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Perché quel vagone Trenord per sole donne significa ghettizzare la vittima e non il carnefice

di SOFIA FRANCIONI -
10 dicembre 2021
Le strade sicure

Le strade sicure

LE STRADE SICURE LE FANNO LE DONNE CHE LE ATTRAVERSANO

Era il 2018 quando lessi questa frase scritta con della vernice bianca su un ponte a Firenze. Tracciava un nuovo cammino di battaglie e portava la firma del collettivo femminista Non Una di Meno. La fotografai, mi colpì. Dopo averla letta, seppi sempre cosa rispondere a chi mi diceva di prendere una strada piuttosto che un’altra, se uscivo la sera. Di non prendere da sola quella linea del bus, perché su alcune specifiche tratte - e tutti sanno quali, ma rimangono comunque pericolose - una ragazza non è al sicuro. A chi mi diceva, ed erano anche le mie amiche o coetanee, di non uscire da sola la sera, di farmi riaccompagnare a casa, di stare attenta, rispondevo: "Io esco e non mi faccio problemi, perché le strade sicure le fanno le donne che le attraversano". Non Una di Meno con quel murales, che toccava il cuore di un problema sentito nelle strade di Firenze, come nelle altrettante che tagliano le città italiane, mi dette la risposta che cercavo: basta passività, sono gli uomini che rappresentano un pericolo per le donne a doversi limitare. Non io. Non noi. A distanza di tre anni, leggo una notizia che in questo senso rappresenta un passo indietro. Dopo due casi di violenza, registrati a dicembre, ai danni di due giovani ragazze pendolari sulla linea Milano-Varese, su Change.org è stata lanciata una petizione per chiedere a Trenord, la società di trasporto pubblico ferroviario lombardo, di dedicare il vagone in testa al treno esclusivamente alle donne "per proteggerle" e "tenerle al sicuro" da possibili molestatori o violentatori. Un vagone dedicato alle donne come fossero una specie protetta, l’altro sesso, il Secondo, per citare la madre del femminismo moderno Simone de Beauvoir. "Vogliamo viaggiare sicure" è il titolo della petizione. La scorro, leggo i commenti delle più di mille donne che l’hanno firmata. C’è chi l’ha fatto perché ha una figlia che prende quella linea tutti i giorni. Chi, perché ha subito una violenza simile e chi perché dopo le 22 non prende il treno da sola per paura. Ho rispetto dei loro timori, ma provo rabbia perché da questa proposta passa un assunto raggelante: non sono gli uomini che devono cambiare, ma – com'è da tradizione – le donne che devono adeguarsi, disegnando mappe del terrore per rientrare a casa, stando attente a non bere un bicchiere di troppo, a scegliere la giusta scollatura del vestito o il vagone giusto. Quando, come ha ripetuto il 25 novembre il presidente dell’Assemblea parlamentare europea Rik Daems, alla violenza maschile sulle donne "dobbiamo fare guerra con i fatti, non arginarla come se fosse un dato di fatto. Non dobbiamo mettere le donne vittime di violenza nelle case rifugio - ha aggiunto il Presidente - ma gli uomini violenti in carcere", perché nei confronti della violenza contro le donne "l’atteggiamento dev’essere uno solo: Tolleranza Zero". Non è con la passività o con l’auto-ghettizzazione che le donne sono riuscite nella strada dell’emancipazione, ma è facendosi sentire, occupando spazi politici, fisici, sociali. Ghettizzare le donne per metterle al sicuro significa di nuovo colpevolizzare le vittime e non i carnefici. Non dobbiamo convivere con il fenomeno, cercando soluzioni a un problema come fosse un destino irreversibile, ma rivendicare il diritto a sentirci sicure partendo dal presupposto che la violenza maschile contro le donne dev'essere cancellata. "Siamo arrabbiate", scriveva nel 1949 Simone de Beauvoir nell'incipit del Secondo Sesso - e io aggiungo "anche spaventatema "dobbiamo rimanere lucide".