Main Partner
Partner
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • 8 marzo
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
Luce

Home » Attualità » Non solo Ucraina. Dallo Yemen alla Siria, ecco le guerre dimenticate che oggi si combattono nel mondo

Non solo Ucraina. Dallo Yemen alla Siria, ecco le guerre dimenticate che oggi si combattono nel mondo

Il conflitto nell'Est Europa è quello che ha provocato più indignazione nell'opinione pubblica. Ma nel nostro Pianeta ci sono almeno altri trenta conflitti. Save the Children lancia l'allarme: ci sono Paesi in cui i bambini vivono ogni giorno l'inferno

Domenico Guarino
2 Aprile 2022
Sono oltre 30 i conflitti in atto nel mondo

Sono oltre 30 i conflitti in atto nel mondo

Share on FacebookShare on Twitter

C’è l’Ucraina. E poi ci sono le guerre dimenticate. Quelle che arrivano raramente sugli schermi delle TV, di cui la politica non si occupa, che non generano indignazione nell’opinione pubblica, e contro cui nessuno manifesta. Eppure sono guerre non meno cruente, che generano abissi di distruzione e morte non meno profondi. Quella che si combatte da sette anni in Yemen ad esempio. Il nuovo report “No Place is safe” stilato da Save the Children, che include un’indagine su 400 bambini provenienti da otto dei 21 governatorati dello Stato mediorientale, fa sapere che il 60% dei bambini conosce qualcuno che è stato ferito durante i sette anni di conflitto nel Paese e per un quarto di essi si tratta di un membro della propria famiglia.

La ricerca ha inoltre rivelato che quasi l’80% dei bambini è costantemente preoccupato per la propria sicurezza e per quella della propria famiglia e amici. La maggioranza di loro ha affermato di impiegare molto tempo per elaborare qualsiasi tipo di shock o stress. Oltre il 70% dei bambini ha riferito di aver subito un attacco alla propria scuola almeno una volta e quasi la metà ha riferito che la propria struttura sanitaria locale è stata colpita dai combattimenti. Secondo il rapporto “le famiglie stanno gradualmente perdendo la loro capacità di resilienza e circa la metà dei bambini in tutto il paese lotta per elaborare il proprio disagio mentale”,  denuncia Save the Children.

In Yemen si combatte una guerra da sette anni

“Negli ultimi sette anni, abbiamo visto come uno spietato conflitto creato dall’uomo ha fatto pagare ai bambini un prezzo che va oltre la fame e la malattia. I bambini sono stati aggrediti mentre giocavano a calcio, nei loro banchi nelle scuole, nei loro letti negli ospedali, nelle loro case e al mercato. Vengono uccisi a migliaia, mutilati, sfollati e traumatizzati al punto che la maggior parte di loro ora vive in uno stato di paura e ansia costante”, ha dichiarato Rama Hansraj, direttore di Save the Children in Yemen. “In un luogo in cui i cortili delle scuole sono sotto tiro dei cecchini e i parchi giochi sono trasformati in cimiteri, i bambini si stanno lentamente ritirando dalla dimensione sociale e non sono in grado di giocare all’aperto e interagire con i loro coetanei. Tutto ciò sta minando la loro capacità di sviluppare la propria personalità e sta impedendo loro di attivare i meccanismi per la gestione dello stress. Semplicemente, questo non è un posto dove un bambino può vivere e forse nemmeno per un adulto”. “Questo lungo conflitto in Yemen sta trasformando il Paese in un inferno in terra per i bambini. Ma la cosa peggiore è il fatto che negli ultimi sette anni sembra che il mondo abbia scelto di chiudere gli occhi o guardare dall’altra parte. Occorre cambiare questo stato di cose e la comunità internazionale deve unirsi e impegnarsi per porre fine a queste sofferenze inutili, una volta per tutte”, conclude Hansraj.

In Siria un’altra guerra dimenticata. La minaccia dell’Isis è stata ridotta ma non è scomparsa del tutto

Le guerre dimenticate nel mondo

Sono oltre trenta i conflitti in atto nel mondo, ma molte di queste non fanno notizia, come non esistessero. Vediamo le principali, oltre allo Yemen.

Siria

La minaccia dell’Isis è stata ridotta ma non è scomparsa del tutto, Bashar al Assad è rimasto saldo alla poltrona anche grazie al sostegno politico e militare di Vladimir Putin, mentre i curdi siriani sono stati abbandonati al loro destino. Assad deve fare i conti con le sanzioni europee in vigore dal dicembre 2011. Esse includono un embargo petrolifero e il congelamento degli asset della Banca centrale siriana entro i confini dell’Ue.

