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Home » Attualità » La Colombia depenalizza l’aborto, le donne esultano: “Finalmente libere di scegliere”

La Colombia depenalizza l’aborto, le donne esultano: “Finalmente libere di scegliere”

La Corte costituzionale colombiana ha approvato l'interruzione volontaria di gravidanza entro 24 settimane dall'inizio della gestazione. Fino ad oggi le colombiane che volevano abortire rischiavano fino a quattro anni e mezzo di carcere

Remy Morandi
22 Febbraio 2022
La Colombia depenalizza l'aborto

La Colombia depenalizza l'aborto

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La Colombia ha depenalizzato l’aborto. La Corte costituzionale colombiana ha approvato l’interruzione volontaria di gravidanza entro le prime 24 settimane dall’inizio della gestazione. Si tratta di una decisione storica per il Paese sudamericano, visto che in Colombia l’aborto era consentito alle donne solo in alcune circostanze, come lo stupro o il pericolo di vita della madre. Le donne colombiane adesso cantano vittoria: saranno libere di decidere di interrompere la propria gravidanza.

#LaCorteInforma ⚖️ l Conducta del aborto solo será punible cuando se realice después de la vigésimo cuarta (24) semana de gestación y, en todo caso, este límite temporal no será aplicable a los tres supuestos fijados en la Sentencia C-355 de 2006 pic.twitter.com/J7hfhLAEeq

— Corte Constitucional (@CConstitucional) February 21, 2022

Aborto in Colombia, che cosa ha deciso la Corte costituzionale

Lunedì 21 febbraio la Corte costituzionale colombiana ha deciso con cinque voti favorevoli su nove (quattro contrari) di depenalizzare l’aborto, rendendo facoltativa la scelta delle donne di interrompere la propria gravidanza entro 24 settimane dall’inizio della gestazione. La decisione è arrivata dopo che nel 2020 alcune organizzazioni per il diritto di scelta delle donne avevano fatto ricorso alla Corte costituzionale chiedendo di essere libere di scegliere l’interruzione della gravidanza. In Colombia, infatti, fino ad oggi le donne potevano abortire solo in determinati casi: il rischio per la vita o la salute della madre incinta, l’esistenza di malformazioni del feto pericolose per la vita del bambino o della madre, o quando la gravidanza era avvenuta in seguito a stupri, incesti o inseminazioni artificiali non consensuali. Se una donna invece richiedeva l’aborto ma non per questi casi era punibile con la reclusione fino a quattro anni e mezzo. Adesso con la decisione della Corte costituzionale, l’aborto viene consentito fino al sesto mese di gestazione. Superato questo periodo di tempo, una donna che interrompe la propria gravidanza resta punibile per legge.

In seguito alla decisione, la Corte costituzionale colombiana ha invitato il parlamento e il governo della Colombia ad applicare le nuove normative e a prevedere una “politica pubblica integrale” che comprenda tra l’altro: “Una chiara divulgazione delle opzioni a disposizione delle donne in gravidanza durante e dopo la gravidanza; l’eliminazione di ogni ostacolo all’esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi che sono riconosciuti nella presente sentenza; la pianificazione di prevenzione della gravidanza; lo sviluppo di programmi educativi sull’educazione sessuale e riproduttiva per tutte le persone; misure di sostegno per le madri in gravidanza che includano opzioni di adozione, tra le altre, e misure che garantiscano i diritti dei neonati in circostanze di donne incinte che volevano abortire”, ha così richiesto in una nota la Corte costituzionale colombiana.

