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Home » Attualità » Bimbi costretti a vendere benzina o derubati del cibo dai più grandi: in Libano è sos infanzia, fra abusi, violenze e degrado

Bimbi costretti a vendere benzina o derubati del cibo dai più grandi: in Libano è sos infanzia, fra abusi, violenze e degrado

La denuncia di Save the children fotografa una realtà pesante, fatta di sfruttamento e negazione a causa della povertà dilagante per le famiglie colpite dalla crisi economica. Si chiedono aiuti per i piccoli libanesi e di ogni altra nazionalità che vivono nel paese, dove sono presenti migliaia di famiglie rifugiate

Domenico Guarino
14 Luglio 2021
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 Il quadro che  emerge è sconfortante: bambini di appena cinque anni  costretti a scendere in strada per vendere benzina al mercato nero e raccogliere rottami metallici e plastica,  a subire violenze e abusi verbali mentre cercano di guadagnare denaro per le famiglie in strada. Spesso vengono aggrediti da branchi di cani randagi o da altri bambini, che li derubano del cibo avanzato.

Crisi economica, instabilità politica e  covid-19 hanno negli ultimi mesi reso ancora più intollerabile la situazione, con i i prezzi  anche dei generi di primissima necessità che crescono vertiginosamente e il valore della sterlina libanese letteralmente crollato. Come se non bastasse, la  parziale revoca delle sovvenzioni sul carburante ne ha fatto aumentare il prezzo del 55% in 14 giorni, facendo salire i prezzi per il cibo e altri beni. E le interruzioni di corrente fino a 21 ore al giorno hanno causato il raddoppio delle bollette del generatore, con alcuni proprietari che addebitano 500.000 sterline (circa $ 330 al tasso bancario ufficiale) per far funzionare un generatore per un mese, l’equivalente di circa il 78% del salario minimo che è di i circa 640.000 sterline libanesi.  La valuta locale ha perso oltre il 90% del suo valore negli ultimi 18 mesi.

Macerie a Beirut dopo l’esplosione del 6 agosto 2020 nella zona del porto

Il peggioramento della situazione economica ha lasciato oltre un milione di bambini, sia libanesi che rifugiati, bisognosi di sostegno umanitario e assistenza alimentare. In zone come il centro di Beirut, c’è stato un notevole aumento del numero di bambini che mendicano per strada, molti dei quali chiedono aiuto per comprare il latte o il pane per i loro fratelli.

Lo staff di Save the Children ha riportato un drammatico aumento del numero di bambini che lavorano in strada quest’anno, riscontrando 306 casi di lavoro minorile nella prima metà di quest’anno rispetto ai 346 casi nell’intero 2020.

“Il collasso economico del paese e il calo del potere d’acquisto delle persone hanno spinto molte famiglie di tutte le nazionalità a mandare i propri figli a fare lavori pericolosi ed estenuanti – denuncia l’Organizzazione – come la vendita di fazzoletti sulle autostrade, la raccolta di bottiglie di plastica e il lavoro prolungato nelle fattorie e nelle famiglie. Save the Children e i suoi partner sostengono queste famiglie con denaro e altri servizi per evitare che i bambini debbano lavorare e per garantire che non abbandonino la scuola”.

“Praticamente in qualsiasi villaggio o città del Libano si vedono bambini che trasportano borse pesanti in un supermercato, vengono sgridati o chiedono pochi spiccioli per comprare il pane per la loro famiglia. Questa è tristemente diventata una scena normale per le strade e nei negozi del Libano. Si fa affidamento sui minori come sugli adulti per assicurare un sostentamento alle famiglie. Vengono sfruttati dai datori di lavoro che reclutano i bambini perché sono più economici, ma anche più vulnerabili. Non possiamo accettare questa situazione come fosse un dato di fatto –  spiega Jennifer Moorehead, direttrice di Save the Children in Libano –  Questa è una crisi che richiede l’azione del governo, delle comunità, della società civile e delle ong. I bambini vengono lasciati per strada a rovistare, implorare e subire abusi. Con la situazione in Libano che peggiora di giorno in giorno, possiamo solo aspettarci che questa crisi si deteriori ulteriormente, esponendo ancora di più i minori ad abusi e violenze”.

Save the Children chiede un’azione urgente per garantire alle famiglie più vulnerabili di tutte le nazionalità in Libano l’accesso a un sostegno finanziario di emergenza distribuito in modo trasparente e un sostegno complementare al benessere dei bambini.

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  • "Ora dobbiamo fare di meno, per il futuro".

Torna anche quest’anno l
  • Per una detenuta come Joy – nigeriana di 34 anni, arrestata nel 2014 per possesso di droga – uscire dal carcere significherà dover imparare a badare a se stessa. Lei che è lontana da casa e dalla famiglia, lei che non ha nessuno ad aspettarla. In carcere ha fatto il suo percorso, ha imparato tanto, ha sofferto di più. Ma ha anche conosciuto persone importanti, detenute come lei che sono diventate delle amiche. 

Mon solo. Nella Cooperativa sociale Gomito a Gomito, per esempio, ha trovato una seconda famiglia, un ambiente lavorativo che le ha offerto “opportunità che, se fossi stata fuori dal carcere, non avrei mai avuto”, come quella di imparare un mestiere e partecipare ad un percorso di riabilitazione sociale e personale verso l’indipendenza, anche economica.

