Da Nord a Sud, le scuole hanno riaperto i cancelli, tra nuove speranze ed entusiasmi più o meno condivisi. Peccato che, come in un ciclo senza fine, ad attendere sui banchi studentesse, studenti e famiglie sono state – come ogni anno – le storture di un sistema che pare non avere alcuna intenzione di trovare una cura al proprio male. Le disuguaglianze, anziché ridursi, si stratificano ulteriormente. Da anni, si continua a ripetere che il sistema scolastico italiano ha bisogno di riforme, di risorse, di una visione capace di guardare al futuro, ma siamo ancora fermi al punto di partenza.
Il tempo pieno è un lusso che riguarda solo 2 bambini su 5, le palestre paiono un miraggio e le mense si sono trasformate in un servizio che copre meno della metà degli alunni. Inutile ribadirlo: siamo alle prese con un Paese che non investe adeguatamente nell’educazione, con un sistema che, invece di risolverle, amplifica le disuguaglianze sociali ed economiche. “Scuole disuguali”, l’interessante rapporto di Save The Children sullo stato dei luoghi in cui l’educazione in Italia trova casa, ha messo nero su bianco ciò che molte e molti, seppure inascoltati, avevano annunciato: gli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), benché significativi nei numeri, non stanno avendo l’impatto sperato. Un dato che travolge soprattutto i territori più fragili. Il PNRR ha stanziato circa 17 miliardi di euro per il Ministero dell’Istruzione e del Merito, ma la distribuzione e la gestione delle risorse è risultata a dir poco fallimentare. Le regioni del Sud, in cui si concentrano le maggiori difficoltà socio-economiche, continuano a rimanere in affanno.
Il tempo pieno
Proviamo a ragionare sul tempo pieno, strumento di welfare fondamentale principalmente per le donne, sulle cui spalle grava la maggior parte del lavoro di cura della famiglia. In alcune zone del Nord e del Centro, più del 50% degli studenti ha accesso a questo servizio, mentre in regioni come il Molise, la Sicilia e la Puglia le percentuali scendono drasticamente. Una disparità niente affatto casuale. A ben vedere, i servizi di base mancano proprio nei luoghi in cui le famiglie vivono già in condizioni di povertà economica e culturale. La metafora “gettare benzina sul fuoco” non potrebbe essere più adatta. Il fatto è che la mancanza di infrastrutture scolastiche adeguate non è solo un problema logistico, ma una questione di equità e giustizia sociale. La scuola, a prescindere dalle origini e dall’estrazione sociale, deve essere luogo di opportunità e non certo di privazione né di discriminazione. Nei fatti, invece, gli istituti scolastici si trasformano nello specchio fedele delle disuguaglianze del mondo.
La distribuzione dei fondi del PNRR
Per comprendere meglio le dimensioni di questo fenomeno, che ha dell’incredibile per una democrazia che vuole dirsi matura, basta concentrarsi sulla distribuzione dei fondi del PNRR. Un dato fa riflettere: il 38,1% delle risorse destinate alle mense scolastiche è stato assegnato alle regioni del Sud e delle Isole, ma tali risorse finanziano quasi il 50% del totale dei progetti. Ciò significa che, nonostante la mole di investimenti, la copertura resta insufficiente, soprattutto nelle aree in cui il bisogno è maggiore. E qui sorge un dubbio cruciale: perché, nonostante l’imponente mole di finanziamenti, le istituzioni non riescono a garantire servizi essenziali in modo uniforme su tutto il territorio nazionale? È evidente: il problema non è solo legato alle risorse. La questione è ben più profonda e ha parecchio a che fare con il concetto di visione politica. Le istituzioni non possono più permettersi di ignorare il fatto che, in un Paese come il nostro, le disuguaglianze scolastiche si traducono in un futuro segnato dalle medesime ingiustizie. Se non si interviene ora, si rischia di perdere intere generazioni, condannate a un percorso scolastico e lavorativo penalizzato in partenza.
Come e dove intervenire
Alla luce di queste amare riflessioni, viene spontaneo interrogarsi su come fare per arginare una simile deriva. Di sicuro, è urgente adoperarsi per una scuola in grado di ridurre simili differenze. Se guardiamo al presente, però, il futuro non sembra così promettente. Non basta costruire nuove strutture, se non ci sono fondi per mantenerle operative. Non basta introdurre il tempo pieno, se le famiglie non possono permettersi il servizio mensa. Non è sufficiente parlare di innovazione, se le scuole nelle aree più povere del Paese continuano a non avere le risorse necessarie per offrire a studentesse e studenti un’educazione dignitosa. La proposta di Save The Children di definire e finanziare i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), a partire dall'accesso alla mensa e al tempo pieno nella scuola primaria, assicurando la gratuità del pasto ai bambini in condizione di povertà, appare come una soluzione concreta e necessaria. Studentesse e studenti, indipendentemente dal luogo di nascita e residenza, devono avere accesso ai medesimi servizi educativi di base. Per andare in questa direzione serve un impegno serio e continuativo da parte dello Stato. Il rischio infatti è che, una volta esauriti i fondi del PNRR, i nuovi servizi rimangano inutilizzati perché carenti di risorse. È già accaduto in passato e potrebbe accadere di nuovo. Ecco perché è fondamentale che le istituzioni, a tutti i livelli, si attrezzino per garantire la sostenibilità dei nuovi servizi, senza che il costo ricada interamente sui Comuni o, peggio, sulle famiglie. Il PNRR è un’occasione unica per superare le disuguaglianze, ma il suo successo dipende dalla capacità di trasformare gli investimenti in risultati concreti. Non possiamo permetterci di fallire. Non questa volta. La scuola non può essere un privilegio per pochi.