In Mali circa 2 milioni di individui sono stati costretti a scappare dalle proprie abitazioni

Mali

Dopo che in meno di un decennio, circa 2 milioni di individui sono stati costretti alla fuga dalle proprie abitazioni in cerca di riparo in altre aree del Mali o nei Paesi limitrofi, con una impennata di 330mila solo nel 2020, lo scorso 14 dicembre, il generale francese Etienne du Peyroux, capo dell’operazione Barkhane, ha salutato il nuovo comandante maliano nella base francese di Timbuctù e dato formalmente il via all’uscita di Parigi dalla lotta contro al terrorismo che ha impiegato oltre 5mila soldati. Si calcola che nel frattempo i morti abbiano superato la cifra di 15mila. In nove mesi, dall’estate del 2020 alla primavera del 2021, si sono consumati ben due golpe. L’intervento militare transalpino aveva preso il via con l’obiettivo di fermare l’avanzata della minaccia jihadista nel paese e in tutta l’area del Sahel. Ora comincerà una progressiva diminuzione che prevede solo un presidio a ridosso delle frontiere con Burkina Faso e Niger dove saranno attive le basi di Gao, Ménaka e Gossi. Un ritiro che può essere anche letto come il sostanziale fallimento di un’operazione di peace keeping durata oltre otto anni, mentre la minaccia terroristica non si è affatto conclusa, anzi, il 2021 ha segnato la crescita nel numero di attacchi mortali messi a segno in gran parte da forze jihadiste o da bande armate in azione in Mali, in Burkina Faso e in Niger.

Oggi dei 6,5 milioni di abitanti della regione tigrina, in Etiopia, 5,2 si trovano in stato di elevato bisogno alimentare

Tigray – Etiopia

Il conflitto nel Tigray è iniziato nel novembre dello scorso anno quando il Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray), aveva indetto e tenuto delle elezioni senza il permesso di Addis Abeba, prendendo possesso di caserme e armamenti dell’esercito. Ha fatto quindi seguito un’escalation militare avviata dal premier Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace nel 2019, che ha trascinato in pochi mesi tutte le regioni settentrionale in uno stato di terribile conflitto, determinando una gravissima emergenza umanitaria. Oggi dei 6,5 milioni di abitanti della regione tigrina, 5,2 si trovano in stato di elevato bisogno alimentare e gli sfollati interni superano i due milioni. In aumento anche i flussi di profughi verso i paesi limitrofi.

Nagorno Karabakh

Grazie all’accordo del novembre 2020 sotto la regia della Russia, l’Azerbaigian ha recuperato i sette distretti contesi e parte del Karabakh. Mosca punta sulla la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia nell’intento di aprire linee di trasporto ed energetiche nella regione. L’Azerbaigian è favorevole all’instaurazione di una pace duratura che possa favorire lo status quo.

Potrebbe interessarti anche

Coppie omosessuali figli
Politica

Coppie omogenitoriali: in Italia i loro figli sono bimbi di serie B

15 Marzo 2023
"Juditha Triumphans devicta Holofernis barbarie" al Teatro Verdi di Pisa
Spettacolo

Le putte di Vivaldi sul palco a Pisa: “Così riscattiamo le voci angeliche delle orfane”

17 Marzo 2023
La disabile portata in braccio dai vigili di Roma (Ansa)
Attualità

Scala mobile rotta, disabile portata in braccio dai vigili

15 Marzo 2023

Instagram

  • Passa anche da un semplice tasto la possibilità per una donna, vittima di stalking, di salvarsi da chi vuole farle del male. Il tasto di uno smartwatch che, una volta premuto, lancia un’immediata richiesta di aiuto alle forze di polizia. E grazie a questo orologio, Marta (il nome è di fantasia) potrà ora vedere la sua vita cambiata in meglio. La donna aveva smesso di vivere, a causa della relazione asfissiante e malata con il suo ex marito violento che aveva promesso di sfregiarla con l’acido e poi ucciderla e seppelire il suo corpo in un terreno. Ma venerdì scorso a Marta è stato consegnato il primo di 45 smartwatch che saranno distribuiti ad altrettante vittime. L’orologio è collegato con la centrale operativa del comando provinciale dei carabinieri di Napoli: appena arriva l’Sos, la vittima viene geolocalizzata e arrivano i soccorsi.

