Lettere dal carcere: la lotta continua di Aung San Suu Kyi e Narges Mohammadi

Le due premio Nobel per la Pace, l'una leader birmana e l'altra attivista iraniana, pur dalla detenzione portano avanti la loro lotta per i diritti

di GIOVANNI BOGANI -
6 febbraio 2024
premi nobel in carcere

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Dopo tre anni di silenzio e quasi totale assenza di notizie sulle sue condizioni, la famiglia di Aung San Suu Kyi ha ricevuto la prima comunicazione da quando la ex leader del Myanmar è stata destituita e imprigionata (poi trasferita agli arresti domiciliari in estate scorsa) nel 2021. In una lettera manoscritta indirizzata al figlio Kim Aris, che vive in Gran Bretagna, Suu Kyi dice che sta generalmente bene, anche se soffre di problemi dentali e di spondilite (una malattia autoimmune che colpisce la colonna vertebrale). La missiva è la prima conferma che la donna, premio Nobel per la Pace nel 1991, è ancora viva.
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L'ex leader del Myanmar Aung San Suu Kyi

"Sono stato travolto dalla gioia, nel vedere qualcosa scritto di suo pugno, nel sapere prima di tutto che mia madre è ancora in grado di scrivere – ha detto il figlio a una tv britannica –. Non avevo avuto nessuna conferma che fosse davvero in vita, in tutti questi anni".

Le condanne e il divieto di contatti

Aung San Suu Kyi sta scontando una condanna a 33 anni di prigione con accuse varie (tra cui corruzione e spionaggio) che, secondo i suoi sostenitori, sono state fabbricate per estrometterla dal potere e tenerla in prigione. A seguito di un'amnistia le sono state perdonate 5 delle 18 accuse e le sono stati condonati 6 anni dal totale. La giunta militare che governa la Birmania le ha impedito ogni contatto con il mondo esterno: soltanto adesso le ha permesso di ricevere un pacco di cure dalla sua famiglia in Gran Bretagna, e le ha permesso di rispondere con quello che è, in sostanza, un biglietto di ringraziamento.
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La 78enne in carcere dal 2021 dopo il colpo di stato militare è stata condannata complessivamente a 33 anni di carcere

Kim Arisha ricevuto non il manoscritto ma la sua fotografia, tramite il British Foreign Office. Dice che non ci sono molti dettagli nella lettera: Suu Kyi sapeva bene che la sua missiva sarebbe stata letta dalle autorità militari, e che sarebbe stata bloccata se avesse tentato di dire di più.

Non si sa dove sia detenuta

Il figlio aggiunge di non avere idea di dove sua madre sia detenuta, ma di credere che sia in isolamento. "Ho la certezza che venga tenuta lontana dagli altri prigionieri, ma non so se sia in una cella o in una baracca o in quale luogo", ha detto. "So che non ha mai accettato un trattamento preferenziale rispetto agli altri detenuti, dunque vive in condizioni che posso immaginare abbastanza terribili". Aris aggiunge che sua madre da un anno non può vedere un avvocato, e che il suo unico contatto con l’esterno è stata una visita del ministro degli esteri della Thailandia, che la ha incontrata lo scorso giugno. Esattamente tre anni fa, il primo di febbraio 2021, i militari hanno preso possesso del Paese con un colpo di Stato, nel giorno in cui si doveva insediare il nuovo Parlamento. Nello stesso giorno Suu Kyi è stata arrestata. Sono seguite enormi proteste popolari, soppresse brutalmente dalla giunta.
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Il volto di Aung San Suu Kyi viene mostrato durante le proteste contro la giunta militare al potere in Myanmar

Si parla di almeno 1.500 morti fra i dimostranti, nel corso dei mesi successivi. Myanmar – il nome della Birmania nella loro lingua – è tuttora attraversata da una guerra civile fra vari gruppi di milizie, e con una resistenza armata di civili che si oppongono alla giunta militare. Intanto il Paese vive, oltre a una spirale di violenza, una tremenda crisi economica.

