Sono state
rilasciate temporaneamente
su cauzione domenica 14 gennaio. A meno di 24 ore dalla loro scarcerazione, le autorità iraniane hanno aperto un nuovo fascicolo di indagine contro
Nilufar Hamedi e Elaheh Mohammadi, le due giornaliste iraniane che per prime avevano parlato pubblicamente della vicenda che aveva portato alla morte di Mahsa Amini. L'accusa che è stata mossa contro di loro, questa volta, è di essere apparse in pubblico all'uscita dal penitenziario senza il velo obbligatorio. Ad attendere le due reporter - 31 anni Hamedi e 36 Mohammadi -,
detenute da quasi 17 mesi per aver contribuito a diffondere la notizia della morte della giovane curda, notizia che aveva scatenato enormi proteste contro il regime iraniano, fuori dalla prigione di Evin a Teheran c'erano tantissime persone, amici e familiari.
Nilufar Hamedi e Elaheh Mohammadi, le giornaliste che per prime hanno raccontato al mondo la storia di Mahsa Amini (Instagram)
Immediatamente foto e video della liberazione hanno invaso il web:
abbracciate a capo scoperto, hanno fatto segno di vittoria, finalmente libere di sorridere di nuovo circondate dall'affetto dei cari. Purtroppo, come spesso in questi casi accade, le immagini sono arrivate subito alle autorità statali, che presidiano - per non dire spiano - capillarmente ogni angolo della città, in cerca di infrazioni al rigido codice di abbigliamento e di comportamento imposto alle donne.
Escono senza velo: scatta un'altra accusa
"Una
nuova denuncia è stata presentata davanti al tribunale rivoluzionario di Teheran" contro le due "dopo la
pubblicazione delle loro foto senza velo", e darà luogo ad un procedimento giudiziario: ad annunciarlo l'agenzia Mizan Online, legata alla magistratura iraniana. La sorella della 36enne, Elnaz, ha condiviso la notizia dell'uscita di prigione di Elaheh con un post su Instagram. "
Il momento della libertà", ha scritto accanto a foto e video della sorella e della collega giornalista che camminano insieme, tenendosi per mano e facendo il segno V di vittoria con le mani e un grande sorriso sulle labbra. Il marito di Hamedi, Mohamad Hosein Ajoroloo, che ha continuato a pubblicato sui social media i dettagli del caso e le parole della moglie dopo il suo arresto, ha condiviso una foto del loro abbraccio dopo il rilascio.
Le giornaliste iraniane, voci di libertà dal carcere
Anche il padre di Mahsa Amini, Amjad, ha gioito via Instagram per il rilascio provvisorio delle donne. Le due reporter erano state arrestate a fine settembre 2022, dopo che le proteste per la morte della 22enne di origine curda, deceduta mentre era sotto la custodia della polizia morale iraniana con l'accusa di aver indossato l'hijab in modo improprio si erano diffuse in tutto l'Iran. Il movimento di protesta '
Donna, vita, libertà', dallo stato si era esteso anche a molti Paesi occidentali. Condannate a ottobre scorso, sono attualmente
in attesa del verdetto sul loro appello, secondo l'agenzia di stampa statale iraniana Irna. Domenica, però, Nilufar ed Elaheh hanno potuto lasciare il penitenziario di Teheran pagando una cauzione di
10 miliardi di toman (circa 200.000 dollari a testa). È stato però vietato loro di lasciare il Paese. Secondo Reporter Senza Frontiere (RSF), Hamedi è stata fermata dopo aver visitato Amini in ospedale per riferire sulle sue condizioni di salute, mentre Mohammadi è stata arrestata in seguito alla pubblicazione di un articolo in cui raccontava il funerale della vittima, secondo Reporter senza frontiere e le Nazioni Unite.
Elnaz Mohammadi ha pubblicato una foto della liberazione della sorella e della sua collega Hamedi dal penitenziario di Teheran
Secondo l'Irna, la sentenza di quest'ultima prevede "6 anni di carcere per l'accusa di aver collaborato con il governo ostile degli Stati Uniti, 5 anni di reclusione per associazione a delinquere contro la sicurezza del Paese e un anno per propaganda di attività contro la Repubblica Islamica dell'Iran". La 31enne, invece, "è stata condannata a 7 anni di prigione per aver collaborato con il governo ostile degli Stati Uniti, a 5 anni per collusione e associazione a delinquere contro la sicurezza del Paese, e a un anno per attività di propaganda contro la Repubblica Islamica dell'Iran". Alle giornaliste è stato anche vietata l'iscrizione a partiti politici, fatto divieto di attività sui social e di lavorare nei media per due anni, riferisce ancora l'agenzia di stampa statale. Sherif Mansour, coordinatore del programma del Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) in Medio Oriente e Nord Africa, l'anno scorso ha descritto le incriminate come "una chiara testimonianza dell'
erosione della libertà di parola e dei disperati tentativi del governo iraniano di
criminalizzare il giornalismo". Mentre erano in carcere, comunque, le due professioniste sono state insignite del prestigioso premio
Unesco/Guillermo Cano World Press Freedom Prize 2023 per gli eccezionali contributi alla libertà di stampa e sono state riconosciute nella lista delle 100 persone più influenti del 2023 dalla rivista Time.
La nuova condanna per Narges Mohammadi
Per una buona notizia che arriva dall'Iran, seppur parziale vista la temporaneità della scarcerazione delle giornaliste, ne arriva un'altra che non porta con sé alcuna speranza. Un altro tribunale iraniano ha condannato
la vincitrice del premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi a
un'ulteriore pena di oltre un anno in galera con l'accusa di aver diffuso propaganda contro la Repubblica islamica mentre era dietro le sbarre. Lo ha reso noto la famiglia. La Corte rivoluzionaria ha condannato la donna a 15 mesi di carcere e le è stato inoltre ordinato di trascorrere due anni in esilio fuori da Teheran, il divieto di viaggiare per due anni e il divieto di utilizzare uno smartphone per 24 mesi quando sarà liberata.
Narges Mohammadi, attivista iraniana attualmente rinchiusa nel carcere di Evin, a Teheran
I parenti hanno sottolineato che questa
è la quinta condanna per Mohammadi dal marzo 2021, con sentenze che ora ammontano a 12 anni e tre mesi di carcere, 154 frustate, due anni di esilio e diverse misure sociali e politiche. Mohammadi, la cui famiglia ha ritirato
il premio Nobel 2023 a Oslo in suo nome a dicembre, ha ricevuto il riconoscimento per le sue campagne a favore dei diritti umani in Iran. Narges ha trascorso gran parte degli ultimi due decenni entrando e uscendo dal carcere e ha iniziato a scontare la sua ultima condanna nel novembre 2021. Ma dietro le sbarre della famigerata prigione di Evin a Teheran non ha mai abbandonato le sue campagne per i diritti.