Mandato d'arresto per Netanyahu: cosa accadrà a Gaza?

Una decisione storica che sfida le politiche israeliane e pone la giustizia internazionale di fronte alla responsabilità di affrontare le atrocità commesse a Gaza, mettendo in discussione l’impunità dei leader di Stati potenti e l’efficacia delle istituzioni globali. Cosa dobbiamo aspettarci?

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
22 novembre 2024
SITO EXPO VISITA PREMIER ISRAELIANO NETANYAHU

BENJAMIN NETANYAHU

Il mandato d'arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex ministro della Difesa Yoav Gallant segna un punto di svolta nel conflitto in Medio Oriente. Le accuse non sono semplicemente una condanna politica. Piuttosto, sanciscono ufficialmente la sofferenza inflitta alla popolazione civile palestinese dopo il 7 ottobre 2023. L'impossibilità di accedere a beni essenziali come cibo, acqua, medicinali, carburante ed elettricità non è solo una violazione dei diritti umani, ma una punizione collettiva che ha colpito un'intera popolazione innocente. E ora a dirlo, non sono solo i media internazionali, ma anche una Corte di giustizia.

La decisione della CPI porta in luce la realtà del conflitto e mette in discussione le politiche israeliane che hanno causato sofferenze indicibili alla popolazione di Gaza, come parte di una strategia mirata a piegare la resistenza palestinese attraverso la sofferenza. La Corte ha sottolineato che queste politiche non sono state adottate per rispettare il diritto internazionale umanitario, ma per rispondere a pressioni politiche internazionali. Un chiaro esempio di come la politica israeliana abbia scelto di ignorare deliberatamente i diritti fondamentali dei palestinesi per raggiungere i propri obiettivi strategici. 

Anche se il mandato d'arresto non garantisce un’azione immediata, esso rappresenta un momento cruciale per la giustizia internazionale. Ora la comunità globale è chiamata a una decisione storica: applicare i principi di giustizia universale, anche nei confronti di potenze come Israele. Sebbene Israele non riconosca la giurisdizione della CPI e abbia dichiarato che non rispetterà il mandato d’arresto, la decisione invia un messaggio forte e chiaro: nessuno, nemmeno gli Stati più potenti, può ritenersi al di sopra della giustizia. Ciò che rende particolarmente significativa questa azione è che non si tratta solo di un gesto simbolico. Il fatto che la comunità internazionale stia finalmente agendo legalmente contro i leader israeliani dimostra che è possibile e necessario prendersi la responsabilità di fronte alle vittime. Tuttavia, l’efficacia di questa decisione dipenderà dalla volontà degli Stati membri della CPI di applicarla veramente. Israele, infatti, non è firmatario dello Statuto di Roma e ha già espresso il suo disinteresse a rispettare il mandato. Ciò solleva dubbi sulla forza della giustizia internazionale, che spesso si scontra con la resistenza di paesi potenti che sfuggono alle sue decisioni. Il mandato d’arresto contro Netanyahu, sebbene una vittoria per il popolo di Gaza, rappresenta anche una vittoria per tutti coloro che aspirano a un mondo più giusto, in cui i crimini contro l’umanità non rimangano impuniti. In un mondo che spesso sembra girarsi dall’altra parte di fronte agli orrori della guerra, l’applicazione della giustizia in questo caso potrebbe essere la speranza per un futuro in cui la violenza venga punita e i diritti umani protetti con la stessa fermezza ovunque.