Il cognome del padre ai figli non è più automatico: finalmente giustizia per le donne in Italia

di ETTORE MARIA COLOMBO -
27 aprile 2022
Cognome figli

Cognome figli

Stop all’automatismo del cognome paterno ai figli. Via libera al cognome di entrambi i genitori. È una sentenza davvero storica quella presa dalla Corte costituzionale sulla base della quale sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome paterno ai figli, una regola che la Consulta ‘sorpassa’ perché “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio”. E una vittoria per le donne che potranno dare ai figli il loro cognome. Immediata il giubilo del mondo politico, almeno quello progressista, che però tradisce la incapacità del Parlamento a legiferare, finora, su un tema molto sentito. Ma vediamo prima di tutto cosa dice la sentenza.

Il cognome del padre ai figli non è più automatico. Via libera al cognome di entrambi i genitori

Cognome di entrambi i genitori ai figli, cosa cambia

E' "discriminatoria e lesiva dell'identità del figlio" la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre, ha stabilito la Corte costituzionale con una sentenza alla luce della quale la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell'ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, dicomune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno deidue.In mancanza di accordo sull'ordine di attribuzione delcognome di entrambi i genitori, resta salvo l'intervento delgiudice in conformità all'ordinamentogiuridico.

Riunita in camera di consiglio, la Consulta ha esaminato le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell'ordinamento italiano, l'attribuzione del cognome ai figli. In particolare, la Corte si è pronunciata sulla norma che non consente ai genitori, di comune accordo, di attribuire al figlio il solo cognome della madre e su quella che, in mancanza di accordo, impone il solo cognome del padre invece di entrambi i genitori.

In attesa del deposito della sentenza – e, dunque, di leggerne per intero le motivazioni - l'Ufficio stampa della Corte costituzionale fa sapere che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Secondo la Corte nel solco del principio di eguaglianza e nell'interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell'identità personale.La Corte ha, dunque, dichiarato l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio come fuori dal matrimonio e anche ai figli adottivi. Sarà compito del legislatore, però, regolare tutti gli aspetti connessia questa storica decisione.

 
Visualizza questo post su Instagram
 

Un post condiviso da Luce! (@luce.news)

Storica conquista delle donne dopo decenni di attesa

E così, dopo decenni di attesa, grazie alla Corte costituzionale presieduta da Giuliano Amato, le donne italiane hanno conquistato un diritto storico, finora negato dall’articolo 262 del codice civile, quello di poter dare ai propri figli il proprio cognome, un tabu che proprio la Corte inseguiva da un anno. Il 14 gennaio 2021, infatti, la Corte, allora con il presidente Giancarlo Coraggio e con Giuliano Amato relatore del caso, aveva già affrontato la questione.

Il caso portato all’attenzione della Corte era nato da una coppia di Bolzano che voleva dare al figlio, nato fuori dal matrimonio, il cognome materno perché, in tedesco, suonava meglio di quello del padre. La Corte aveva allora deciso di sollevare, davanti a se stessa, la questione di costituzionalità sulla norma del codice civile che fino a oggi, bloccava la possibilità, per una donna, di dare a suo figlio il proprio nome.

Le donne italiane hanno conquistato uno storico diritto, finora negato dall'articolo 262 del codice civile

Uomini e donne sono finalmente sullo stesso piano

Oggi cade dunque l’articolo 262 del Codice civile che dettava le regole per il cognome da assegnare al figlio nato fuori del matrimonio e recitava così: “Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre”. Il padre e solo lui. Ma oggi tutto questo finisce. Uomini e donne sono esattamente sullo stesso piano. Senza le gerarchie obbligatorie che finora hanno, in base alle leggi e ai codici, assegnato la primazia al cognome del padre. In una Corte che per la prima volta, con Marta Cartabia, ha avuto una presidente donna, e che, tra i 15 giudici, conta oggi ben quattro donne - Silvana Sciarra, Daria de Pretis, Emanuela Navarretta (relatrice del caso poiché Amato è divenuto presidente), Maria Rosaria San Giorgio - anche il “miracolo” della piena parità giuridica uomo-donna è divenuto possibile, a partire dai diritti del figlio.

