Quelle forme di violenza quotidiane e sottili che colpiscono tutte le donne

Cat calling, controllo economico, persecuzioni, molestie sul lavoro: c’è un’invisibile catena che dal “piccolo” porta alla violenza sulle donne e ai femminicidi. E la tutela dei braccialetti anti-stalking ha in Italia non pochi problemi

di EDOARDO MARTINI
9 marzo 2025
Il 32 per cento delle donne italiane – circa dieci milioni – ha subito nel corso della propria vita un qualche tipo di violenza fisica o sessuale

Il 32 per cento delle donne italiane – circa dieci milioni – ha subito nel corso della propria vita un qualche tipo di violenza fisica o sessuale

Uno sguardo insistente in ascensore, un apprezzamento volgare per strada, una mano posata sulla schiena, un controllo sullo scontrino della spesa, un commento sminuente e dispregiativo, una scenata di gelosia urlata in pubblico, una palpata non voluta in discoteca, una velata minaccia, una spinta, uno schiaffo, uno stupro, una pistola alla testa. La violenza sulle donne conosce un’enorme varietà di forme che, ogni giorno, si manifestano in pubblico, nei luoghi di lavoro, in famiglia, nelle relazioni di coppia

L’esercizio sulle donne di violenza psicologica, finanziaria, sessuale, fisica è un larghissima parte prerogativa maschile e quando si parla del nostro Paese, ci sono tre dati da tenere a mente. Primo, secondo il 32 per cento di tutte le italiane – circa dieci milioni – ha subito nel corso della propria vita un qualche tipo di violenza fisica o sessuale. Secondo, l’83 per cento delle donne che si sono rivolte ai Centri anti-violenza ha subito, all’inizio, forme di violenza psicologica. Terzo, in più di otto casi su dieci le vittime di femminicidio conoscevano il loro assassino.

Non è, insomma, qualcosa che riguarda una minoranza: alcune manifestazioni di dominio sulle donne sono un esercizio quotidiano così abituale che spesso risulta quasi invisibile. Sminuire una collega in ufficio – “Tanto voi non servite a nulla” – o fare battute a sfondo sessuale con lei può diventare una forme di molestia. Una parola ambigua o un tocco indesiderato può ugualmente provocare disagio. Anche un rigido controllo sulle spese di una partner o la pretesa di sapere cosa fa e con chi ogni momento della giornata è violenza. 

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La violenza economica

La violenza economica è una forma di controllo che limita l’autonomia finanziaria delle donne, impedendo loro di accedere o gestire risorse economiche. Questo tipo di abuso può manifestarsi attraverso il controllo rigido delle finanze familiari, l’impedimento a lavorare o la sottrazione dei guadagni. Sebbene sia meno visibile rispetto ad altre forme di violenza, le sue conseguenze sono devastanti, confinando le vittime in una dipendenza che ostacola la loro libertà e autodeterminazione.
In Italia, quattro donne su dieci non hanno accesso a un conto corrente. Questo, secondo gli ultimi rapporti dei Centri anti-violenza, rappresenta un enorme disincentivo a denunciare violenze o chiedere aiuto. In particolare, quando le madri vittime di violenza non hanno un’indipendenza economica, hanno spesso paura, allentandosi dal partner violento, di non poter più sostentare sé stesse e i figli.

I dati (inquietanti) sui femminicidi 

E poi ci sono le forme più estreme di violenza e sopraffazione: i femminicidi. Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale di “Non una di meno” nell’ultimo anno si sono registrati in Italia ben 97 femminicidi, più altri 53 tentati, riportati nelle cronache online di media nazionali e locali. Si è registrato almeno un caso in 18 regioni, 60 province e 100 città in tutta Italia.

Oltre il 54 per cento dei casi sono avvenuti in Lombardia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Sicilia. Insomma, numeri impietosi che non possono rassicurarci nemmeno se paragonati ai 112 del 2023. Per quanto riguarda il 2025, sono già nove le donne vittime di compagni, mariti e figli.

