Afghanistan, lo strazio di Mahtab Eftekhar, sposa bambina: “Adesso non ho più paura di morire”

Venduta a suo cugino per 500 sterline, abusata e costretta ad abbandonare i suoi figli. È l’inferno che Mahtab Eftekhar ha quotidianamente affrontato per sedici lunghi anni, fino alla fuga in Iran

di MARCO PILI -
29 aprile 2024
Afghanistan, la testimonianza delle donne (Ansa)

Afghanistan, la testimonianza delle donne (Ansa)

Tra le strade di città come Kabul ed Herat, le donne afghane si trovano spesso intrappolate in un labirinto di restrizioni sociali e politiche, costrette ad affrontare un contesto instabile e pericoloso, dove il loro destino è spesso deciso da altri. Un intreccio di storie di resistenza e di speranza, spesso piegate dall’oppressione che la tradizione e la religione veicolano in un binomio tanto inscindibile quanto violento. Tutto questo è stato recentemente raccontato da Mahtab Eftekhar al quotidiano di informazione Guardian, in una toccante intervista autobiografica nella quale ha ripercorso sedici anni di oppressione coniugale e familiare.

Mahtab, nata a Kabul nel 1998, non dimentica nessuno dei particolari che hanno contraddistinto i suoi ultimi anni di vita in Afghanistan. Portata con l’inganno a Helmand, a soli dieci anni è stata data in sposa a suo cugino in cambio di 40mila Afghani (circa 500 sterline). L’inizio di un vero e proprio incubo, tale da condizionare il resto della sua intera vita, in un susseguirsi di eventi sempre più complicati e impattanti: dà alla luce tre figlie in soli 36 mesi, tra i 12 e i 14 anni di età, di cui solo una rimasta in vita a causa delle complicanze post parto. Fatti che hanno indelebilmente segnato la sua infanzia.

La fuga verso Kabul

Ma è stata proprio Zahra, nata prematuramente e con gravi problemi di salute, a darle la forza di fuggire dalla casa nella quale era tenuta come prigioniera da colui che la loro famiglia e le imperanti regole sociali e religiose le avevano imposto come marito. Un cambio di vita radicale, almeno apparentemente, pur in presenza di suo cugino che poco dopo le aveva raggiunte a Kabul. Un momento di apparente miglioramento delle sue condizioni di vita, tanto da permettere a Mahtab di trovare lavoro come estetista in un salone per donne della capitale afghana, immediatamente interrotto dal ritorno al potere dei talebani.

Con l’abbandono dell’Afghanistan della Coalizione internazionale, avvenuto nel 2021, la condizione delle donne è – per quanto ancora possibile, visti i terribili precedenti – peggiorata ulteriormente. La chiusura dei saloni di bellezza, avvenuta per mano del portavoce dei talebani stessi nel luglio del 2023, ha complicato ulteriormente le condizioni di vita della donna, privata della sua unica fonte di reddito autonomo. Una condizione che ha portato ad una decisione di grande coraggio.

La testimonianza dei soprusi

La denuncia degli abusi agli uffici di polizia talebani, verso i quali la giovane madre vedeva l’ultima opportunità per uscire da questa condizione di sostanziale schiavitù, le si è ulteriormente ritorta contro, lasciandole sulla pelle ulteriori abusi e percosse, ponendola davanti ad una sola possibilità: scappare nel vicino Iran.

Una fuga di disperazione, che ha privato Eftekhar dei suoi due figli, Zahra e suo fratello, rapiti da suo cugino, nonché ex marito, e portati a Helmand in seguito all’istanza di divorzio presentata ai tribunali talebani. Una storia di sofferenza, dolore e cicatrici non solo fisiche, ma anche morali, che non hanno mai condizionato la determinazione e la tenacia di una giovane madre nel protestare contro un sistema sociale e tradizionale violento e irrispettoso nei confronti delle donne.

Paura di morire? No, la sua protesta non si ferma 

Per questo motivo, Mathab non potrà mai più tornare in Afghanistan e, presumibilmente, rivedere i suoi bambini. Secondo lei, le evidenti proteste portate avanti nella capitale Kabul a favore dei diritti delle donne le sarebbero fatali se, un giorno, decidesse di tornare nel suo luogo di nascita. Una condizione che non le impedisce di far sentire la sua voce anche in Iran, stato confinante che non è certo in prima linea per i diritti delle donne.

Un contesto di oppressione che fonde vincoli di tradizione e religiosi al fine di mantenere le donne in posizione subordinata rispetto al proprio contesto familiare e i rispettivi mariti, messo sempre più sotto pressione da una consapevolezza che i vertici delle società locali non possono certo ignorare ancora a lungo.

Nelle parole di Mathab possiamo leggere tutta la determinazione affinché questo contesto di oppressione cessi di esistere, donando finalmente pari dignità a uomini e donne in territori nei quali la violenza di genere si rinnova quotidianamente, più forte e dolorosa che mai.