Se la percentuale delle giovani donne che abbandonano la carriera – per meglio assistere la famiglia o altro – è già alta in generale, la situazione si inasprisce ulteriormente quando si parla delle studentesse o delle professioniste impegnate nel campo della scienza.
I dati, ben poco confortanti, non riguardano solo l’Italia, ma l’Europa tutta, anche se il nostro Paese sembra essere (quasi) un fanalino di coda. A metterlo in evidenza è l'Osservatorio Stem di Deloitte, che nel nostro caso sottolinea come le ragazze iscritte ad un corso di laurea nelle cosiddette materie Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) siano solo il 14,5% di quelle che frequentano l'università, molto al di sotto della media europea.
Gli stereotipi di genere frenano le donne nelle carriere Stem
La metà circa delle intervistate prese in esame parla di stereotipi di genere, che sfortunatamente e ancora troppo spesso costituiscono un disincentivo forte nell’intraprendere percorsi di studio simili. Ed anche tra coloro che, nonostante le difficoltà, sono riuscite ad avviare una carriera in campo scientifico – si parli di docenza o di ricerca – sono ben poche quelle che riescono a portarla avanti.
In questo caso a sottolinearlo è uno studio del 2023 pubblicato su The Lancet Regional Health - Europe: le donne europee abbandonano progressivamente la carriera accademica arrivando a costituire appena il 33% dei ricercatori e solo il 26% delle figure apicali, tra cui professori ordinari, direttori di dipartimento e di centri di ricerca.
Peggio ancora se parliamo di scienza, perché – tutto sommato - per le discipline umanistiche le donne occupano oltre il 30% delle posizioni più alte della carriera. Ma nel caso delle Stem il dato scende addirittura al 22% per le scienze naturali e al 17,9% per le aree legate a ingegneria e tecnologia. In questo caso il nostro Paese occupa addirittura il terz’ultimo posto in Europa.
Il problema però non sembrerebbe essere facilmente estirpabile, se è vero che le barriere da infrangere si incontrano già in giovane età. A verificarlo, questa volta, è un’indagine condotta da Ipsos per Save the Children – diffusa nel 2022 – secondo la quale le materie scientifiche continuano ad essere “percepite” dalle giovani come “poco adatte”, nonostante incuriosiscano il 54% delle studentesse.
L’esperienza di Valentina Giordani
Valentina Giordani è una ragazza fiorentina di 22 anni, iscritta alla Facoltà di Fisica e Astrofisica della sua città. È bella, ma di apparire e di essere apprezzata per le sue doti fisiche non le interessa affatto, tanto che non sono riuscita a strapparle neanche una fotografia. Quello che le piace è studiare le sue materie, anche se ammette di aver incontrato alcune difficoltà, sia per il fatto di essere una giovane donna che per il suo aspetto.
Valentina, perché ha scelto di studiare Astrofisica all’università?
“Perché quando ero al liceo classico le materie scientifiche erano quelle in cui riuscivo con più facilità e che maggiormente mi divertivano. Certo, all’università è tutta un’altra cosa, indubbiamente le materie sono molto più difficili, ma restano comunque affascinanti per me”.
Cosa sogna di fare dopo la laurea?
“Vorrei diventare astronauta, ma so che come scelta non è molto verosimile. Mi accontenterei comunque di lavorare in qualche ufficio, seguendo le missioni spaziali da terra. Oppure studiare le stelle, magari nell’osservatorio di Arcetri”.
È vero che siete in poche studentesse iscritte all’università?
“Siamo in minoranza, questo è certo, ma la situazione non è drammatica come cercano di far credere. Nella mia facoltà le ragazze sono un terzo degli iscritti, e stanno aumentando…insomma, ricordo che quando parlavo alla gente della mia scelta tutti commentavano dicendo ‘Sarai l’unica femmina della facoltà’, invece non è così. Comunque, io credo che le ragazze siano più impegnate a fare mille cose diverse rispetto ai maschi. Per esempio, io e le mie compagne abbiamo lavori part-time, facciamo sport ecc. I ragazzi invece per la maggior parte studiano e basta”.
