerdote l'apertura all'ascolto che più le serviva

È lì che è iniziata la vostra storia? “No. Certo, sono rimasta colpita da questo sacerdote che non era neanche troppo giovane, era più grande di me, così diverso da me. Ma niente di più, perché in quel momento della mia vita non ero disposta a mettermi in ascolto di me stessa. Stavo bene con lui, sapevo e mi bastava solo questo. Da parte sua, quando poteva mi dedicava del tempo, e quello per me era diventato un appuntamento atteso, bello, l’unico della settimana che mi interessava. Ci vedevamo o il sabato o la domenica, tutte le settimane, dopo la messa. In me sentivo nascere qualcosa, ma avevo timore a definirlo per quel che era. Provare un sentimento per un prete non era nei miei piani, anzi, ci ho lottato contro. Ma è in quei nostri incontri, in cui io parlavo e lui mi ascoltava con così attenzione, che ho capito molte cose sia di me che di lui. È stato molto paziente, come dire… si è caricato del mio dolore e io mi sono sentita accolta, capita”. Ha avuto altri ragazzi prima di lui? “Certo, ero fidanzata quando ci siamo incontrati. Ed ero profondamente innamorata del mio ragazzo, con cui praticamente eravamo cresciuti insieme, eravamo coetanei. Poi però il destino se lo portò via. Proprio quando mi stavo riprendendo dalla mancanza di mio padre, il mio ragazzo morì in un incidente. Fu un altro trauma. Morì giovanissimo e io sprofondai nuovamente nel dolore e nella solitudine. Mi è capitato  un dolore dietro l’altro, e lì ho creduto proprio di non farcela”. Quando ha capito che era innamorata del sacerdote? “Quando sono riuscita ad ammettere a me stessa che non potevo fare a meno di lui, che mi mancava, che lo pensavo in continuazione, come dire, che mi completava”. Ha mai pensato di aver frainteso i suoi gesti e le sue parole? “Ho pensato che fossi sbagliata io, che stavo commettendo un errore io. Ho avuto paura a confidarmi, non sapevo con chi farlo. Chi mi avrebbe capito? E così l’ho detto all’unica persona di cui credevo di potermi fidare, una mia cara amica che consideravo una sorella. Ma lei invece di dirmi qualcosa di bello, di mostrarmi comprensione, mi ha guardato e mi ha detto: 'Ti sei innamorata di un prete?! Sei seria? O sei pazza?'”. Quando ha deciso di confidargli questo suo sentimento? “Non è stato per nulla facile, non sono un tipo che si apre volentieri. E poi avevo la mente così annebbiata che non ricordo cosa gli dissi, con quali parole glielo feci capire. Ma dovevo farlo, perché non potevo tenere tutto dentro. Sapevo solo una cosa: che mi sarebbe stato ad ascoltare, come ha sempre fatto. Questo mi rincuorava e mi diede la forza di guardarlo negli occhi”.
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La confessione (1838), Giuseppe Molteni. Gallerie di Piazza Scala, Milano