Ed è proprio nella sfera intima e familiare che le violenze più gravi si sviluppano. Più di otto su dieci conoscevano il loro assassino, che è quasi sempre il partner, l’ex, un parente o un conoscente. Questa proporzione, decenni fa, era molto più bassa. Negli anni, quindi, da una parte diminuiva il numero di omicidi volontari commessi da sconosciuti, dall’altra la percentuale di donne uccise da familiari, parenti o amici restava invariata o diminuiva di poco. È in atto, insomma, un cambiamento storico e culturale che richiede interventi soprattutto nei contesti familiari. La prevenzione “sulla strada”, benché fondamentale, è efficace solo fino a un certo punto.

Una questione culturale

La natura “familiare” e “affettiva” dei femminicidi è spesso legata al desiderio di controllo e dominio dell’uomo sulla donna. Questo fenomeno non riguarda solo la “sicurezza”, ma affonda le radici nella “cultura”. Di conseguenza, difficilmente saranno pene più severe o maggiori interventi delle forze dell’ordine a far scomparire questa forma di violenza. Essa pervade le famiglie, la scuola, i luoghi di lavoro e l’essenza stessa delle relazioni umane.

Le ricerche in ambito psicologico e sociologico condotte negli ultimi decenni evidenziano come questa violenza sia alimentata da un sistema patriarcale che assegna agli uomini una posizione di privilegio economico, lavorativo e familiare. Il dibattito è ancora aperto, ma quel “mito di superiorità” continua a riflettersi nei comportamenti, nel concetto di famiglia, nei rapporti di coppia e nella visione della società.

Una soluzione pratica a metà

Ma esiste una soluzione per fermare queste violenze? Al di là, ovviamente, di un cambio di mentalità, uno degli strumenti pratici previsti dal “Codice Rosso” è il braccialetto anti-stalking. Si tratta di dispositivi progettati per monitorare gli spostamenti di individui sottoposti a misure cautelari, come il divieto di avvicinamento a una determinata persona o luogo. In teoria, dovrebbero fungere da deterrente e garantire una risposta tempestiva delle forze dell'ordine in caso di violazione delle restrizioni imposte.

Peccato che in molte situazioni non abbia garantito l’incolumità delle donne tutelate. Un caso eclatante è stato quello di Celeste Palmieri, la donna di 56 anni assassinata dal marito Mario Furio, agente di polizia penitenziaria in quiescenza, sottoposto a controllo elettronico tramite braccialetto.

Le criticità dei braccialetti anti-stalking 

Nella pratica, ci sono molti problemi nel funzionamento di questi dispositivi in Italia, tali che, di fatto, ne compromettono l’efficacia. Una delle principali problematiche risiede nella gestione e nel monitoraggio dei segnali emessi dai braccialetti. Spesso, le forze dell'ordine non dispongono di risorse sufficienti per garantire un controllo continuo e immediato delle segnalazioni di allarme. Questo ritardo nella risposta può risultare fatale, soprattutto in situazioni in cui è necessaria un’azione rapida per prevenire atti violenti.

Inoltre, la tecnologia dei braccialetti può presentare limitazioni, come zone d’ombra nella copertura del segnale GPS o malfunzionamenti tecnici, che riducono la loro affidabilità. La mancanza di una formazione adeguata del personale incaricato del monitoraggio e l’assenza di protocolli standardizzati per la gestione degli allarmi contribuiscono ulteriormente a diminuire l'efficacia di questi dispositivi.

Un altro aspetto critico riguarda la percezione di sicurezza che i braccialetti possono infondere nelle vittime. Questa falsa sensazione di protezione potrebbe indurre le persone a sottovalutare i rischi reali, esponendole a pericoli maggiori. È fondamentale, quindi, che l’utilizzo dei braccialetti sia accompagnato da altre misure di supporto, come assistenza psicologica e piani di sicurezza personalizzati.