
Sebastiano Gravina con la moglie e la figlia
Sebastiano Gravina, 35 anni, barese trapiantato a Pietra Ligure, è ipovedente dalla nascita, ma nella sua diversità vede un’opportunità. "È stato un percorso difficile. Da bambino i compagni mi facevano gli sgambetti, ma gli scogli più grossi li ho affrontati con i parenti. Siccome ero cieco, era inutile fare qualcosa con me. E non c’è niente di più sbagliato".
La star del web – @videociecato – martedì 15 aprile è a Cernusco sul Naviglio. In Sala Camerani alle 21 l’incontro con il tiktoker che conta più di 200mila follower, attivista, capitano della Nazionale di Calcio non vedenti. «La disabilità? Non è un limite, ma un punto di svolta, va vissuta con il sorriso - dice -. Non siamo poverini, possiamo avere una vita normale come quella di tutti». Un appuntamento esteso al benessere nell’anno della città da Capitale Europea dello Sport inclusivo. Nel pomeriggio il tiktoker è stato alla Castel di Pessano, una delle 15 aziende della provincia che con il Consorzio Csel sta provando a migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti disabili.
È sposato, 21 mesi fa avete avuto una figlia, Nicole.
"Il dono più grande che la vita potesse farci. L’abbiamo desiderata con tutte le forze e contro tutti. Temevano che non saremmo stati in grado, anche mia moglie è cieca, invece viviamo da soli con la piccola che è davvero la luce dei nostri occhi. L’unico rammarico è che non potremo mai vederla. Ma la gioia di averla supera il dolore".
Non si piange addosso, i suoi video su Tiktok sono pieni di ironia.
"È un’arma contro le barriere nelle quali viviamo immersi. Quelle fisiche, dipendono da quelle culturali. Dobbiamo abbattere la mentalità imperante, nonostante tante buone intenzioni. La mia paternità lo dimostra. Nicole, al contrario di quello che sosteneva il mondo intorno a noi, ci vede benissimo".
Il suo è un impegno per tutti?
"Ho cominciato nel 2018 per caso. È stato mio fratello a spingermi a provarci. Così un giorno mi sono ripreso mentre cucinavo: volevo mostrare che non è diverso per noi. Facciamo le stesse cose degli altri, solo più lentamente. Non siamo extraterrestri. Allora non c’erano molta disabilità sui social, ma ho avuto al fortuna di essere notato da Selvaggia Lucarelli che mi ha intervistato e il messaggio ha cominciato a volare. Ora, vado ovunque mi chiamino per sensibilizzare sulla nostra causa: siamo normali".
Quando la rabbia si è trasformata in spinta sul futuro?
"A 10 anni, ma fino ad allora incolpavo i miei genitori per il mio stato. Poi ho capito che il problema ero io. Ho cominciato a sdrammatizzare, a riderci sopra, e a voler fare tutto da solo: tagliare la bistecca con il coltello, mettermi alla prova. Volevo conosce il mondo e così ho fatto".
Ha incontrato diffidenza?
"Sì, per questo dico oggi che i social sono stati un trampolino formidabile: non fanno differenza. Non si può dire della televisione: non si è ancora visto un conduttore disabile. Nel web c’è accoglienza, i giovani possono scardinare la vecchia mentalità che vorrebbe l’handicap sempre all’angolo".
Ci sono limiti?
"No, per nessuno. E neanche per noi. Dipende tutto dal modo di reagire".
Il suo rapporto con lo sport?
"È stato il mio servizio di leva. È davvero una chiave fondamentale di autonomia e i genitori di ragazzi con handicap devono spingerli all’attività. Sono un bomber, eppure non vedo niente".