E così Marta ha ripreso la sua vita interrotta per paura dell’ex e delle sue minacce. «Posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare.»

Lo scorso 30 novembre i carabinieri del Comando provinciale di Napoli, la sezione fasce deboli della Procura partenopea coordinata dal procuratore aggiunto Raffaello Falcone, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist international club Napoli hanno annunciato l’avvio del progetto pilota "Mobile Angel", che prevede, appunto, la consegna di questo orologio salvavita alle vittime di maltrattamenti. Il progetto è stato esteso anche alle città di Milano e Torino. Lo smartwatch affidato a Marta è il primo nel Sud Italia. Il mobile angel, spiegano i Carabinieri, rientra in un progetto ad ampio respiro che ha come punto focale le vittime di violenza. Un contesto di tutela all’interno del quale è stata istituita anche la "stanza tutta per sé", un ambiente dove chi ha subìto vessazioni può sentirsi a suo agio nel raccontare il proprio vissuto. 

#lucenews #lucelanazione #mobileangel #napoli
  • Se nei giorni scorsi l’assessore al Welfare del Comune di Napoli, papà single di Alba, bambina affetta da Sindrome di Down, aveva ri-scritto pubblicamente alla premier Giorgia Meloni per avere un confronto sull’idea di famiglia e sul tema delle adozioni, stavolta commenta quanto sta accadendo in Italia in relazione ai diritti dei figli delle famiglie arcobaleno. 

Ricordiamo, infatti, che lo scorso 12 marzo il Governo ha ordinato, in merito ad una richiesta pervenuta al Comune di Milano di una coppia dello stesso sesso, lo stop a procedere alla registrazione del loro figlio appena nato e impedendo, di fatto, la creazione di una famiglia omogenitoriale. Il veto della destra compatta boccia il certificato europeo di filiazione che propone agli Stati membri di garantire ai genitori residenti in Unione Europea il diritto ad essere riconosciuti come madri e padri dei propri figli nello stesso modo in tutti i Paesi Ue.

“In tutta Europa i figli di coppie gay avranno il riconoscimento degli stessi diritti degli altri bambini. In Italia il Senato, trascinato da Fratelli d’Italia, fortemente contrario, ha appena bocciato la proposta – dice Trapanese in un lungo post sulla sua pagina Instagram -. Quindi, i figli delle coppie omosessuali non sono, per il nostro Paese, figli come gli altri. Questo hanno deciso e detto chiaramente”. Così facendo, “resteranno bambini privi di tutele complete, i cui genitori dovranno affrontare battaglie giudiziarie, sfiniti da tempi lunghissimi, solo perché il loro bimbo venga considerato semplicemente un figlio”. 

Trapanese attacca chiaramente questa decisione: “L’Italia è l’unico paese europeo con un governo che lavora per togliere diritti invece che per aggiungerli. Se la prende con bambini che esistono e vivono la loro quotidianità serenamente in famiglie piene d’amore, desiderati sopra ogni cosa, ma considerati in Italia figli di un dio minore”. Per Trapanese “stiamo continuando a parlare di ciò che dovrebbe essere semplicemente attuato. I diritti non si discutono, si riconoscono e basta. Ma come fate a non rendervene conto?”.

#lucenews #diritti #coppieomogenitoriali
  • Il nuovo progetto presentato dal governatore Viktor Laiskodat a Kupang, in Indonesia, prevede l’entrata degli alunni a scuola alle 5.30 del mattino. Secondo l’alto funzionario il provvedimento servirebbe per rafforzare la disciplina dei bambini.

Solitamente nelle scuole del Paese le lezioni iniziavano tra le 7 e le 8 del mattino: anticipando l’orario d’ingresso i bambini sono apparsi esausti quando tornano a casa. La madre di una 16enne, infatti, è molto preoccupata da questa nuova iniziativa: “È estremamente difficile, ora devono uscire di casa mentre è ancora buio pesto. Non posso accettarlo. La loro sicurezza non è garantita quando è ancora notte. Inoltre mia figlia, ogni volta che arriva a casa, è esausta e si addormenta immediatamente.”

