Grecia controcorrente: settimana lunga al lavoro. E se l’Italia facesse lo stesso?

Da luglio la Grecia introduce la settimana lavorativa di sei giorni per far fronte alla carenza di personale qualificato. Mentre nel Nord Europa si sperimentano settimane più brevi, il Sud va nella direzione opposta. L'Italia osserva da vicino, con il rischio di seguire l'esempio greco

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
4 luglio 2024
Grecia, settimana lunga di lavoro

Grecia, settimana lunga di lavoro

Da luglio, le cittadine e i cittadini greci dovranno vedersela con una novità - discussa e discutibile - sul fronte del lavoro: l'introduzione della settimana lavorativa di sei giorni. Nata a seguito del consolidarsi dell’esigenza di porre rimedio alla sempre più crescente e allarmante carenza di personale qualificato, la misura rappresenta una palese inversione di tendenza rispetto alla volontà di ridurre l'orario di lavoro che in altre parti d'Europa sta prendendo piede. Mentre in paesi come la Svezia e l'Islanda la settimana lavorativa si è accorciata, raggiungendo quota quattro giorni, nel caldo Mediterraneo del Sud si preferisce stare più a lungo sul posto di lavoro.

A prendere il toro per le corna è stato il governo greco che, di certo non a cuor leggero, ha deciso di intervenire, considerando le difficoltà direttamente legate alla congiuntura economica in cui il paese sta versando. La disoccupazione è galoppante e le aziende fanno sempre più fatica a trovare personale qualificato. Quella di allungare la settimana lavorativa, pur apparendo come un passo indietro, deve essere sembrata la risposta più immediata alla necessità di garantire produttività e flessibilità alle imprese, soprattutto in settori come il turismo e l'agricoltura, colonne portanti dell'economia nazionale. Neanche il tempo di annunciare la misura, che le critiche sono piovute da ogni dove. I primi a scendere in campo sono stati i sindacati, allarmati dal rischio di peggioramento delle condizioni lavorative e dalla riduzione notevole della qualità della vita di lavoratrici e lavoratori. Dal canto suo, il governo ha fatto prontamente sapere che la misura è temporanea, mirata e finalizzata esclusivamente a fare fronte a una crisi occupazionale senza precedenti. Un tentativo poco rassicurante per le cittadine e i cittadini, ma apprezzabile.

La situazione in Italia

Anche in Italia, la difficoltà di trovare personale qualificato pare essere un problema attualissimo. Stando agli ultimi dati, molti settori, dal manifatturiero al turismo, lamentano una carenza di lavoratrici e lavoratori. Le cause di questo fenomeno sono molteplici, ma è bene mettere una cosa in chiaro: uno dei fattori principali è rappresentato dai bassi salari, decisamente non sufficienti per attrarre forza lavoro qualificata. Gli stipendi italiani sono spesso troppo bassi in relazione al costo della vita e questo non può che rappresentare un disincentivo. Altro elemento critico riguarda il costo del lavoro, in Italia particolarmente elevato. Uno scenario in perfetto stile “circolo vizioso”: le aziende fanno fatica ad assumere perché il costo di ogni dipendente è molto alto e, di conseguenza, i lavoratori sono scoraggiati a causa delle retribuzioni non adeguate.

Il rischio che l’Italia segua a ruota la Grecia è verosimile. Le strade che il governo Meloni ha di fronte sono due: farsi coraggio e mettere in atto una riforma fiscale attraverso la quale ridurre il costo del lavoro, incentivare le aziende ad assumere più personale e offrire salari più competitivi o emulare quanto fatto da altri paesi europei riguardo alla settimana lavorativa, mettendo mano agli orari, traendo ispirazione dalle sperimentazioni della settimana lavorativa corta o facendo come la Grecia. Nel secondo caso, sarebbero guai.

L'introduzione della settimana lavorativa di sei giorni in Grecia rappresenta una scelta indubbiamente pragmatica, dettata dalle esigenze inconfutabili del mercato del lavoro. Il punto, però, è che per affrontare le sfide occupazionali sul lungo periodo, forse sarebbe meglio partire dal presupposto che senza riforme strutturali si va poco lontano. Ridurre il costo del lavoro, aumentare i salari e migliorare le condizioni di vita di lavoratrici e lavoratori sono gli ingredienti fondamentali e irrinunciabili per fare in modo che il mercato del lavoro sia davvero più attrattivo. Senza questo ragionamento, allungamenti e accorciamenti a poco serviranno, se non a infuocare le piazze.

La speranza è che l’Italia ci stupisca, scommettendo tutto su un approccio innovativo, capace di tenere in equilibrio le esigenze delle aziende e il benessere dei lavoratori. Dovesse riuscirci, dimostrerebbe che lavoro e vita privata possono andare d’accordo anche in Europa meridionale, a dispetto dei pronostici (e dei luoghi comuni).