Furono oltre 500mila i Rom e i Sinti
sterminati nei campi di concentramento nazista, vittime delle persecuzioni del fascismo. Nonostante tutto di questo genocidio si parla ancora poco. E mentre sulla strada della lotta all’antisemitismo i passi in avanti fatti negli anni sono notevoli,
l’antiziganismo è più vivo che mai. Ne abbiamo parlato con
Eva Rizzin, ricercatrice universitaria di etnia Sinti.
Rom e Sinti, vittime di ieri e di oggi
Passano gli anni ma il genocidio dei Rom e dei Sinti nei campi di sterminio rimane una pagina poco conosciuta all’interno della Giornata della Memoria, come mai secondo lei? "Si tratta di una storia lunga: il
genocidio dei Rom e dei Sinti nei campi di sterminio è stato ignorato per così tanto tempo che potremmo definirlo quello
più censurato d’Europa. Eppure non si tratta di una cosa di poco conto: durante la seconda guerra mondiale vennero sterminati più di 500 mila persone che caddero vittime delle persecuzioni del Nazionalsocialismo. Ma neppure questo è stato in grado di sradicare gli
stereotipi e i
pregiudizi di cui sono vittime, in tutto il continente europeo, compreso il nostro Paese. Anzi pare proprio che l’opinione pubblica ne resti in parte indifferente e in parte anche morbosamente attratta. Stiamo parlando, per intenderci, di un genocidio che non è nemmeno menzionato nella legge 211 del 20 luglio del 2000 che istituisce il
Giorno della Memoria, ed infatti, a tutt’oggi. Sono pochissimi i sopravvissuti ai campi di sterminio cui è stato riconosciuto un minimo di indennizzo".
I pregiudizi: nomadi, quindi asociali e pericolosi
I Rom e i Sinti erano ‘ariani’, perché furono perseguitati prima e sterminati poi? "Alla stregua degli Ebrei, vennero considerati una
razza inferiore e si cercò di dimostrare in maniera scientifica la tara genetica, ricercando quello che veniva definito come il
‘gene dell‘istinto al nomadismo’ (wandertrieb) che li rendeva asociali e dunque pericolosi, per cui divorano essere eliminati. Erano cioè
considerati portatori di caratteri ereditari incompatibili con la vita civile. Ci furono studiosi, accademici, come lo psichiatra e neurologo Robert Ritter di Tubinga e la sua assistente Eva Justin che dedicarono la loro attività di studio a costruire ‘scientificamente’ questa menzogna sulla base della quale fu pensato, programmato e pianificato lo sterminio dei Rom e dei Sinti. Posso dire che io stessa, essendo Sinti, avrei fatto la stessa fine in quegli anni. Lo dico con cognizione di causa perché la mia famiglia fu vittima della persecuzione nazista in Germania, con centinaia di Lehmann Reinhardt deportati ad
Auschwitz, oltre ad essere stata vittima della persecuzione fascista in Italia. Per cui essere qui oggi a raccontare queste cose per me è doppiamente significativo".
Discriminazione attuale
La discriminazione continua ancora ai giorni nostri, come mai? "Me lo sono chiesto tante volte anch’io. Sicuramente conta il fatto che, a differenza di quanto accaduto con gli Ebrei,
non c’è stata una elaborazione ‘pubblica’ dello sterminio. Purtroppo il dopo Auschwitz per le nostre comunità è stato caratterizzato da un lungo tragico silenzio. La memoria del genocidio degli zingari non si è sedimentata. Nemmeno a Norimberga ‘gli zingari’ furono ascoltati: si offrirono di testimoniare ma non furono considerati testimoni credibili. Il resto lo ha fatto e lo fa la costante negazione spesso dei diritti più elementari, la ghettizzazione fisica e culturale, la deprivazione della parola, la mancata elaborazione antiziganismo, che è una forma tutta particolare di razzismo. Questo ha fatto sì che persistere in maniera talvolta strisciante, il più delle volte palese, una forma di
razzismo persistente e sistemico, che è stato ed è costantemente riprodotto non solo nei media e nell’opinione pubblica, ma anche nei discorsi e nelle politiche delle amministrazioni".