Sulla vicenda è intervenuto anche Marsel Robot, esperto di istruzione dell’Università di Nusa Cendana, che ha spiegato come a lungo termine la privazione del sonno potrebbe mettere in pericolo la salute degli studenti e causare un cambiamento nei loro comportamenti: “Non c’è alcuna correlazione con lo sforzo per migliorare la qualità dell’istruzione. Gli studenti dormiranno solo per poche ore e questo è un grave rischio per la loro salute. Inoltre, questo causerà loro stress e sfogheranno la loro tensione in attività magari incontrollabili”. Anche il Ministero per l’emancipazione delle donne e la Commissione indonesiana per la protezione dei minori hanno espresso richieste di revisione della politica. Il cambiamento delle regole di Kupang è stato anche contestato dai legislatori locali, che hanno chiesto al governo di annullare quella che hanno definito una politica infondata.

Tuttavia il governo centrale ha mantenuto il suo esperimento rincarando la dose ed estendendolo anche all’agenzia di istruzione locale, dove anche i dipendenti pubblici ora inizieranno la loro giornata alle 5.30 del mattino.

#lucenews #lucelanazione #indonesia #scuola
  • Quante ore dormi? È difficile addormentarsi? Ti svegli al minimo rumore o al mattino rimandi tutte le sveglie per dormire un po’ di più? Soffri d’insonnia?

Sono circa 13,4 milioni gli italiani che soffrono di insonnia, secondo le ultime rilevazioni di Aims - l
C’è l’Ucraina. E poi ci sono le guerre dimenticate. Quelle che arrivano raramente sugli schermi delle TV, di cui la politica non si occupa, che non generano indignazione nell’opinione pubblica, e contro cui nessuno manifesta. Eppure sono guerre non meno cruente, che generano abissi di distruzione e morte non meno profondi. Quella che si combatte da sette anni in Yemen ad esempio. Il nuovo report "No Place is safe" stilato da Save the Children, che include un’indagine su 400 bambini provenienti da otto dei 21 governatorati dello Stato mediorientale, fa sapere che il 60% dei bambini conosce qualcuno che è stato ferito durante i sette anni di conflitto nel Paese e per un quarto di essi si tratta di un membro della propria famiglia. La ricerca ha inoltre rivelato che quasi l’80% dei bambini è costantemente preoccupato per la propria sicurezza e per quella della propria famiglia e amici. La maggioranza di loro ha affermato di impiegare molto tempo per elaborare qualsiasi tipo di shock o stress. Oltre il 70% dei bambini ha riferito di aver subito un attacco alla propria scuola almeno una volta e quasi la metà ha riferito che la propria struttura sanitaria locale è stata colpita dai combattimenti. Secondo il rapporto “le famiglie stanno gradualmente perdendo la loro capacità di resilienza e circa la metà dei bambini in tutto il paese lotta per elaborare il proprio disagio mentale”,  denuncia Save the Children.
In Yemen si combatte una guerra da sette anni
"Negli ultimi sette anni, abbiamo visto come uno spietato conflitto creato dall’uomo ha fatto pagare ai bambini un prezzo che va oltre la fame e la malattia. I bambini sono stati aggrediti mentre giocavano a calcio, nei loro banchi nelle scuole, nei loro letti negli ospedali, nelle loro case e al mercato. Vengono uccisi a migliaia, mutilati, sfollati e traumatizzati al punto che la maggior parte di loro ora vive in uno stato di paura e ansia costante”, ha dichiarato Rama Hansraj, direttore di Save the Children in Yemen. "In un luogo in cui i cortili delle scuole sono sotto tiro dei cecchini e i parchi giochi sono trasformati in cimiteri, i bambini si stanno lentamente ritirando dalla dimensione sociale e non sono in grado di giocare all’aperto e interagire con i loro coetanei. Tutto ciò sta minando la loro capacità di sviluppare la propria personalità e sta impedendo loro di attivare i meccanismi per la gestione dello stress. Semplicemente, questo non è un posto dove un bambino può vivere e forse nemmeno per un adulto”. "Questo lungo conflitto in Yemen sta trasformando il Paese in un inferno in terra per i bambini. Ma la cosa peggiore è il fatto che negli ultimi sette anni sembra che il mondo abbia scelto di chiudere gli occhi o guardare dall’altra parte. Occorre cambiare questo stato di cose e la comunità internazionale deve unirsi e impegnarsi per porre fine a queste sofferenze inutili, una volta per tutte”, conclude Hansraj.
In Siria un'altra guerra dimenticata. La minaccia dell'Isis è stata ridotta ma non è scomparsa del tutto

Le guerre dimenticate nel mondo

Sono oltre trenta i conflitti in atto nel mondo, ma molte di queste non fanno notizia, come non esistessero. Vediamo le principali, oltre allo Yemen.