Lui come ha reagito? “Ha detto che era meglio se non lo cercavo più, se non ci vedevamo più, perché gli ero una ragazza molto cara. Usò questa parola, me la ricordo benissimo: 'cara', che si può utilizzare per una sorella minore”. Dopo quanto tempo vi siete rivisti? “Ho fatto come mi ha detto, mi sono allontanata, per un anno e mezzo non ho frequentato più la parrocchia, ho cercato di non vederlo più. Non è stato facile perché ci ho sofferto tanto, aveva riempito il vuoto lasciato da mio padre e dal mio ragazzo, era diventato parte della mia famiglia. Quante volte ho pensato che avrei fatto meglio a non dirgli nulla, a farmi bastare quel che avevamo, quei semplici incontri, quel niente invece di perdere tutto. Poi, una domenica, sono ritornata in chiesa, ma solo per accompagnare mia madre a messa. Dopo la funzione lo vidi, si era intrattenuto con un gruppo di fedeli, passò a salutare tutti i malati e mia madre in carrozzina. È stato allora che ci siamo rivisti. Mi ha salutato con uno sguardo che mi ha comunicato tante cose. Poi ci siamo parlati, ma con una consapevolezza nuova. All’inizio ero tentata di non avvicinarmi affatto, di scansarlo, di non salutarlo, di tornarmene a casa perché non volevo soffrire ancora. Invece mi sbagliavo, perché l’ho sentito subito diverso. Eravamo, come dire, due persone nuove. Lui si è interessato a me come persona, per la prima volta. Mi chiese cosa avevo fatto in tutto quel tempo. La domenica successiva ci siamo rivisti e fu allora che il discorso scivolò sul fatto che lui mi mancava e che anche io ero mancata a lui. È come se qualcuno fosse venuto a liberarmi da una prigione dove mi ero rinchiusa da sola. È stato in quel momento che tra noi è nata la consapevolezza di un sentimento reciproco”. L’ha detto alla sua famiglia? Come l’hanno presa? “Non è stato facile, mia mamma ora ne è consapevole ma non posso dire che sia felice o lo sia mai stata. Certo, mi rispetta, rispetta questa mia scelta, ma lo fa a denti stretti e io lo sento. Come tutte le mamme che hanno una figlia femmina, aveva altri progetti per me. Mi ripete che non posso avere da quest’uomo tutto quello che mi realizzerebbe come donna e come mamma. Ma non è necessario me lo ricordi sempre, ne cono consapevole da sola”. Com’è amare un prete? “Il nostro è un amore segreto, vietato. Non possiamo dirlo alla luce del sole. Non posso presentare l’uomo che amo alle mie amiche, anche se qualcuna sa tutto. Non possiamo uscire per strada, fare le cose che fanno tutti, una passeggiata, tenerci per mano, andare al cinema o in pizzeria. Ultimamente siamo andati a teatro, ma per farlo siamo dovuti andare in un’altra città”. Perché non cambiare vita? Non sarebbe più onesto amarvi alla luce del sole? “Intende rinunciare al sacerdozio? È complicato, facile a dirsi. Una volta gli feci capire che mi sarebbe piaciuto avere una casa tutta nostra, una famiglia. Lui a quel punto mi ha abbracciato stretto e poi ha iniziato a piangere. In quel momento ho capito che gli avevo fatto del male senza volerlo, che quello che era bello per me risultava doloroso per lui. È difficile da spiegare. Mi sono detta di non poterlo obbligare alla scelta di essere fedele o solo a me o solo alla sua vocazione. Ho trovato crudele e senza senso metterlo con le spalle al muro, obbligarlo a rinunciare a una parte della sua vita. Così ho lasciato cadere l’argomento”. Perché negarsi di avere una famiglia? “Da piccola non volevo avere figli e neppure da ragazza. Può sembrare strano ma non ho mai avuto l’istinto materno. Non sono mai stata una ragazza che fugge dalle responsabilità, questo no, mai. Ma non sono nata con questo desiderio. So che da donna non è comune, ma per me è stato così. Ci sono momenti però in cui un figlio mi manca tanto, anche se la mia malattia non mi permetterebbe di portare a termine la gravidanza. In certi momenti mi manca tanto tutto, ma è questa la nostra vita, l’ho scelta io”.
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Nella serie tv Fleabag la protagonista (Phoebe Waller-Bridge) si innamora ed ha una breve relazione con il prete cattolico interpretato da Andrew Scott

Ha parlato di una sua malattia, di cosa si tratta? “Di questo preferisco non parlare”. Era questo l’amore che sognava da piccola? “Da piccola non potevo immaginare che mi sarebbe capitata una situazione del genere, ma con gli anni ho scoperto che la vita è imprevedibile, nel bene e nel male. Se il mio ragazzo non se ne fosse andato, avrei vissuto un’altra vita, più ‘normale’ diciamo. Ma certe volte da lassù qualcuno decide di scombinare i piani e lo fa, che ci piaccia o meno”. Come si vede tra vent’anni? “Invecchiata, ma questo non vuol dire migliore. E lui invecchiato insieme a me, magari, speriamo. Non mi vedo sposata o cose così, non credo lui rinuncerà mai alla sua vita, non se la sente e io non gli imporrò una scelta così grande, perché so bene quanto può essere dolorosa e non voglio più dolore nella mia vita, né veder soffrire gli altri. Mi accontento di far parte della sua vita così come lui fa parte della mia, nel modo che possiamo. Anche se non è tutto, anche se è poco o niente. Anche se io sono, come mi ha detto in faccia una mia oramai ex amica, 'la metà di niente'. Avevo cominciato la nostra storia col mentire a me stessa, ma non voglio più farlo. Accettare quello che proviamo è la cosa più importante. Mi guardo allo specchio e mi dico: 'Anna, non lasciarti portare via quello che hai'. Quest’uomo ha dato una possibilità a me stessa, non voglio sprecarla”.