In questo caso, tra l’altro, la Corte non ha seguito la via di dare un tempo prefissato - 12 mesi - al Parlamento per cambiare le regole come ha fatto invece per il suicidio assistito, per il carcere per i giornalisti, per l’ergastolo ostativo. Richieste per lo più cadute nel vuoto, come è accaduto per il suicidio, per i giornalisti e accadrà per l’ergastolo.

Finalmente con la deicisione della Corte costituzionale uomini e donne sono esattamente sullo stesso piano

Cognome materno, le sentenze di Strasburgo

Per il cognome materno la Corte ha scelto di assumersi la responsabilità di giudicare incostituzionale l’obbligo del solo cognome paterno, rispettando non solo le indicazioni delle Corti europee, come quella di Strasburgo che aveva già contestato all’Italia l’esistenza del solo cognome paterno, ma seguendo anche la sua giurisprudenza. È il 2006 quando, per la prima volta, la Consulta scrive che il solo cognome paterno è “il retaggio di una concezione patriarcale della famiglia e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con il valore costituzionale dell'uguaglianza uomo donna” ed esortava già il Parlamento a cambiare le regole.

Poi, dieci anni dopo, nel 2016, arriva un’altra sentenza che rappresenta una pietra miliare, quella in cui si stabilisce che per un figlio è possibile ottenere il doppio cognome, sia quello paterno che quello materno. Ma due anni prima, il 7 gennaio 2014, la Corte dei diritti umani aveva condannato l’Italia e riconosciuto che “dare ai figli il cognome della madre è un diritto”, consigliando all’Italia di “adottare riforme legislative di altra natura” per rimediare alla violazione. Un consiglio rimasto lettera morta fino alla storica sentenza di oggi della Consulta.

La costituzionalista sassarese Carla Bassu, 42 anni, si sta battendo per il doppio cognome: «Un modo per combattere il patriarcato»

Carla Bassu: “Ora non c’è più tempo. Il Parlamento legiferi su un ordinamento ormai anacronistico"

L’emozione – e anche la soddisfazione – della professoressa Carla Bassu, che insegna Diritto pubblico comparato all’università di Sassari e che da molti anni conduce una battaglia su tale tema. (Il suo libro “Il diritto all'identità anagrafica” si occupa proprio del “diritto alla trasmissione del cognome materno come espressione del principio di uguaglianza” è dedicato a sua figlia, Caterina, che non a caso porta il doppio cognome) è forte, ma sferza anche il Parlamento, ora, a legiferare.

La professoressa Bassu spiega proprio a Luce! che finalmente “l’attribuzione automatica ed esclusiva del cognome paterno alla prole, anche a fronte di volontà diversa dei genitori, è costituzionalmente illegittima. La Consulta, in verità, fin dal 1988 ciclicamente e con costanza ha richiamato l’intervento del Parlamento affinché conformasse il sistema italiano ai principi di democrazia paritaria. Negli anni la Consulta è stata costante nel riconoscere che l'automatica attribuzione del cognome paterno esprime una visione anacronistica e iniqua dei rapporti tra uomo e donna ma a lungo ha evitato di pronunciarsi nel merito, ritenendo un proprio intervento eccessivamente manipolativo rispetto alla sfera di discrezionalità politica riservata al Parlamento, ma nessuna delle proposte che si sono susseguite ha finito l’iter legislativo. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per la lesione del divieto di discriminazione causata dall’automatismo della trasmissione esclusiva del cognome paterno e dalla impossibilità di derogare a tale regola anche in presenza di una volontà comune dei genitori. Oggi la Consulta ha segnato un passo storico, indicando di fatto la strada al Parlamento che dovrà prendere atto di quanto stabilito in base al principio di eguaglianza e all’interesse dei figli di essere riconosciuti dall’ordinamento e nell’ambito della comunità di appartenenza come discendenti della madre al pari che del padre. Diversi disegni di legge sono stati depositati (ieri sono state avviate le prime audizioni informali in seno alla Commissione Giustizia del Senato) e alcuni di essi riflettono le indicazioni della Corte: è dovere del legislatore regolare quanto prima tutti gli aspetti relativi alla decisione odierna. Qualcuno dirà che in questo momento c’è ben altro a cui pensare, ma se 34 anni (tanto è passato dalla prima pronuncia della giurisprudenza costituzionale in materia) la questione del cognome è stata superata da altre priorità, ora davvero non c’è più tempo. Il nome è identità e appartiene alla sfera più intima dei diritti individuali, incidendo sulla nostra dignità: non è concepibile né compatibile con la nostra Costituzione una differenziazione rispetto al genere nell’assegnazione del cognome”.

La ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti: "La Consulta torna a ricordarci che è arrivato il tempo di cambiare"

Ancora manca una legge sul doppio cognome

La politica infatti plaude, ma ha la coda di paglia. Infatti, una legge, sul doppio cognome, manca, nonostante e proprio le sollecitazioni della Corte. La vicepresidente dei senatori di Iv, Laura Garavini, presentatrice di un ddl a sua prima firma sul cognome materno, esprime “rammarico per le lungaggini del Parlamento che come troppo spesso accade viene sorpassato dalla Corte: ora avanti veloci con l'approvazione di una legge fondamentale per la parità di genere”.

La presidente dei senatori del Pd Simona Malpezzi, co-presentatrice di un ddl a frima Pd presentato al Senato rimarca che non possiamo dimenticare che, per l'ennesima volta, la Corte è arrivata prima del legislatore. Ora chiediamo al presidente della commissione Giustizia Ostellari che il provvedimento venga approvato rapidamente in piena aderenza a quanto stabilito”.

Anche la senatrice dem Valeria Fedeli, da sempre impegnata su questo tema con l'Intergruppo delle senatrici e seconda firmataria del disegno di legge di riforma con la Malpezzi, ricorda che “l'automatismo di attribuzione del cognome paterno è lesivo dell'identità del figlio e della figlia, oltre ad essere espressione anacronistica di una società non paritaria che va superata realizzando pienamente il principio di uguaglianza”, spiega che “è molto importante la pronuncia della Corte Costituzionale, che addirittura bolla anche come illegittime le norme che stabiliscono l'attribuzione automatica del solo cognome paterno” e rimarca che si tratta di “un monito al Parlamento ad intervenire. Il Paese è pronto ed aspetta da già troppo tempo”.

Un commento arriva anche dalla senatrice pentastellata Alessandra Maiorino, il cui nome è legato ad alcune delle più recenti battaglie sociali come quella per il matrimonio egualitario. "Cade l'automatismo dell'attribuzione ai figli del solo cognome paterno. La decisione presa oggi dalla Consulta è un fatto storico per l'Italia e cancella una regola arcaica e iniqua. Garantire pari diritti alle donne in ambito familiare significa innanzitutto riconoscere la loro identità e il loro ruolo, anche in relazione ai figli. È una battaglia che come Movimento 5 Stelle stiamo conducendo da anni dentro e fuori il Parlamento, insieme alle associazioni che se ne occupano come la Rete per la Parità e Zonta". Queste le parole della capogruppo nella commissione Giustizia.

Chiosa la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti (Iv): “La Consulta torna a ricordarci che è arrivato il tempo di cambiare. Andiamo avanti presto e insieme su una strada che più volte ho sollecitato a percorrere: da ministra garantisco all'iter parlamentare tutto il sostegno del Governo”. Tutto bene, e tutto giusto, ma il merito, a oggi, è solo della Consulta e per nulla del Parlamento che al solito dorme…