Lucca, 26 giugno 2024 – E' lecito, anzi è costituzionale cancellare l’atto di nascita di un figlio o di una figlia di una coppia omogenitoriale avuto con pma? E’ lecito, è costituzionale non riconoscere al bambino o alla bambina il genitore intenzionale? Sono le domande che si pone il tribunale di Lucca, e che gira alla Consulta, partendo da un caso specifico e che diventa così emblematico.
Al centro c’è l’atto di nascita di un bambino nato tramite procreazione medicalmente assistita (fatta ovviamente all’estero perché in Italia è attuabile solo da una coppia di sesso diverso e in determinati casi, come: infertilità o sterilità assoluta o irreversibile o in presenza di gravi malattie trasmissibili), figlio di una coppia di donne residenti in Versilia. Il Comune lucchese coinvolto nella vicenda ha provveduto a registrare il piccolo con doppio cognome, di entrambe le genitrici, non considerando ciò in contrasto “con l'ordine pubblico e con le norme vigenti” ma anzi ritenendo tale agire “conforme al primario interesse del minore”.
La Procura ha impugnato questo atto, chiedendone la rettifica e auspicando che la questione fosse rimessa alla Consulta. Così ha fatto il tribunale di Lucca, partendo (detto in soldoni) da alcuni dati oggettivi: in primis, la coppia in questione ha un altro figlio, di poco più grande, avuto sempre tramite pma, per il quale non è stata chiesta la rettifica dell’atto di nascita (quindi in caso di cancellazione del secondo, si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra fratelli); in secondo luogo è vero che la madre biologica è colei che ha portato avanti la gravidanza, ma la madre intenzionale ha prestato il consenso alla pratica di fecondazione e il legame con il minore è già in essere, esiste e non si può ignorare; infine (non per importanza) la legge non parla chiaro.
Lacune normative
Il tribunale di Lucca, infatti, fa notare nell’ordinanza come "le lacune normative” in materia di “bigenitorialità piena” da parte di due donne su un figlio nato con pma, lascino spazio alla discrezionalità dei singoli Comuni e quindi dei singoli sindaci. Questo vuol dire che in alcuni casi, in alcune città la madre intenzionale viene riconosciuta e in altre no. Dunque “esiti non uniformi” – commenta l'ordinanza di 40 pagine – che “danno conto di un'evoluzione del tessuto sociale a cui, nella perdurante inerzia legislativa, non è stata data compiuta risposta”.
La legge italiana, in sostanza, non va di pari passo con i cambiamenti della società, lasciando quindi scoperte alcune questioni. Da qui la scelta di sollevare una questione di costituzionalità, rimanendo fedele anche al “monito della Corte costituzionale” che nel gennaio 2021 aveva invitato il Parlamento a intervenire sul tema ritenendo “non più tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa”. I giudici lucchesi – come ha fatto anche il tribunale di Padova nel 2019, partendo da una situazione simile – hanno quindi sospeso il giudizio sul ricorso della Procura e trasmesso gli atti alla Consulta perché si pronunci sulla legittimità degli articoli 8 e 9 della legge 40/2004 e dell'articolo 250 del codice civile laddove “impediscono l'attribuzione al nato dello status di figlio anche alla madre intenzionale” e non solo a quella biologica; laddove “attribuisce alla madre e al padre di riconoscere il figlio, nella misura in cui impediscono al nato con procreazione medicalmente assistita l'attribuzione dello status di figlio".
Ne va dei diritti della madre intenzionale e della tutela del minore.