La principale attivista cinese del movimento #MeToo, Sophia Huang Xueqin, è stata condannata a 5 anni di carcere dopo essere stata giudicata colpevole di "incitamento alla sovversione dei poteri dello Stato” da parte della Corte Intermedia del Popolo di Guangzhou.
Huang, giornalista indipendente di 35 anni, ha anticipato di voler fare appello contro la sentenza, secondo quanto riferito dai suoi sostenitori. Con lei è stato condannato, a 3 anni e sei mesi, anche l’amico e attivista del lavoro Wang Jianbing, 40 anni.
I due erano stati arrestati entrambi a settembre 2021, il giorno prima che Huang partisse per il Regno Unito dove avrebbe dovuto frequentare un dottorato all'Università del Sussex. Stando al racconto dei loro avvocati, nel primo centro di detenzione, a Guangzhou, sarebbero stati sottoposti a interrogatori segreti, torture e maltrattamenti.
Secondo la ong con sede negli Stati Uniti, Chinese Human Rights Defenders (CHRD), la polizia avrebbe anche interrogato una settantina di loro amici. Huang e Wang sarebbero “colpevoli” di aver organizzato incontri durante i quali discutere su questioni come il femminismo, i diritti LGBTQ+ e i diritti sul posto di lavoro.
La 35enne, in particolare, è nota per il suo impegno in varie campagne del movimento #MeToo cinese, al fianco di donne vittime di aggressioni e molestie sessuali. Da giornalista femminista, ha messo il suo lavoro al servizio dell’attivismo, accendendo i riflettori su tematiche calde e documentando le proteste pro-democrazia di Hong Kong.
Amnesty International ha sollecitato la loro scarcerazione, sottolineando come le autorità cinesi “ricorrano abitualmente ad accuse per reati contro la sicurezza nazionale per perseguitare avvocati, accademici, giornalisti, attivisti e operatori di organizzazioni non governative”.
"Queste condanne prolungheranno la loro detenzione profondamente ingiusta e avranno un ulteriore effetto raggelante sui diritti umani e sulla difesa sociale in un Paese in cui gli attivisti devono affrontare una crescente repressione da parte dello Stato – ha dichiarato la direttrice di Amnesty International per la Cina Sarah Brooks – "In realtà, non hanno commesso alcun reato. Invece, il governo cinese ha inventato scuse per considerare il loro lavoro una minaccia e per prenderli di mira per aver educato se stessi e gli altri su questioni di giustizia sociale come la dignità delle donne e i diritti dei lavoratori. Queste condanne maligne e totalmente infondate dimostrano quanto il governo cinese sia terrorizzato dall'ondata emergente di attivisti che osano parlare per proteggere i diritti degli altri".
Le condanne non hanno scalfito la loro forza. Entrambi, infatti, avrebbero ammesso ai loro sostenitori di non avere alcuna intenzione di mollare.