“Aborto libre”, le manifestazioni in Colombia per depenalizzare l’interruzione di gravidanza

Le donne colombiane cantano vittoria: “Siamo libere di decidere sul nostro corpo”

Dopo l’emanazione della sentenza, le attiviste e gli attivisti colombiani del movimento Pro-Choice hanno festeggiato davanti alla Corte costituzionale colombiana, nel centro di Bogotà. “Celebiamo questa sentenza come una vittoria storica per il movimento delle donne in Colombia che da decenni si batte per il riconoscimento dei loro diritti – ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International -. Le donne, le ragazze e le persone in grado di avere figli sono le uniche che dovrebbero prendere decisioni sul proprio corpo. Ora invece di punirle, le autorità colombiane dovranno riconoscere la loro autonomia sui loro corpi e sui loro progetti di vita”. Esprime soddisfazione anche Paula Avila-Guillen, direttrice esecutiva del Women’s Equality Center: “Apprezziamo il coraggio politico e legale della Corte costituzionale nel riconoscere che le donne e le ragazze non sono cittadine di seconda classe. Nel proteggere costituzionalmente la nostra autonomia sul nostro corpo e sulla nostra vita, la Corte sta cambiando la vita di milioni di donne e ragazze vulnerabili, danneggiate in modo spropositato dalle restrizioni sull’aborto”.

La Colombia è il terzo Paese latinoamericano ad aver depenalizzato l’aborto

I movimenti pro-aborto colombiani stimano che ogni anno nel Paese vengono praticati fino a 400mila aborti, di cui solo il 10% legalmente. Secondo Profamilia, un’organizzazione locale di assistenza sanitaria, nel 2020 in Colombia sono stati effettuati almeno 26.223 aborti non sicuri e secondo Causa Justa, un movimento colombiano per i diritti delle donne, almeno 350 donne sono state condannate o sanzionate tra il 2006 e il 2019 per il reato di aborto. Adesso tutto questo, grazie alla depenalizzazione sancita dalla Corte costituzionale, dovrebbe finire. La Colombia è dunque diventata il terzo Paese latinoamericano ad aver depenalizzato l’aborto. L’anno scorso anche la Corte suprema del Messico aveva fatto lo stesso, depenalizzando l’aborto nello stato di Coahuila, nel nord del Messico, mentre alla fine del 2020 l’Argentina rese definitivamente legale l’aborto. Ma anche altri Paesi latinoamericani stanno facendo passi in avanti grazie alle manifestazioni e alle proteste dei movimenti pro-aborto. Poche settimane fa l’Ecuador ha approvato una legge che consente alle donne l’aborto in caso di stupro. La pratica resta invece illegale e punibile in altri Paesi, come ad Haiti, Nicaragua, Honduras, Repubblica Dominicana, El Salvador e Suriname.

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  • «Era terribile durante il fascismo essere transessuale. Mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile».

È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l’unica persona trans italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti.

#lucenews #lucysalani #dachau
  • È morta a quasi 99 anni Lucy Salani, attivista nota come l
  • Elaheh Tavakolian, l’iraniana diventata uno dei simboli della lotta nel suo Paese, è arrivata in Italia. Nella puntata del 21 marzo de “Le Iene”, tra i servizi del programma di Italia 1, c’è anche la storia della giovane donna, ferita a un occhio dalla polizia durante le proteste in Iran. Nella puntata andata in onda la scorsa settimana, l’inviata de “Le Iene” aveva incontrato la donna in Turchia, durante la sua fuga disperata dall’Iran, dove ormai era troppo pericoloso vivere. 

“Ho molta paura. Vi prego, qui potrebbero uccidermi” raccontava l’attivista a Roberta Rei. Già in quell’occasione, Elaheh Tavakolian era apparsa con una benda sull’occhio, a causa di una grave ferita causatale da un proiettile sparato dalle forze dell’ordine iraniane durante le manifestazioni a cui ha preso parte dopo la morte di Mahsa Amini.

Elaheh Tavakolian fa parte di quelle centinaia di iraniani che hanno subito gravi ferite agli occhi dopo essere stati colpiti da pallottole, lacrimogeni, proiettili di gomma o altri proiettili usati dalle forze di sicurezza durante le dure repressioni che vanno avanti ormai da oltre sei mesi. La ragazza, che ha conseguito un master in commercio internazionale e ora lavora come contabile, ha usato la sua pagina Instagram per rivelare che le forze di sicurezza della Repubblica islamica stavano deliberatamente prendendo di mira gli occhi dei manifestanti. 