Le è capitato di subire episodi di discriminazione? In che contesto? "Certo io stessa ne ho subite più volte. E l’episodio che ricordo con maggiore disagio è accaduto purtroppo proprio in ambiente accademico. Nel 2017 ero in un ateneo molto famoso per un convegno, insieme con una giovane studentessa
Rom che aveva appena pubblicato un libro sulla sua storia di riscatto. Ebbene, una volta arrivato in sala, un signore ci chiede scusa perché i
manifesti che erano stati appesi nell’ateneo ed anche in città erano stati
strappati. Per altro il giorno dopo il convegno gli organizzatori mi chiamano per dire che
un esponente politico della Regione aveva pubblicato un post su Facebook in cui denunciava il convegno sulla sua bacheca, minacciando di chiedere conto di quanto accaduto agli organizzatori perché lo riteneva uno scandalo, una vergogna. Non farò il nome della persona, anche perché oggi ha un ruolo politico di primo piano a livello nazionale, ma la cosa ulteriormente agghiacciante furono i commenti al post in cui, senza che il suddetto signore intervenisse, si invocavano i forni crematori, di ridurci in saponette, si diceva che avremmo dovuto essere cacciate ‘a calci nel sedere’ dall'Italia. La situazione fu risolta solo con l’intervento del vescovo che chiese ed ottenne la rimozione del post in oggetto".
Associati al degrado e alla delinquenza
La stampa in questo ha un ruolo fondamentale, quali rimedi? "Vari organismi internazionali da tempo puntano il dito contro il ruolo che in Italia la
stampa ha nell’aumento della propaganda razzista e dell’istigazione all’odio mediatico e politico. Riguardo all’hate speech, ai discorsi d’odio, per fortuna negli ultimi anni abbiamo il riscontro di diverse sentenze, a seguito di procedimenti legali contro autori di frasi offensive e discriminatorie. Nonostante questo, nella rappresentazione mediatica prevalente,
i Rom e i Sinti sono associati sempre al degrado, all’incuria, alla malvivenza, alla pericolosità sociale, alla genetica attitudine alla delinquenza. Per altro non hanno sufficiente rappresentazione pubblica, la loro voce non viene quasi mai ascoltata, si preferiscono approssimazioni e stereotipi, e difficilmente la loro parola viene presa in considerazione come fonte. Questo ovviamente genera
un’immagine distorta e ‘mostruosa’ che fa breccia nei peggiori istinti dell’opinione pubblica. Ed anche della politica".
Voglia di riscatto sociale
Negli ultimi anni si nota tuttavia un aumento del protagonismo soprattutto delle giovani generazioni" Rom e Sinte per chiedere diritti e riconoscimento sociale. E’ la strada giusta? "E’ vero: le giovani generazioni negli ultimi anni si stanno impegnando molto e non è un caso che a ciò corrisponde l’aumento degli sforzi istituzionali anche per il recupero della memoria per la memoria. E’ altrettanto vero che persiste un pericolo di distruzione identitaria, perché per molti giovani è difficile uscire da quel camuffamento in cui sono stati costretti a vivere per sfuggire all’antiziganismo. Sono tantissimi i ragazzi e le ragazze Rom e Sinte che ancora oggi sono costrette a nascondere la propria identità. Alcuni hanno addirittura cambiato il proprio cognome con grande sofferenza interiore. Quindi i rimedi sicuramente sono quelli di riflettere maggiormente su questo tema, riconoscerlo, e riconoscere che il genocidio nazista è solo uno parte di una storia millenaria di discriminazione e vere e proprie persecuzioni che durano ancora oggi. Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica, anche per creare condizioni di partecipazione, finché il contrasto all’antiziganismo non sarà diffuso, è difficile se non impossibile. I giovani lottano per questo, per produrre linguaggi e immagini che capovolgano questa situazione, proponendo chiavi di lettura differenti. C’è un forte attivismo in questo. Ovviamente, una delle questioni che bisognerebbe affrontare è un pieno
riconoscimento giuridico dei Rom e dei Sinti come minoranza storico linguistico-culturale, cosa che ancora manca".