Chi è Aung San Suu Kyi

San Suu Kyi, 78 anni, ha ricevuto nel 1991 il premio Nobel per la Pace. Ha fondato la Lega nazionale per la democrazia, partito di opposizione alle dittature militari che hanno caratterizzato la storia birmana fin dal 1962. Fra il 1989 e il 2010 ha trascorso quasi 15 anni in carcere o agli arresti domiciliari. Liberata nel 2010, nel 2015 ha vinto con il suo partito le elezioni ed è stata nominata Consigliere di Stato, una delle cariche più importanti in Birmania. È rimasta in carica fino al colpo di Stato del 1° febbraio 2021. Con una serie di processi a porte chiuse, vietati ad osservatori e media, è stata condannata a un totale di 33 anni di carcere.
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Aung San Suu Kyi, 78 anni, è agli arresti domiciliari in una località però sconosciuta

Sulla sua vita, il regista francese Luc Besson ha diretto il film "The Lady" nel 2011. Numerosi artisti le hanno dedicato brani musicali: fra di loro, gli U2, i Rem, Damien Rice, i Coldplay. Nel 2014 Marco Martinelli ha scritto e messo in scena "Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi". Nel 2017 ne ha tratto un film con lo stesso titolo, interpretato da Sonia Bergamasco e Elio De Capitani.

L'appello della Toscana per l'iraniana Narges Mohammadi

Intanto, in un altro angolo di mondo, in Iran, Narges Mohammadi, anche lei premiata col Nobel per la Pace, è prigioniera da maggio 2016 del regime iraniano. E anche dalla nostra regione, al Carnevale di Viareggio, è arrivato l’ennesimo appello per la sua liberazione. La donna è tra i volti principali della lotta per i diritti umani. Fra le iniziative del Carnevale viareggino un appello, al fianco di Oxfam, promosso dalla regione sotto l’egida della Toscana delle donne e di Cristina Manetti, capo di gabinetto del governatore Eugenio Giani.
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Al Carnevale di Viareggio l'appello della Toscana delle Donne per la liberazione di Narges Mohammadi

Il 13 febbraio a Viareggio sarà presente un tavolo per sottoscrivere l’appello in favore dell'attivista iraniana.

Un'altra premio Nobel in carcere

Nata nel 1972 a Zanjan, nel nord dell’Iran, Narges Mohammadi ha sostenuto la campagna elettorale progressista di Mohammad Khatami, eletto presidente iraniano nel 1997 e nel 2001, e ha combattuto una lunga battaglia contro l’hijab obbligatorio. È stata arrestata 13 volte e condannata a 31 anni di prigione e 154 frustate. Secondo Amnesty International, le sono state negate cure mediche, nonostante soffra di una malattia polmonare. L'Unione europea ha condannato la persecuzione contro Mohammadi: "L'Ue invita l'Iran a rispettare gli obblighi derivanti dal diritto internazionale e a rilasciare urgentemente la signora Mohammadi, tenendo conto anche del deterioramento delle sue condizioni di salute".
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L'attivista è stata condannata a un totale di 31 anni di prigione e 154 frustate

Da mesi Mohammadi ha iniziato uno sciopero della fame in carcere, come riferito dalla sua famiglia. Nel dicembre scorso, le è stato conferito il premio Nobel. A sorpresa, ha risposto dal carcere alle domande dei giornalisto che le sono state inviate. Non vede i suoi figli, i gemelli Kiana e Ali, da otto anni. Sono stati loro, oggi diciassettenni, a ricevere il premio al posto suo. Lei ha mandato un messaggio che inizia con le parole: "Donna, vita, libertà". L’intervista via mail si conclude con "È importante che il mondo riconosca la nostra lotta, e i cambiamenti che hanno luogo nella società iraniana. Mi aspetto che i governi e l’opinione pubblica internazionale aiutino lo sviluppo dei diritti umani e del processo democratico in Iran".

La lettera contro l'apartheid di genere

Mohammadi, inoltre, recentemente ha esortato le Nazioni Unite ad agire sull'apartheid di genere in Iran: "Abbiamo urgentemente bisogno di azioni per fermare questa repressione disumana e inaccettabile", ha scritto dalla sua cella. Indicando poi una serie di azioni che secondo lei andrebbero intraprese: "Criminalizzare l'apartheid sessuale e di genere, fornire una definizione legale più precisa nelle leggi internazionali, rilasciare dichiarazioni di condanna dei sistemi di apartheid di genere in Iran e Afghanistan".
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L'attivista iraniana Narges Mohammadi ha vinto il Nobel per la pace 2023

E poi "riflettere sulle esperienze e le narrazioni delle donne che sono sempre più soggette a questa tirannia distruttiva, sostenendo le istituzioni civili femminili in queste società e appoggiando e proteggendo i difensori dei diritti femminili soppressi dai regimi". Secondo l'attivista sarebbe sufficiente modificare la bozza del Trattato sui crimini contro l'umanità dell'Onu per includere questo fenomeno distruttivo. "Non è un percorso difficile ed è realizzabile – conclude –. È soprattutto inevitabile".