Anche le donne giocano. E non poco. In Italia la questione del gioco d’azzardo non è stata quasi mai vista attraverso le lenti della prospettiva di genere. Che invece può rappresentare un punto di osservazione molto interessante. È di questo che si occuperà, tra le altre cose, il convegno “Azzardo, un impegno lungo tre anni”, che si svolgerà il 23 aprile nella sala Sibilla Aleramo alla Biblioteca delle Oblate di Firenze.
Ne abbiamo parlato con Elena Maria Caciagli della Cooperativa Il Cammino, coordinatrice progetto Velia.
Qual è il profilo-tipo del giocatore d’azzardo?
“Con l’introduzione del gioco online, i profili del giocatore d’azzardo sono profondamente cambiati. Come cooperativa il Cammino gestiamo dal 2015 sportelli d’ascolto territoriali rivolti a giocatori/giocatrici e familiari e se fino a le periodo Covid gli accessi erano perlopiù di uomini over 50 o pensionati che giocavano prevalentemente a slot machines e scommesse sportive nelle sale, da un paio di anni abbiamo visto affiancarsi richieste di giovani adulti, che oltre a giocare d’azzardo nelle sale scommesse hanno anche i loro conti-gioco online e si sono “dedicati” ai giochi di abilità (ovvero, casinò online).Restano prevalenti le richieste maschili rispetto a quelle di donne”.
Spesso si usa il termine ludopatia per i giocatori patologici, è corretto?
“Sarebbe meglio non usare il termine ludopatia. Il “gioco” (ludus) pedagogicamente inteso ha una valenza sociale e psicologica che permette, fin dalla prima infanzia, di apprendere le regole che muovono la nostra società (pensiamo per un momento al gioco del “fare finta”: il bambino mette in pratica regole di comportamento che vive nel quotidiano). Ma il gioco e gli aspetti ludici non appartengono soltanto ai bambini: a quanti di noi non è mai capitato di giocare ad un gioco da tavola, magari insieme ad altri amici o familiari? Quindi con il termine ludopatia si afferma che TUTTO il gioco può creare dipendenza, in realtà solo l’azzardo lo fa. Il linguaggio ed il suo utilizzo sono aspetti molto indicativi nel campo del gioco d’azzardo”.
I dati sul gioco d’azzardo patologico cosa ci dicono delle giocatrici?
“I pochi e recenti dati relativi alle giocatrici d’azzardo in Italia rivelano quanto questo fenomeno sia realmente trasversale e presente in praticamente tutte le fasce della popolazione. È necessario fare un’ulteriore premessa: la popolazione femminile giocatrice d’azzardo è di recente oggetto di interesse a livello “macro”. Sul territorio nazionale esistono poche esperienze di presa in carico di donne giocatrici o creazione di gruppi di genere. Questo non significa assolutamente che il fenomeno non esista, ma che, a monte, vi sono delle difficoltà per far emergere questo aspetto. Primo fra tutti: quali strategie adoperare per intercettare la donna, quali misure di ascolto e presa in carico sviluppare e come delineare un setting ‘women friendly’.
La premessa con la relativa osservazione hanno guidato la progettazione e la realizzazione delle azioni del progetto Velia che è inserito nel Piano di Contrasto ai rischi azzardo–correlati della Regione Toscana, poiché a livello nazionale ed internazionale è il primo così specificatamente di genere basato sulla prevenzione”.
Esiste un profilo tipo della donna che gioca?
Il recente studio Ipsad dell’Ifc-Cnr afferma che circa 800 mila persone mostrano un rischio moderato/severo di sviluppare un Disturbo da Gioco d’Azzardo. Di questa popolazione, la percentuale femminile con profilo problematico moderato/severo si differenzia notevolmente da quella maschile di molti punti percentuali, sia nella fascia d’età 18-40 anni (1,4% donne, 5,7% uomini), sia nella fascia 41-60 anni (1,3% donne, 3,2% uomini), mentre si assottiglia moltissimo nella fascia d’età 61-84 anni (2,1% donne, 2,2% uomini). Questo dato è importante perché delinea un primo quadro: le donne in età avanzata sono tra le più vulnerabili e soggette a sviluppare una dipendenza. All’interno di questa classe di popolazione si notano anche altri aspetti interessanti”.
Quali?
“La condizione economica della donna è più svantaggiata rispetto a quella dell’uomo (la donna, molto spesso è disoccupata o inoccupata o percepisce la pensione minima);
sono molto più frequenti i casi di vedovanza, separazione/divorzio, delineando una situazione di maggior solitudine;
la donna predilige giochi a “strategia zero” come i gratta e vinci, le slot machines o il lotto;
il Disturbo da Gioco d’Azzardo nella donna è maggiormente associato a disturbi di ansia e dell’umore”.
Vale anche per i gioco online?
“In questo caso il profilo in qualche modo cambia poiché è la fascia di popolazione a cambiare: la forbice tra i giocatori e le giocatrici d’azzardo si assottiglia nelle fasce d’età più giovani. La letteratura internazionale afferma, infatti, come sia la frequenza, sia la tipologia di gioco d’azzardo nella popolazione giovanile femminile sia quasi speculare a quella maschile.
Che il mondo dell’azzardo online inizi ad essere appetibile anche per le donne se n’è accorta anche Adm, tant’è che nell’ultima edizione del Libro Blu (2022) ha dedicato per la prima volta un paragrafo specifico relativo all’apertura di nuovi conti gioco nella popolazione femminile.
