El Salvador: condannata a 30 anni di carcere con l'accusa di omicidio dopo un aborto spontaneo

di MARIANNA GRAZI
11 maggio 2022
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Un tribunale di El Salvador, piccolo stato dell’America centrale, ha condannato a 30 anni di carcere una donna che ha avuto un aborto spontaneo. L'accusa nei suoi confronti è quella di omicidio aggravato. Secondo molti attivisti, il suo caso rappresenta un severo monito per le donne degli Stati Uniti, dove la Corte Suprema sta valutando di ribaltare una sentenza chiave che ha legalizzato l'aborto.

La criminalizzazione delle donne

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Una donna è stata condannata a 30 anni di carcere per omicidio dopo un aborto spontaneo

La donna, identificata solo come "Esme", è stata condannata lunedì scorso, dopo quasi due anni di detenzione preventiva, in seguito al suo arresto nel 2019 mentre cercava cure mediche in un ospedale pubblico per problemi insorti durante la gravidanza. "La condanna di Esme è un passo indietro sconvolgente per i progressi compiuti contro l'illegale criminalizzazione delle donne che presentano emergenze ostetriche a El Salvador", ha dichiarato al Guardian Paula Avila-Guillen, avvocata internazionale per i diritti umani e direttrice esecutiva del Women's Equality Center. Secondo la legale poiché gli USA si trovano ad affrontare il possibile rovesciamento della sentenza Roe v. Wade – la sentenza della Corte Suprema del 1973 che ha legalizzato l'aborto – casi simili diventeranno sempre più comuni, non solo in America. "Abbiamo visto più volte, in tutta l'America Latina, che quando l'aborto è criminalizzato, le donne sono costrette a dimostrare che una qualsiasi delle numerose complicazioni di natura ginecologica di cui soffrono è effettivamente un'emergenza. Quando non possono o non hanno le risorse per farlo, o semplicemente non vengono credute, rischiano il carcere", ha aggiunto. "Tutti negli Stati Uniti dovrebbero guardare El Salvador in questo momento, per capire esattamente cosa comporta un futuro senza Roe", conclude l'avvocata.

La legge di El Salvador: aborto vietato a qualsiasi costo

Manifestanti pro choice El Salvador

Manifestanti pro-choice a El Salvador

Nel piccolo stato centroamericano sono in vigore alcune delle leggi sull'aborto più draconiane al mondo, con un divieto totale della procedura approvato nel 1998. A differenza di molti altri Paesi dell'America Latina, a El Salvador l'interruzione di gravidanza è illegale anche nei casi in cui il bambino sia stato concepito a causa di uno stupro o di un incesto, o quando la salute della madre o del bambino sono a rischio. Il caso di Esme, purtroppo, è tutt'altro che isolato: Morena Herrera, presidente del Gruppo cittadino per la depenalizzazione dell'aborto, ha definito la sentenza "un duro colpo" e ha chiesto che gli aborti spontanei siano trattati come una questione di salute pubblica piuttosto che come un reato. Il codice penale, infatti, prevede per le donne che abortiscono la detenzione che va da due a otto anni, ma non sono pochi gli esempi in cui i giudici hanno considerato l'interruzione di gravidanza un omicidio aggravato, punendolo con pene che vanno dai 30 ai 50 anni di carcere, anche nei casi di aborto spontaneo. Tutte le donne insomma, anche minorenni, sono costrette a portare a termine la gravidanza a qualsiasi costo, per non rischiare di finire in prigione. "Continueremo a lottare affinché tutte le donne ingiustamente criminalizzate da queste circostanze riacquistino la libertà e abbiano l'opportunità di rifarsi una vita", afferma Morena Herrera.

Più di 180 donne imprigionate per omicidio

manifestazioni pro aborto el salvador

El Salvador. Negli ultimi 20 anni più di 180 donne sono finite in carcere con l'accusa di omicidio aggravato per aver abortito

Secondo i gruppi di di difesa dei diritti, a El Salvador negli ultimi vent’anni più di 180 donne sono state arrestate con per omicidio per aver avuto un aborto spontaneo causato da gravi problemi di salute. Dal 2000 al 2014 almeno 49 hanno ricevuto una condanna, mentre sono decine quelle denunciate. Da dicembre 2021, otto donne che stavano scontando lunghe pene detentive hanno però ottenuto la commutazione della pena. Intanto due mesi prima, lo scorso ottobre, il governo ha respinto una proposta di riforma del codice penale sostenuta da vari gruppi di attiviste, in cui si proponeva la depenalizzazione dell'interruzione volontaria di gravidanza nei casi di stupro, di pericolo per la vita della donna e di gravi malformazioni del feto. La 'guerra', quindi, è ancora in corso, e il caso di Esme rappresenta l'ennesima vittoria di chi nega i diritti umani delle donne. Ma come in tutte le guerre le battaglie sono tante da combattere e la parola fine appare ancora lontana. Speriamo solo che quello che sta accadendo nei vicini Stati Uniti non acceleri il percorso verso il disastro.