Iran, annullata la condanna a morte della sindacalista Sharifeh Mohammadi

La 45enne era finita in carcere a dicembre 2023 con le accuse di propaganda contro il governo e ribellione armata. Per lei era stata pubblicata anche lettera aperta di 16 prigioniere politiche

12 ottobre 2024
Sharifeh Mohammadi

Sharifeh Mohammadi

La Corte Suprema ha annullato la condanna a morte dell'attivista politica e sindacale Sharifeh Mohammadi, come riferito dal suo avvocato Amir Raisian.

Mohammadi, 45 anni, era stata arrestata il 5 dicembre 2023 e, dopo sette mesi di detenzione preventiva, era stata condannata alla pena capitale dal Tribunale Rivoluzionario di Rasht, una città nel nord del Paese, con l'accusa di propaganda contro il governo, partecipazione alle proteste del 2022 e "Baghi" (ribellione armata).

Lei ha sempre negato di aver preso parte ad attività armate, anche se il tribunale l'aveva collegata al gruppo dissidente curdo Komala, dal quale si era ritirata anni fa, che Teheran considera un’organizzazione terroristica. Quest’ultima accusa è stata smentita dalla difesa dell’attivista, mentre è stata riconosciuta la sua affiliazione – isalente a 10 anni fa – al Comitato nazionale di coordinamento per l’assistenza ai sindacati (LUACC), che non è illegale.

Le proteste contro la condanna 

Il suo caso ha attirato l'attenzione di attivisti per i diritti umani, tra cui Nasrin Sotoudeh, che recentemente ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la condanna a morte della Mohammadi. La decisione della Corte Suprema implica che il caso sarà riesaminato.

Vida Mohammadi, cugina di Sharifeh, sostiene che che quest’ultima non era iscritta a nessuna organizzazione in Iran o all’estero e che la sua battaglia per i diritti delle donne e dei lavoratori era indipendente. La sindacalista, in questo anno, è stata detenuta in diverse carceri del Paese, prima a Sanandaj, nel Kurdistan iraniano, poi nella prigione di Lakan a Rasht, subendo torture e trattamenti disumani, e restando in regime di isolamento per molti mesi. 

Anche suo marito è finito in cella per aver manifestato per la sua liberazione, e la mobilitazione era arrivata fino alla nota struttura di Evin, a Teheran, dove un gruppo di 16 prigioniere politiche, tra cui la premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi, aveva pubblicato una lettera aperta per protestare contro la sua condanna: “Noi consideriamo questa sentenza come un potenziale pericolo e un preludio all'emissione di prossime pesanti pronunce [...] Ciò che è più evidente in questa condanna a morte è la politica di repressione, attraverso la quale vogliono mettere a tacere le voci di protesta e le rivendicazioni del popolo che sono state affermate con forza a partire dalla rivolta rivoluzionaria del 2022 e nello stesso momento colpire in primo luogo le donne intimidendole per costringerle a ritirarsi dall'arena del ‘diritto’ dove oggi sono presenti con una voce più forte di prima”.