Il risultato è che, su un totale di 1.186.633 nuovi conti gioco aperti dalle donne 18-75 anni nell’anno 2022, la fascia 18-24 anni risulta essere quella più numerosa”.
Rispetto alle famiglie, che conseguenze ha il gioco d’azzardo patologico delle donne?
“Il Disturbo da Gioco d’Azzardo nelle donne ridefinisce quelle che sono le dinamiche familiari per come siamo abituate a considerarle. Uno degli ostacoli più grandi che ha la donna nel chiedere aiuto è proprio quello di poter contare su qualcuno che la sostenga e l’accompagni già dalla prima fase. Il rischio è che la solitudine soffochi la motivazione e la spinta a chiedere aiuto. Mi occupo d’azzardo dal 2014 quando la Cooperativa Il Cammino (Pisa) ha aperto il suo primo sportello di ascolto per giocatrici/giocatrici e familiari, e quello che posso dire è che in base alla mia esperienza le donne che ho incontrato sono state sole già dal primo colloquio. Per quanto le famiglie fossero a conoscenza del problema-azzardo, quasi mai le donne hanno trovato supporto ed accompagnamento e questa è la questione-clou per poter trattare la condizione femminile. La donna ha a priori difficoltà a condividere con qualcuno a lei caro questo importante pezzo di vita. Il senso di colpa e di fallimento che porta con sé è lo specchio della situazione familiare che vive quotidianamente. Questa solitudine non si vede quando allo sportello viene un uomo. L’uomo giocatore ha al suo fianco la propria moglie o la propria compagna che partecipa ai colloqui o che si interessa del suo percorso. Magari è arrabbiata, delusa, frustrata, ma c’è!”.
In generale quali sono le conseguenze sulle famiglie?
Con l’azzardo i rapporti familiari inevitabilmente si vanno a ridefinire. Uno dei primi aspetti è sempre quello della gestione economica: altri membri del sistema-famiglia dovranno farsi carico di questo compito sostituendo per il periodo che serve il ruolo di chi ha sviluppato il Dga. La gestione economico-finanziaria deve essere rivista con rigore, prevedendo un tutoraggio con riscontri delle spese sostenute attraverso ricevute, scontrini o altro. Un lavoro, posso assicurare, di grande pesantezza ed impegno. La figura dei familiari/persone di riferimento (tutor) è da tenere in grossa considerazione poiché è un ruolo al quale spetta un compito gravoso, sia operativamente, sia da un punto di vista relazionale: convivere con una persona che nella gestione di sé non è più quella che era abituato/a ad avere accanto. Questo è il motivo per il quale spesso, laddove ce ne sia la possibilità, suggeriamo di coinvolgere qualcuno esterno al nucleo familiare, che quindi non abbia la compromissione affettiva della relazione familiare. Il rischio, che a volte si verifica, è che i legami si rompano del tutto”.
Che misure bisognerebbe adottare, se non proprio sconfiggere, quantomeno per limitare il fenomeno, almeno nei suoi aspetti più drammatici?
“Partendo dai “piani più alti” – intesi come parte politica che regola e governa il fenomeno - occorrerebbe diminuire l’offerta di gioco d’azzardo fisico e online. Visitando il sito di Adm troviamo più di 40 tipologie di gratta&vinci diversi, le offerte online prolificano e, come affermato in più di un’occasione pubblica dal Cav. Filippo Torrigiani consulente della Commissione Nazionale Antimafia, in Italia ci sono più apparecchi Slot/VLT che posti-letto in ospedale. Personalmente ho posizioni contrarie al proibizionismo, ma è pur vero che questo trend di offerta ha raggiunti livelli imbarazzanti e preoccupanti. La preoccupazione sale assistendo alle evoluzioni della recente conferenza stato–regioni, che ha visto la preoccupante proposta da parte delle concessionarie di azzardo agli enti locali: partecipare direttamente al gettito dell’attività di azzardo sui rispettivi territori. Questo significherebbe subordinare gli aspetti di salute e di sicurezza sociale alle logiche economiche di interesse e profitto delle grandi lobby”.
Esiste, però, il fondo prevenzione nazionale: non è sufficiente?
Non possiamo pensare che il solo fondo nazionale per la prevenzione dai rischi dell’azzardo possa essere sufficiente, laddove esso viene applicato a macchia di leopardo, con situazioni regionali molto diverse l’una dall’altra e senza il riferimento ad un organismo centrale che ha perso completamente il ruolo che già difficilmente stava assumendo: sto parlando dell’Osservatorio Nazionale del Fenomeno dell’azzardo, che dopo essere stato rinominato nella sua ricomposizione è stato cancellato. Con il recentissimo riordino dei giochi online, infatti, questo osservatorio è stato sostituito da una non meglio definita consulta sull’azzardo, che è stata collocata nel ministero dell’economia: siamo sicuri che sia il luogo più idoneo alla funzione di monitoraggio dei rischi e dell’andamento del fenomeno?”.
Quanto conta la prevenzione?
“Tantissimo. Infatti chiediamo che si introducano politiche sociali che diano continuità alle azioni di prevenzione e di cura già in essere, che hanno dato esiti tangibili ed effetti concreti, garantendo la reciproca collaborazione tra i servizi per le dipendenze (SerD) e il privato sociale. Un’impostazione centralizzata ma allo stesso tempo articolata sulla base delle peculiarità territoriali, che permetta un monitoraggio omogeneo dei territori, l’intervento tempestivo sulle eventuali criticità e una reale educazione culturale che contenga la ‘gameificazione’ in corso di troppi aspetti della nostra società”.