Bracconaggio: Italia centro di traffici illegali, la "colpa" è anche della cucina tradizionale

di DOMENICO GUARINO -
3 marzo 2022
stragi_guardieWWF

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Quando pensiamo al bracconaggio la mente vola subito ai safari illegali, alle specie esotiche, a Paesi dove la legalità ci appare spesso compromessa e certamente all’altezza dei nostri standard. Ebbene: cancellate immediatamente questa immagine dalla testa! Purtroppo infatti è proprio l'Italia uno dei più importanti crocevia internazionali del traffico di specie protette e, in generale, dei crimini contro la fauna selvatica. Questo è quanto denuncia il WWF con il report “Il danno invisibile dei crimini di natura: analisi e proposte del WWF Italia” realizzato nell’ambito del progetto europeo SWiPE di cui WWF Italia è partner e lanciato alla vigilia di una data simbolo per la fauna protetta – il World Wildlife Day celebrato dall’ONU.

Il traffico delle specie esotiche. Fonte WWF

Il traffico illegale: colpa anche della nostra cucina

Tra le regioni in cui si verifica il maggior numero degli illeciti ci sono la Lombardia (5.256 denunce), il Veneto (2.526) e la Toscana (2.247)

Nel report, che fornisce un'analisi approfondita del fenomeno e documenta gli intrecci con il traffico illegale internazionale di specie protette, non mancano le sorprese. Ad esempio, tra le regioni in cui si verificano il maggior numero degli illeciti ci sono proprio quelle che meno ti aspetti: la Lombardia (5.256 denunce), il Veneto (2.526) e la Toscana (2.247). Allo stesso modo sorprende che i principali flussi di traffico illegale di specie protette coinvolgano la direttrice Italia/Stati Uniti. Infine, altrettanto (tragicamente) curioso è il fatto che siano molto spesso le tanto celebrate 'tradizioni' alimentari nostrane ad alimentare il bracconaggio o il commercio illegale. Si pensi ad esempio alla polenta e osei, piatto molto apprezzato soprattutto in Veneto, e Lombardia.  

Le specie a rischio e la pesca illegale

Anche se l’oggetto dei traffici illegali sono, nella maggior parte dei casi, i rettili, in Italia sono proprio gli uccelli le specie più minacciate dai criminali di natura. In particolare i passeriformi come i cardellini (illegalmente commercializzati per fini ornamentali) o i fringuelli, i pettirossi e altri piccoli uccelli, destinati al mercato illecito della ristorazione, e i rapaci spesso vittime di spari o avvelenamenti. Un posto rilevante nella scala del crimine contro gli animali ce l’ha però anche la pesca illegale: anguille (di recente inserite tra le specie minacciate dalla IUCN), oloturie squali  datteri di mare. Il cui commercio, spesso gestito da organizzazioni criminali, frutta ingenti guadagni illeciti.
Guardia-WWF-cardellino

Sul traffico di specie protette e il bracconaggio l’Italia sconta una grave carenza in termini di monitoraggio e “conoscenza” del fenomeno.

I dati dei CRAS

Dati allarmanti arrivano anche dai CRAS - i centri di recupero fauna selvatica gestiti dal WWF: solo in Lombardia, denuncia l’associazione ambientalista, “gli ospedali degli animali di Valpredina e Vanzago hanno accolto e curato nel 2021 circa 7.500 animali bisognosi di cure. Al CRAS di Valpredina 6 ammissioni su 10 ogni anno, in media, sono riconducibili a reati contro la fauna selvatica” Mentre oltre il 50% della fauna consegnata al centro bergamasco riguarda specie sottoposte a protezione, di cui circa il 36% sono particolarmente protette: al primo posto i rapaci. A fronte di tutto questo, l’Italia sconta una grave carenza in termini di monitoraggio e “conoscenza” del fenomeno.

Scarsa prevenzione e multe irrisorie per i bracconieri

“Non esiste una banca dati centralizzata sui crimini di natura, non c’è un tracciamento del fenomeno che provoca ogni anno una grave riduzione del capitale naturale del nostro Paese. Tutto ciò nonostante l’Italia sia dotata di un Piano di azione Nazionale ‘Anti-bracconaggio’, adottato per dare risposta alle richieste di miglioramento delle azioni di contrasto formulate dall’Unione Europea” sottolinea il WWF.  Secondo cui “queste gravi carenze compromettono la capacità di adottare idonee misure di prevenzione e pianificazione e si aggiungono ad un sistema di vigilanza assolutamente inadeguato e un regime sanzionatorio insufficiente a contrastare le illegalità. Chi uccide una specie protetta come un orso, un lupo o un’aquila oggi ha la possibilità di cancellare dalla fedina penale il proprio crimine attraverso il pagamento di una cifra irrisoria (circa 1.000 euro) e, più in generale, chi uccide, pone in commercio, detiene illegalmente animali selvatici, rischia sanzioni bassissime”.

In Italia abbiamo in media 3 agenti venatori ogni 1.000 cacciatori

La questione dei controlli è uno dei problemi più gravi. A partire dalla carenza del personale addetto: secondo i dati del WWF, in Italia abbiamo in media 3 agenti venatori ogni 1.000 cacciatori, due terzi degli agenti deputati alla vigilanza su questi crimini sono volontari, mentre il personale appartenente alle forze di polizia è troppo ridotto e non equamente ripartito sul territorio. “Per quanto cinque anni fa sia stato adottato un apposito Piano di azione Nazionale di contrasto al Bracconaggio, ancora oggi esso risulta inattuato nei suoi obiettivi principali, in particolare nella creazione di un sistema di monitoraggio del fenomeno, nel rafforzamento della cooperazione e della formazione dei vari soggetti preposti al contrasto di questi reati. La creazione di banche dati aggiornate e dettagliate, l’implementazione della vigilanza e l’adeguamento degli strumenti sanzionatori, rimangono infatti attività ad oggi ancora non efficacemente espletate".

L'appello del WWF

Per questo il  WWF lancia un appello a Governo e Parlamento “affinché si adottino misure più intense e strumenti più efficaci di contrasto all’illegalità ambientale, a cominciare dalla creazione di banche dati regionali (solo 5 regioni dimostrano di avere dati affidabili) il coordinamento tra le istituzioni, l’aumento dei controlli e il rafforzamento delle sanzioni. Modifiche oggi ancor più necessarie per dare concreta attuazione alle esigenze di tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi divenute principi fondamentali della Costituzione. Accettare lo status quo vorrebbe dire consentire ai criminali di continuare a fare affari impoverendo sempre più la natura. E con essa tutti noi”.