Giulia Cecchettin è morta. Come Saman uccisa da chi diceva di amarla

Il corpo della 22enne è stato trovato dopo una settimana dalla scomparsa: è morta a causa delle coltellate dell'ex fidanzato. Come la pachistana, tradita da una persone di cui si fidava

di MARIANNA GRAZI -
18 novembre 2023
Saman e Giulia

Saman e Giulia

Giulia Cecchettin è morta. L'ipotesi, che in questi giorni aveva preso sempre più piede, si era fatta sempre più concreta, oggi è diventata realtà. Com'era successo con Giulia Tramontano, uccisa al settimo mese di gravidanza a Senago dal fidanzato, che poi aveva cercato di disfarsi del corpo. E come, ancor prima, era accaduto a Saman Abbas, la 18enne pachistana assassinata dai familiari che poi avevano seppellito il corpo cercando di nascondere il fatto. Se nei primi due casi il movente del femminicidio è legato alla relazione tra i protagonisti (Filippo Turetta è stato catturato in Germania domenica mattina), e in apparenza non c'è un legame con il precedente, un caso in cui la cultura patriarcale e religiosa prevale sul buonsenso, un filo rosso sangue che collega questi casi in realtà c'è. Tutte e tre le ragazze sono scomparse, di tutte e tre abbiamo capito che fine avessero fatto già poco dopo la notizia della sparizione. Inutile negarlo, anche in quest'ultima vicenda tutte sapevamo - anche se speravamo che questa volta andasse diversamente - che erano morte. Morte per mano di chi diceva di amarle.

Trovato il corpo di Giulia Cecchettin

Il corpo della 22enne scomparsa sabato scorso con l’ex fidanzato è stato ritrovato dai Vigili del fuoco in un canalone tra Piancavallo e il lago di Barcis (Pordenone). Un destino taciuto ma ipotizzato, scongiurato ma considerato il più probabile, man mano che i giorni passavano. Giulia ha fatto la fine di tante, troppe altre donne che – una ogni tre giorni, un dato che ogni anno ci ripetiamo come mantra e che non cambia mai da troppo tempo – vengono uccise da persone vicine, familiari, ex compagni o mariti.
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Giulia Cecchettin, in una foto tratta da Instagram

Uccisa dalla mano di chi diceva di amarla

Come Saman Abbas, per il cui omicidio, la Procura ha chiesto l'ergastolo. In aggiunta, per i genitori, a 2 anni isolamento, perché "Il padre Shabbar è colui che ha deciso l'omicidio della figlia", la giovane appena 18enne scomparsa dalla sua casa di Novellara (Reggio Emilia) il 1° maggio 2021, il cui corpo era stato ritrovato in un casolare vicino all'abitazione solo a fine novembre 2022. Chiesti invece trent’anni per lo zio Danish, "esecutore materiale del delitto", e per i cugini Ikram Ijaz e Nomanullaq Nomanullaq. Cecchettin di quel ragazzo con cui si era lasciata ma continuava a frequentare, come amico, si fidava. Lo racconta anche la sorella, in una delle ultime testimonianze: "Giulia è uscita con lui quella sera sicura di tornare a casa". Saman da quella famiglia tradizionalista voleva allontanarsi, per seguire l'amore, ma mai avrebbe pensato che proprio i genitori le avrebbero tolto la vita, o avrebbero ordinato ad altri parenti di farlo. Com'è possibile pensare che una madre o un padre possano volerti morta? Un pensiero insostenibile. Eppure Saman è diventata, pur nella terribile tragedia, simbolo per tutte le donne oppresse, la ragazza sovversiva inconsapevole, come l'ha definita il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Calogero Paci.

Saman ma non solo Saman

Abbas come Lia Pipitone, uccisa a Palermo per aver infranto le regole mafiose e vissuto una relazione extraconiugale. Come Maria Concetta Cacciola, testimone di 'ndrangheta, costretta dai familiari a ingoiare acido o come Francesca Bellocco, assassinata a Rosarno per aver rovinato l'onore familiare. A una settimana dalla Giornata internazionale per eliminare la violenza sulle donne, la Procura ha affiancato i nomi di altre vittime, che hanno pagato con la vita l'opposizione ad un sistema chiuso, a quello della giovane pachistana di Novellara. "L'enorme contrasto tra le proprie ragioni di vita e il sistema in cui è inserita fa di Saman una figura universale. Assimilabile a tante persone che hanno osato sfidare la cappa opprimente e il dominio della volontà in sistemi valoriali viziati", ha spiegato il magistrato, facendo un parallelo tra la famiglia della ragazza e una 'ndrina calabrese.

"Incarnava la lotta tra libertà e repressione"

Nelle prossime udienze toccherà a parti civili e difese poi, solo al termine, gli imputati, se vorranno, potranno parlare. Paci, quindi, ha ricostruito le prove raccolte e il contesto in cui è maturato il delitto della notte tra il 30 aprile e l'1 maggio 2021, soffermandosi in particolare su quello che rappresenta questo processo: "Saman in fondo esprime una contraddizione eterna dell'individuo, tra libertà e desiderio di vita e repressione, autoritarismo, soffocamento di ogni desiderio di autonomia". Ha parlato della sua sofferenza, ma anche dell'enorme "anelito di vita", contrastato dai familiari, che la volevano sposata con un parente in patria. La barriera ai suoi desideri, ha detto Paci "è stato il sistema valoriale della famiglia: 'una pazza', come la definì Nazia, la madre, non poteva permettersi di mettere in discussione l'onorabilità della famiglia.
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Saman abbas, di origine pakistana, è stata uccisa fuori dalla casa dova abitava con la famiglia a Novellara dallo zio e dal cugino per ordine dei genitori

Ma Saman - ha aggiunto - aveva una forza sovversiva che esercitava inconsapevolmente: voleva solo vivere la sua vita, camminare mano nella mano per le strade di Bologna, scambiarsi un bacio", come nella famosa foto che la ritrae col fidanzato.

Il pm sul caso di Novellara: "Compiuto un oltraggio alla vita"

Intrappolato nello stesso sistema oppressivo della famiglia Abbas era anche il fratello della vittima. "Anche lui - ha ribadito il procuratore - è vittima di una situazione familiare oppressiva e autoritaria, totalmente schiacciato nella sua sua libertà di determinazione". Per l'accusa, il ragazzo è credibile quando accusa i familiari. Ma "il processo fornisce, prima ancora della sua deposizione, elementi non solo di riscontro alle sue dichiarazioni, ma autonomi". Come la pala con cui è stata scavata la buca, "la firma dell'omicidio". Delitto per cui non si è mai registrato un segno di pentimento: "Nessuno dei protagonisti, a cominciare dal padre, ha voluto degnare questa ragazza di una espressione di pietà". Ed è anche per questo che servirebbe una sentenza con "un senso restitutorio dell'oltraggio alla vita che è stato compiuto con questo barbaro e brutale omicidio".