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Mamdouh, dalla strada al posto fisso: "Dormivo in stazione, ma ora ho un contratto indeterminato"

Il racconto del 37enne di origine egiziana: "Stavano per ammazzarmi per un paio di scarpe. A volte pensavo di morire di freddo. Oggi finalmente lavoro: grato a chi ha creduto in me"

di CHIARA GABRIELLI -
7 aprile 2024
Volontari dell’associazione La Nuova Luce, ragazzi e benefattori, con al centro Mamdouh (foto di Federico Troisi)

Volontari dell’associazione La Nuova Luce, ragazzi e benefattori, con al centro Mamdouh (foto di Federico Troisi)

Reggio Emilia, 7 aprile 2024 – «Ho attraversato l’inferno e adesso mi sento come in paradiso. Dalla vita di strada a un contratto di lavoro a tempo indeterminato, mi sembra un sogno. Ho dormito all’aperto, ho lottato per sopravvivere, ho veramente toccato il fondo. Credetemi, nessuno è contento di non avere un tetto sopra la testa, nessuno ha piacere di fare una vita così. Ora, tutto è cambiato. E il mio desiderio più grande è che la mia famiglia mi raggiunga qui. Ho una figlia di due anni che non ho mai visto. Non vedo l’ora di poterla tenere in braccio". I suoi occhi si riempiono di lacrime mentre racconta, si vede che non può farne a meno, l’emozione è troppo grande e lo travolge: un pianto di una gioia incontenibile, che è quello di chi, prima, ha conosciuto anche l’altra faccia della medaglia, la disperazione pura.

Mamdouh Assan, 37 anni, di origine egiziana, fino a pochi mesi fa era uno dei senzatetto della stazione storica, i cosiddetti ‘invisibili’, troppo spesso protagonisti, in negativo, di qualche brutto fatto di cronaca. Era uno di loro, nella massa indistinta, solo uno tra i tanti disperati, senza nemmeno un nome, uno di quelli che non sanno come andare avanti e che ogni giorno devono inventarsi degli espedienti per campare.

Oggi, invece, mentre finisce di sistemare in cucina, dove dà una mano a Maria Diletto (presidente dell’associazione la Nuova Luce) e altri volontari, guarda sorridente alla sua nuova vita, dove ci sono un lavoro fisso (nel settore del cartongesso), una casa in affitto che condivide con altri, i documenti: una vita dignitosa, che ha conquistato con tanta fatica. Ricorda il terrore di quei mesi per strada, quando pensava di morire di freddo o perché veniva picchiato troppo forte da altri senzatetto, come gli è successo tante volte, anche solo per uno zaino conteso. E si commuove, ora, pensando a quanti hanno creduto in lui e lo hanno aiutato a uscire da quell’incubo.

Ma cominciamo dall’inizio di questa storia. "Sono arrivato in Italia due anni e mezzo fa, su di un barcone – racconta, in un buon italiano –, per tre giorni ‘abbiamo camminato’ nel mare, avevo tanta paura. Era il mese di ottobre. Non avevo nessun posto dove andare e, una volta qui, per strada mi hanno detto di andare in stazione. Non sapevo che fare e sono andato là". Iniziano i mesi più difficili, è evidente che è dura per lui rivangare quel periodo.

"Dormivo in stazione o in piazza o sotto un albero. Non conoscevo nessuno. Andavo sempre in questura a chiedere se potevano trovarmi un alloggio. Il tempo passava, ma niente da fare. Mi faceva orrore vivere così, volevo un lavoro e una casa. Quando non hai un posto tuo, non dormi mai veramente. Trascorrevo la notte con la paura di essere aggredito. E infatti succedeva, continuamente, quando mi rubavano lo zaino, i vestiti, la coperta. In un caso mi hanno sbattuto la testa contro il muro per un paio di scarpe, ho lasciato che le prendessero. Cosa dovevo fare? Ero solo e non volevo farmi ammazzare, e per di più per una cosa tanto stupida. Avevo paura di morire, non tanto per me, ma per la mia famiglia. In quel periodo mi sentivo un fallito: ero venuto in Italia per cercare lavoro e poter mandare i soldi ai genitori, mia moglie e i miei tre figli. E invece non stavo combinando nulla".

Passavano i mesi e la situazione non migliorava. "Cercavo sempre lavoro, ma non si trovava niente. Non bevevo, non fumavo, non mi drogavo. Dio ti vede sempre e volevo rigare dritto. Per lavarmi andavo in moschea, facevo la doccia o lavavo la faccia. Impossibile andare in bagno in un bar, ti fanno pagare un euro. Alla Caritas andavo solo per mangiare. Ero disperato". Un giorno, uno dei senzatetto della stazione gli ha detto: ’Prendi questo numero, chiama lei’. "Era il contatto di Maria Diletto – spiega Assan –, mi sono presentato e lei mi ha detto subito: ‘Hai bisogno di una coperta e vestiti?’ Ho detto di sì ed è arrivata subito. Da allora, la mia vita è cambiata. Per un periodo ho lavorato in un ristorante, ma pagavano una miseria. Quando restavo senza niente, tornavo a dormire sotto l’albero". Tanta gente, ricorda Assan, non sopportava più di fare quella vita: era in cerca di un riscatto. "C’era chi diceva ai passanti: non voglio l’elemosina, non voglio denaro. Vorrei solo lavorare".

Poi, finalmente, ho iniziato con il cartongesso per questa ditta. Dopo un periodo di prova, mi hanno assunto. A tempo indeterminato. Quando ho firmato, mi sono messo a piangere e se ci penso ancora oggi non riesco a crederci. Ho mandato subito una foto alla ‘sorella’ Maria". Adesso, "vado al lavoro a Modena o Sassuolo, di solito col treno o con l’autobus, mi alzo alle 5 di mattina e torno alle 6 o alle 7 di sera. Guadagno 1.500 euro ma ne mando 900 alla mia famiglia, che ne ha bisogno. Mi sento sempre povero, ma ricco dentro. È una vita faticosa, ma non mi importa. Grazie a Dio ho trovato questo. Un lavoro fisso significa una casa, significa documenti. Significa che forse presto potrò riabbracciare la mia famiglia. So di av er fatto felici quanti hanno creduto in me e non hanno mai smesso di volermi bene, come Maria, come mia moglie, che purtroppo è anche malata. Non mi importa di guadagnare tanto, un giorno moriremo e allora i soldi a cosa serviranno? Se c’è una cosa che ho capito dopo tutto questo, è che sono felice quando faccio felici quelli che mi circondano".

Poco tempo fa, passando dalla zona stazione "ho visto una donna che piangeva, mi sono avvicinato e le ho chiesto cosa era successo. Mi ha detto ’Non ho niente da mangiare e ho tanta fame’. Sono andato a casa e dopo pochi minuti le ho portato da mangiare e una coperta. Era felice, non la smetteva più di ringraziarmi. Io ero come lei, ho pensato. E magari qualcuno fosse stato così gentile con me quando ero disperato. Se vedete un povero, aiutatelo, il bene che fate vi sarà ripagato interamente. Perché, credetemi, a nessuno piace dormire all’aperto. Purtroppo io lo so bene". Oggi però quella vita è acqua passata e "questo grazie a Maria Diletto, che è sempre vicina ai poveri e che mi aiutato con il lavoro. Grazie, grazie, grazie. Perché oggi sono felice".