Siria

La minaccia dell’Isis è stata ridotta ma non è scomparsa del tutto, Bashar al Assad è rimasto saldo alla poltrona anche grazie al sostegno politico e militare di Vladimir Putin, mentre i curdi siriani sono stati abbandonati al loro destino. Assad deve fare i conti con le sanzioni europee in vigore dal dicembre 2011. Esse includono un embargo petrolifero e il congelamento degli asset della Banca centrale siriana entro i confini dell’Ue.
In Mali circa 2 milioni di individui sono stati costretti a scappare dalle proprie abitazioni

Mali

Dopo che in meno di un decennio, circa 2 milioni di individui sono stati costretti alla fuga dalle proprie abitazioni in cerca di riparo in altre aree del Mali o nei Paesi limitrofi, con una impennata di 330mila solo nel 2020, lo scorso 14 dicembre, il generale francese Etienne du Peyroux, capo dell’operazione Barkhane, ha salutato il nuovo comandante maliano nella base francese di Timbuctù e dato formalmente il via all’uscita di Parigi dalla lotta contro al terrorismo che ha impiegato oltre 5mila soldati. Si calcola che nel frattempo i morti abbiano superato la cifra di 15mila. In nove mesi, dall’estate del 2020 alla primavera del 2021, si sono consumati ben due golpe. L’intervento militare transalpino aveva preso il via con l’obiettivo di fermare l’avanzata della minaccia jihadista nel paese e in tutta l’area del Sahel. Ora comincerà una progressiva diminuzione che prevede solo un presidio a ridosso delle frontiere con Burkina Faso e Niger dove saranno attive le basi di Gao, Ménaka e Gossi. Un ritiro che può essere anche letto come il sostanziale fallimento di un’operazione di peace keeping durata oltre otto anni, mentre la minaccia terroristica non si è affatto conclusa, anzi, il 2021 ha segnato la crescita nel numero di attacchi mortali messi a segno in gran parte da forze jihadiste o da bande armate in azione in Mali, in Burkina Faso e in Niger.
Oggi dei 6,5 milioni di abitanti della regione tigrina, in Etiopia, 5,2 si trovano in stato di elevato bisogno alimentare

Tigray - Etiopia

Il conflitto nel Tigray è iniziato nel novembre dello scorso anno quando il Tplf (Fronte Popolare di Liberazione del Tigray), aveva indetto e tenuto delle elezioni senza il permesso di Addis Abeba, prendendo possesso di caserme e armamenti dell’esercito. Ha fatto quindi seguito un’escalation militare avviata dal premier Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace nel 2019, che ha trascinato in pochi mesi tutte le regioni settentrionale in uno stato di terribile conflitto, determinando una gravissima emergenza umanitaria. Oggi dei 6,5 milioni di abitanti della regione tigrina, 5,2 si trovano in stato di elevato bisogno alimentare e gli sfollati interni superano i due milioni. In aumento anche i flussi di profughi verso i paesi limitrofi.

Nagorno Karabakh

Grazie all’accordo del novembre 2020 sotto la regia della Russia, l’Azerbaigian ha recuperato i sette distretti contesi e parte del Karabakh. Mosca punta sulla la normalizzazione dei rapporti tra Turchia e Armenia nell’intento di aprire linee di trasporto ed energetiche nella regione. L’Azerbaigian è favorevole all’instaurazione di una pace duratura che possa favorire lo status quo.
Nessun risultato
Vedi tutti i risultati
  • Attualità
  • Politica
  • Economia
  • Sport
  • Lifestyle
  • Scienze e culture
  • Spettacolo
  • Cos’è Luce!
  • Redazione
  • Board
  • Contattaci
  • 8 marzo

Robin Srl
Società soggetta a direzione e coordinamento di Monrif
Dati societariISSNPrivacyImpostazioni privacy

Copyright© 2023 - P.Iva 12741650159

CATEGORIE
  • Contatti
  • Lavora con noi
  • Concorsi
ABBONAMENTI
  • Digitale
  • Cartaceo
  • Offerte promozionali
PUBBLICITÀ
  • Speed ADV
  • Network
  • Annunci
  • Aste E Gare
  • Codici Sconto