✍ Barbara Berti

#lucenews #lucelanazione #ElahehTavakolian #iran #leiene
  • Ha 19 anni e vorrebbe solo sostenere la Maturità. Eppure alla richiesta della ragazza la scuola dice di no. Nina Rosa Sorrentino è nata con la sindrome di Down, e quel diritto che per tutte le altre studentesse e studenti è inviolabile per lei è invece un’utopia.

Il liceo a indirizzo Scienze Umane di Bologna non le darà la possibilità di diplomarsi con i suoi compagni e compagne, svolgendo le prove che inizieranno il prossimo 21 giugno. La giustificazione – o la scusa ridicola, come quelle denunciate da CoorDown nella giornata mondiale sulla sindrome di Down – dell’istituto per negarle questa possibilità è stata che “per lei sarebbe troppo stressante“.

Così Nina si è ritirata da scuola a meno di tre mesi dalla fine della quinta. Malgrado la sua famiglia, fin dall’inizio del triennio, avesse chiesto agli insegnanti di cambiare il Pei (piano educativo individualizzato) della figlia, passando dal programma differenziato per gli alunni certificati a quello personalizzato per obiettivi minimi o equipollenti, che prevede l’ammissione al vero e proprio esame di Maturità. Ma il liceo Sabin non ha assecondato la loro richiesta.

Francesca e Alessandro Sorrentino avevano trovato una sponda di supporto nel Ceps di Bologna (Centro emiliano problemi sociali per la Trisomia 21), in CoorDown e nei docenti di Scienze della Formazione dell’Alma Mater, che si sono detti tutti disponibili per realizzare un progetto-pilota per la giovane studentessa e la sua classe. Poi, all’inizio di marzo, la doccia fredda: è arrivato il no definitivo da parte del consiglio di classe, preoccupato che per la ragazza la Maturità fosse un obiettivo troppo impegnativo e stressante, tanto da generare “senso di frustrazione“, come ha scritto la dirigente del liceo nella lettera che sancisce l’epilogo di questa storia tutt’altro che inclusiva.

“Il perché è quello che ci tormenta – aggiungono i genitori –. Anche la neuropsichiatra concordava: Nina poteva e voleva provarci a fare l’esame. Non abbiamo mai chiesto le venisse regalato il diploma, ma che le fosse data la possibilità di provarci”.

#lucenews #lucelanazione #disabilityinclusion #giornatamondialedellasindromedidown
La Colombia ha depenalizzato l'aborto. La Corte costituzionale colombiana ha approvato l'interruzione volontaria di gravidanza entro le prime 24 settimane dall'inizio della gestazione. Si tratta di una decisione storica per il Paese sudamericano, visto che in Colombia l'aborto era consentito alle donne solo in alcune circostanze, come lo stupro o il pericolo di vita della madre. Le donne colombiane adesso cantano vittoria: saranno libere di decidere di interrompere la propria gravidanza.

#LaCorteInforma ⚖️ l Conducta del aborto solo será punible cuando se realice después de la vigésimo cuarta (24) semana de gestación y, en todo caso, este límite temporal no será aplicable a los tres supuestos fijados en la Sentencia C-355 de 2006 pic.twitter.com/J7hfhLAEeq