Enrica Morandi, vice presidente e coordinatrice dei laboratori sartoriali del carcere di Rocco D’Amato (meglio noto ai bolognesi come “La Dozza”), si riferisce a lei chiamandola “la mia Joy”, perché dopo tanti anni di lavoro fianco a fianco ha imparato ad apprezzare questa giovane donna impegnata a ricostruire la propria vita: 

“Joy è extracomunitaria, nel nostro Paese non ha famiglia. Per lei sarà impossibile beneficiare degli sconti di pena su cui normalmente possono contare le detenute italiane, per buona condotta o per anni di reclusione maturati. Non è una questione di razzismo, è che esistono problemi logistici veri e propri, come il non sapere dove sistemare e a chi affidare queste ragazze, una volta lasciate le mura del penitenziario. Se una donna italiana ha ad attenderla qualcuno che si fa carico di ospitarla, Joy e altre come lei non hanno nessun cordone affettivo cui appigliarsi”.

L
  • Presidi psicologici, psicoterapeutici e di counselling per tutti gli studenti universitari e scolastici. Lo chiedono l’Udu, Unione degli universitari, e la Rete degli studenti medi nella proposta di legge ‘Chiedimi come sto’ consegnata a una delegazione di parlamentari nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio.

La proposta è stata redatta secondo le conclusioni di una ricerca condotta da Spi-Cgil e Istituto Ires, che ha evidenziato come, su un campione di 50mila risposte, il 28 per cento abbia avuto esperienze di disturbi alimentari e oltre il 14 di autolesionismo.

“Nella nostra generazione è ancora forte lo stigma verso chi sta male ed è difficile chiedere aiuto - spiega Camilla Piredda, coordinatrice nazionale dell’Udu - l’interesse effettivo della politica si è palesato solo dopo il 15esimo suicidio di studenti universitari in un anno e mezzo. Ci sembra assurdo che la politica si interessi solamente dopo che si supera il limite, con persone che arrivano a scegliere di togliersi la vita.

Dall’altro lato, è positivo che negli ultimi mesi si sia deciso di chiedere a noi studenti come affrontare e come risolvere, il problema. Non è scontato e non è banale, perché siamo abituati a decenni in cui si parla di nuove generazioni senza parlare alle nuove generazioni”.

#luce #lucenews #università
  • La polemica politica riaccende i riflettori sulle madri detenute con i figli dopo la proposta di legge in merito alla detenzione in carcere delle donne in gravidanza: già presentata dal Pd nella scorsa legislatura, approvata in prima lettura al Senato, ma non alla Camera, prevedeva l’affido della madre e del minore a strutture protette, come le case famiglia, e vigilate. La dichiarata intenzione del centrodestra di rivedere il testo ha messo il Pd sul piede di guerra; alla fine di uno scontro molto acceso, i dem hanno ritirato il disegno di legge ma la Lega, quasi per ripicca, ne ha presentato uno nuovo, esattamente in linea con i desideri della maggioranza.

Lunedì non ci sarà quindi alcuna discussione alla Camera sul testo presentato da Debora Serracchiani nella scorsa legislatura, Tutto ripartirà da capo, con un nuovo testo, firmato da due esponenti del centrodestra: Jacopo Morrone e Ingrid Bisa.

“Questo (il testo Serracchini) era un testo che era già stato votato da un ramo del Parlamento, noi lo avevamo ripresentato per migliorare le condizioni delle detenute madri – ha spiegato ieri il dem Alessandro Zan – ma la maggioranza lo ha trasformato inserendovi norme che di fatto peggiorano le cose, consentendo addirittura alle donne incinte o con figli di meno di un anno di età di andare in carcere. Così non ha più senso, quindi ritiriamo le firme“.

Lo scontro tra le due fazioni è finito (anche) sui social media. "Sul tema delle borseggiatrici e ladre incinte occorre cambiare la visione affinché la gravidanza non sia una scusa“ sottolineano i due presentatori della proposta.

La proposta presentata prevede modifiche all’articolo 146 del codice penale in materia di rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena: “Se sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti – si legge nel testo presentato – il magistrato di sorveglianza può disporre che l’esecuzione della pena non sia differita, ovvero, se già differita, che il differimento sia revocato. Qualora la persona detenuta sia recidiva, l’esecuzione della pena avviene presso un istituto di custodia attenuata per detenute madri“.

#lucenews #madriincarcere
 Il quadro che  emerge è sconfortante: bambini di appena cinque anni  costretti a scendere in strada per vendere benzina al mercato nero e raccogliere rottami metallici e plastica,  a subire violenze e abusi verbali mentre cercano di guadagnare denaro per le famiglie in strada. Spesso vengono aggrediti da branchi di cani randagi o da altri bambini, che li derubano del cibo avanzato. Crisi economica, instabilità politica e  covid-19 hanno negli ultimi mesi reso ancora più intollerabile la situazione, con i i prezzi  anche dei generi di primissima necessità che crescono vertiginosamente e il valore della sterlina libanese letteralmente crollato. Come se non bastasse, la  parziale revoca delle sovvenzioni sul carburante ne ha fatto aumentare il prezzo del 55% in 14 giorni, facendo salire i prezzi per il cibo e altri beni. E le interruzioni di corrente fino a 21 ore al giorno hanno causato il raddoppio delle bollette del generatore, con alcuni proprietari che addebitano 500.000 sterline (circa $ 330 al tasso bancario ufficiale) per far funzionare un generatore per un mese, l’equivalente di circa il 78% del salario minimo che è di i circa 640.000 sterline libanesi.  La valuta locale ha perso oltre il 90% del suo valore negli ultimi 18 mesi.
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