Qualità della vita delle donne in Italia: prima Treviso ultima Caltanissetta. Al setaccio le Pari Opportunità tra quello che ci chiede l'Europa e le ultime politiche messe in campo

di SOFIA FRANCIONI
13 dicembre 2021
qualitàVitaDonne

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Indicata come una delle tre priorità trasversali in termini di inclusione sociale tra gli obiettivi del Pnrr, la parità di genere diventa un indice a parte per valutare la qualità della vita delle donne, nelle varie città italiane. La classifica di genere, realizzata tramite la tradizionale indagine del Sole 24 ore ben più ampia, quest'anno tiene conto di un nuovo indice definito dalla media dei punteggi conseguiti in 12 indicatori che condizionano il mondo femminile: la speranza di vita alla nascita; il tasso di occupazione delle donne e l’occupazione giovanile; il gap occupazionale di genere; il tasso di mancata partecipazione al lavoro; il gap retributivo tra uomini e donne; il numero di imprese femminili; il numero di amministratrici, sia nelle imprese sia nei Comuni (a cui Luce! ha dedicato un'inchiesta); le violenze sessuali; le performance nello sport e le prestazioni olimpiche. In Italia la speranza di vita è l'unico sottoindicatore che vede la Penisola omogenea: tra la prima Treviso (86%) e l'ultima Vercelli (82.3%) passano solo 4 punti percentuali di differenza. Mentre grandi disparità caratterizzano il resto degli indici presi in esame, portando a distanze abissali le città italiane. In generale, tenendo conto della qualità della vita della donne, indice nato dalla media dei punteggi nei 12 indicatori appena elencati, vediamo svettare nella top ten: Treviso (con 693,4 punti), Prato, Siena, Savona, Firenze, Varese, Pisa, Ferrara, Aosta e Bologna. Le ultime posizioni spettano invece alle città del Centro-Sud con Caltanissetta fanalino di coda (con 242,7 punti), preceduta da Crotone, Napoli, Caserta. Mentre a risultati mediocri arrivano Torino, Roma e Milano, che sono posizionate rispettivamente al 24°, 27°e 33° posto.

La legge sulla parità salariale della deputata Pd Chiara Gribaudo

  Da raggiungere entro il 2030, la parità di genere è il quinto dei 17 obiettivi posti dalle Nazioni Unite per garantire a tutti un futuro sostenibile. In Italia quest'anno, in forza anche del Pnrr, non sono mancate iniziative in tal senso. Per quanto riguarda il gender pay gap a ottobre è stata approvata in Parlamento la legge sulla parità salariale, di cui è madre e madrina la giovane deputata piemontese del Pd, Chiara Gribaudo, che l’ha voluta sin dal primo giorno di legislatura. La legge "Gribaudo" ha modificato l’articolo 46 del codice delle Pari opportunità del 2006, voluto dal ministra Mara Carfagna, disponendo l’obbligo di stesura di un rapporto sul personale alle aziende con 50 dipendenti (che verrà trasmesso telematicamente al ministero del Lavoro). Tra le nuove norme introdotte dalla legge, anche l'integrazione della nozione di discriminazione diretta e indiretta, includendo nelle fattispecie pure gli atti di “natura organizzativa, o oraria” che sfavoriscono la componente rosa nel mondo del lavoro e l'introduzione di pene severe per chi non rispetta la norma sulla parità salariale e una certificazione: un bollino blu, importante ai fini degli sgravi contributivi e previdenziali, per le aziende sotto i 50 dipendenti, non obbligate, per ragioni legate alla loro fragilità, dopo la pandemia, al rispetto delle nuove indicazioni.  

La strategia nazionale per la parità di genere 2021/2026

  Presentata dalla ministra per le Pari Opportunità, Elena Bonetti, la strategia nazionale è a tutti gli effetti un piano concreto per la parità di genere con obiettivi misurabili nei settori del lavoro, reddito, competenze, tempo e potere. In generale, la meta è aumentare di cinque punti, entro il 2026, il Gender Equality Index italiano, che al momento vede il nostro Paese sotto la media europea di 4,4 punti. L'Italia si colloca infatti al 14° posto nella classifica dei 27 paesi europei con 63,5 punti su 100, mentre la media europea si attesta a 67,9 punti. I vari interventi previsti dalla strategia, finanziati con circa 7 miliardi di euro per Pnrr, mirano - tra le altre cose -  a promuovere una maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro, attraverso: interventi diretti di sostegno all’occupazione e all’imprenditorialità femminile; interventi indiretti o abilitanti, rivolti in particolare al potenziamento dei servizi educativi per i bambini e di alcuni servizi sociali, che il Pnrr ritiene potrebbero incoraggiare un aumento dell’occupazione femminile. In particolare di nuovi asili nido beneficerà in Mezzogiorno che, grazie all'impegno della ministra per il Sud Mara Carfagna, vedrà garantito un posto al nido al 33% dei bambini entro il 2027.

Divari territoriali e di genere lungo la Penisola

Netta in classifica è la distanza che divide il Sud del paese dal resto d'Italia: le città meridionali sono infatti penalizzate da quasi tutti i sottoindicatori che riguardano occupazione e retribuzione femminile. Per il tasso d'occupazione vediamo infatti come fanalino di coda Caltanissetta con il 22,4% delle occupate tra i 20 e i 64 anni sul totale, preceduta da Napoli (22,7%) e Crotone (27%). Stesse città che si alternano per quanto riguarda la percentuale di disoccupate e donne inattive sul totale: ultima Crotone (58,6), penultima Caltanissetta (56,8), terzultima Napoli (51). Sono però le città del Nord a essere le più carenti per quanto riguarda le imprese femminili: ultima Milano con il 17,2% delle imprese gestite da donne sul totale di quelle registrate, è preceduta da Bolzano (18,2%) e Trento (18,4%). Mentre al 22 ottobre 2021, la minor percentuale di amministratrici comunali è registrata per le città di Catanzaro (25,2%), Frosinone (25,5%) e Benevento (25,8%). Un problema, quest'ultimo, "non è solo numerico ma anche sostanziale, perché di fatto la presenza delle donne nelle cariche politiche può portare a una diversa agenda decisionale - disse intervistata da Luce! la docente di Scienza delle finanze all’Università Bocconi, economista e autrice del libro Parità di genere e politiche pubbliche. Misurare il progresso in Europa Paola Profeta: "Lo abbiamo visto a livello locale, guardando all’allocazione della spesa pubblica nei comuni: le amministrazioni guidate da donne mostrano una differenza rispetto a quelle dirette da uomini: le prime infatti investono maggiormente nell’istruzione, in misure a favore dell’uguaglianza di genere, negli asili nido e in politiche più a lungo termine, che daranno risultati non nell’immediato, ma negli anni successivi". Le donne al potere, dunque, pensano più alle donne: una tesi che trova dimostrazione nel fatto che in Italia i maggiori passi in avanti sul piano legislativo in termini di parità portano sempre la firma e la volontà di qualche ministra donna. Una conclusione che, però, pesa ancora di più se pensiamo che nel Gender equality Index sopra citato al sottogruppo "potere" l'Italia registra il suo indice più basso per quanto riguarda l'equa rappresentazione, anche se - contemporaneamente - è quello che mostra il maggior miglioramento dal 2010 (+11,6 punti), trainando l'aumento complessivo del punteggio dell'Indice nella classifica europea.