— Corte Constitucional (@CConstitucional) February 21, 2022

Aborto in Colombia, che cosa ha deciso la Corte costituzionale

Lunedì 21 febbraio la Corte costituzionale colombiana ha deciso con cinque voti favorevoli su nove (quattro contrari) di depenalizzare l'aborto, rendendo facoltativa la scelta delle donne di interrompere la propria gravidanza entro 24 settimane dall'inizio della gestazione. La decisione è arrivata dopo che nel 2020 alcune organizzazioni per il diritto di scelta delle donne avevano fatto ricorso alla Corte costituzionale chiedendo di essere libere di scegliere l'interruzione della gravidanza. In Colombia, infatti, fino ad oggi le donne potevano abortire solo in determinati casi: il rischio per la vita o la salute della madre incinta, l'esistenza di malformazioni del feto pericolose per la vita del bambino o della madre, o quando la gravidanza era avvenuta in seguito a stupri, incesti o inseminazioni artificiali non consensuali. Se una donna invece richiedeva l'aborto ma non per questi casi era punibile con la reclusione fino a quattro anni e mezzo. Adesso con la decisione della Corte costituzionale, l'aborto viene consentito fino al sesto mese di gestazione. Superato questo periodo di tempo, una donna che interrompe la propria gravidanza resta punibile per legge. In seguito alla decisione, la Corte costituzionale colombiana ha invitato il parlamento e il governo della Colombia ad applicare le nuove normative e a prevedere una "politica pubblica integrale" che comprenda tra l'altro: "Una chiara divulgazione delle opzioni a disposizione delle donne in gravidanza durante e dopo la gravidanza; l'eliminazione di ogni ostacolo all'esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi che sono riconosciuti nella presente sentenza; la pianificazione di prevenzione della gravidanza; lo sviluppo di programmi educativi sull'educazione sessuale e riproduttiva per tutte le persone; misure di sostegno per le madri in gravidanza che includano opzioni di adozione, tra le altre, e misure che garantiscano i diritti dei neonati in circostanze di donne incinte che volevano abortire", ha così richiesto in una nota la Corte costituzionale colombiana.
"Aborto libre", le manifestazioni in Colombia per depenalizzare l'interruzione di gravidanza

Le donne colombiane cantano vittoria: "Siamo libere di decidere sul nostro corpo"

Dopo l'emanazione della sentenza, le attiviste e gli attivisti colombiani del movimento Pro-Choice hanno festeggiato davanti alla Corte costituzionale colombiana, nel centro di Bogotà. "Celebiamo questa sentenza come una vittoria storica per il movimento delle donne in Colombia che da decenni si batte per il riconoscimento dei loro diritti - ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice per le Americhe di Amnesty International -. Le donne, le ragazze e le persone in grado di avere figli sono le uniche che dovrebbero prendere decisioni sul proprio corpo. Ora invece di punirle, le autorità colombiane dovranno riconoscere la loro autonomia sui loro corpi e sui loro progetti di vita". Esprime soddisfazione anche Paula Avila-Guillen, direttrice esecutiva del Women's Equality Center: "Apprezziamo il coraggio politico e legale della Corte costituzionale nel riconoscere che le donne e le ragazze non sono cittadine di seconda classe. Nel proteggere costituzionalmente la nostra autonomia sul nostro corpo e sulla nostra vita, la Corte sta cambiando la vita di milioni di donne e ragazze vulnerabili, danneggiate in modo spropositato dalle restrizioni sull'aborto".

La Colombia è il terzo Paese latinoamericano ad aver depenalizzato l'aborto

I movimenti pro-aborto colombiani stimano che ogni anno nel Paese vengono praticati fino a 400mila aborti, di cui solo il 10% legalmente. Secondo Profamilia, un'organizzazione locale di assistenza sanitaria, nel 2020 in Colombia sono stati effettuati almeno 26.223 aborti non sicuri e secondo Causa Justa, un movimento colombiano per i diritti delle donne, almeno 350 donne sono state condannate o sanzionate tra il 2006 e il 2019 per il reato di aborto. Adesso tutto questo, grazie alla depenalizzazione sancita dalla Corte costituzionale, dovrebbe finire. La Colombia è dunque diventata il terzo Paese latinoamericano ad aver depenalizzato l'aborto. L'anno scorso anche la Corte suprema del Messico aveva fatto lo stesso, depenalizzando l'aborto nello stato di Coahuila, nel nord del Messico, mentre alla fine del 2020 l'Argentina rese definitivamente legale l'aborto. Ma anche altri Paesi latinoamericani stanno facendo passi in avanti grazie alle manifestazioni e alle proteste dei movimenti pro-aborto. Poche settimane fa l'Ecuador ha approvato una legge che consente alle donne l'aborto in caso di stupro. La pratica resta invece illegale e punibile in altri Paesi, come ad Haiti, Nicaragua, Honduras, Repubblica Dominicana, El Salvador e Suriname.
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