Centosessanta pagine che sono frammenti di vita. Schegge cadute da uno specchio di stereotipi del quale resta solo la cornice dei nostri corpi. Quella in cui noi siamo costretti a muoverci ogni giorno per tutta la durata della nostra vita. “Brutta: Storia di un corpo come tanti”, edito da Rizzoli e uscito di recente, è un breve pamphlet che, come il genere impone, fa politica, ma non la fa nei toni del manifesto, dell’attacco o del programma. Lo fa attraverso brevi monologhi simpatici che raccontano con ironia ma anche con crudo realismo una vita, quella dell’autrice Giulia Blasi, nata a Pordenone nel 1972 e che oggi lavora come giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica. Lo spirito è quanto più empirista e pragmatico possibile: invece di parlare di femminismo da un punto di vista teorico, ideale e formale, facendo riferimento agli autori (che pure sono citati nel testo), Blasi decide di usare se stessa come testa d’ariete per abbattere il muro di ipocrisie create dalla nostra cultura intorno alla figura del corpo femminile, sempre più rappresentato, idealizzato e caricato di valori che pesano sulla condizione delle donne.
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