Secondo lei esistono ancora discriminazioni di genere all’Università?
“Più che altro direi che esistono ancora nella società in generale. Il problema è che purtroppo ci siamo abituate al fatto che gli uomini ci guardino in un certo modo, anche quando passiamo per strada e magari non dicono nulla. Resta il fatto che quello sguardo giudice è una cosa molto triste da sopportare”.
I progetti in campo
Eppure la questione delle ‘quote rosa’ tra gli iscritti alle facoltà scientifiche di tutta Italia comincia ad essere sentita anche nell’ambiente stesso dell’università, tanto che, in occasione della Giornata Internazionale dedicata alle ragazze Stem, sono state organizzate interessanti iniziative. Un esempio è quello dell’università di Milano, che ha emesso un bando per progetti coordinati da giovani ricercatrici al rientro dalla maternità, con il chiaro obiettivo di motivarle a proseguire la carriera scientifica.
Specifico per le studentesse Stem, invece, è il progetto Girls Polimi - Borse per future ingegnere del Politecnico di Milano, che intende incentivare le ragazze a completare gli studi e a raggiungere i propri obiettivi.
Fortunatamente questi sono solo due esempio dei molti atenei, istituzioni ed enti di ricerca che stanno sfruttando l'occasione della Giornata dedicata a donne e ragazze stem per avvicinarle ancora di più al mondo della scienza. Tra loro – e lungo tutto lo Stivale - l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, da Roma a Cagliari, da Torino a Firenze, che ha promosso lezioni, incontri e spettacoli teatrali rivolti soprattutto alle giovani studentesse. I canali social dell'Infn aderiscono anche alla campagna #WomenInScience, che darà spazio ai contributi di quattro grandi scienziate al progresso della conoscenza: Vera Cooper Rubin, Marietta Blau, Chien Shiung Wu e Milla Baldo Ceolin.
Interessante è anche l’iniziativa dell'Istituto Nazionale di Astrofisica STEMmano ponno esse donne o ponno esse scienziate, organizzato oggi a Roma dal progetto di divulgazione scientifica La Scienza Coatta.
Women of Science su RaiPlay
A partire da oggi, inoltre, su RaiPlay è disponibile Women of Science, ovvero una collezione di sei documentari che raccontano altrettante storie di donne – matematiche, ricercatrici, ingegneri o tech wizard –, che condividono la passione per la magia della scienza.
Ognuna di loro ha una storia, attraverso la quale il programma intende incoraggiare le ragazze delle nuove generazioni ad avvicinarsi alle materie scientifiche, spiegando perché oggi le donne si trovino ancora in minoranza in determinati settori scientifici e creando nuovi modelli capaci di abbattere gli stereotipi di genere.
Il primo documentario è dedicato all'italiana Monica Gori, scienziata dell'Iit di Genova, che dopo un percorso di studio tra discipline artistiche e psicologiche sceglie di abbracciare il mondo della robotica e conquista un ruolo importante nello sviluppo delle tecnologie per la disabilità infantile. Le altre storie sono quelle di Anne-Marie Imafidon, importante scienziata informatica, imprenditrice, ceo e autrice, che sostiene le donne nello sviluppo di carriere stem, e quella di Doris Schlaffer, It manager di Vienna, creatrice di The New It Girls, ossia una rete che oggi conta oltre 1.600 donne del settore. Sarah Baatout, direttrice di un'unità di radiobiologia belga, studia invece l'impatto delle radiazioni ionizzanti sulla salute e lavora per promuovere l'uguaglianza di genere nel mondo accademico e della ricerca; Tiziana Bräuer, giovane ingegnere tedesco, misura l'effetto delle scie di condensazione degli aerei sul clima. Per concludere la storia della chimica Ieva Plikusienė, impegnata nel progetto di sviluppo di biosensori ottici per rilevare diversi materiali biologicamente attivi, come le proteine Covid o i biomarcatori del cancro.