Mentre in Italia torna la Bibbia a scuola, in Danimarca si insegna ai ragazzi a gestire i soldi

A Copenaghen e dintorni, l’educazione finanziaria è obbligatoria per i ragazzi tra i 13 e i 15 anni. In Italia si punta su latino, poesie e Bibbia. Due visioni opposte di scuola, con conseguenze reali sulle disuguaglianze sociali

di MARGHERITA AMBROGETTI DAMIANI
9 febbraio 2025
Da dieci anni in Danimarca gli adolescenti studiano educazione finanziaria a scuola

Da dieci anni in Danimarca gli adolescenti studiano educazione finanziaria a scuola

Avete presente la faccenda del progresso, dell’urgenza di rendere le giovani e i giovani sempre più consapevoli delle proprie capacità, del fatto che parlare di soldi significhi parlare di emancipazione e che farlo a scuola sia il miglior modo per avviare percorsi attraverso cui gli adulti di domani possano essere pienamente consapevoli dei propri mezzi? Bene. Prendetela e mettetela da parte, a meno che non abbiate intenzione di trasferirvi in Danimarca. Mentre in Italia il governo ha deciso di puntare molto sullo studio della Bibbia nella scuola primaria, per riscoprire - pare - le radici culturali europee e migliorare il gusto per la lettura, a Copenaghen e dintorni, dal 2015 – sì, avete letto bene, da dieci anni – l’educazione finanziaria è obbligatoria per gli studenti dai 13 ai 15 anni.

L’importanza dell’educazione finanziaria

Le studentesse e gli studenti seguono percorsi organizzati con il supporto di professionisti del settore che ogni anno prendono parte alla Danish Money Week. L’obiettivo è chiaro (o almeno dovrebbe esserlo anche per noi): insegnare alle nuove generazioni i concetti di budget e risparmio, fornendo loro nozioni importanti su prodotti finanziari come i prestiti. Uno strumento prezioso per metterli nella condizione di comprendere i propri diritti, ma anche i propri limiti, in quanto consumatori.

Se siete tra coloro che pensano che parlare di soldi ai ragazzi sia inutile o addirittura dannoso, preparatevi a essere smentiti dai fatti: in Danimarca, il tasso di alfabetizzazione finanziaria ha raggiunto il 71%, contro una media mondiale che si aggira intorno al 33%. Una skill che contribuisce a formare una cittadinanza responsabile, capace non solo di autogestirsi, ma anche di capire cosa accade nei mercati e nei palazzi della politica.

La situazione in Italia

Neanche a dirlo, l’Italia su questo fronte è al di sotto della media: i dati della Banca d’Italia ci dicono che meno del 30% degli adulti possiede conoscenze finanziarie di base. E qui arriva il punto dolente. Questo divario non è solo numerico, è sociale. E ha conseguenze enormi.

Non essere formati in ambito economico significa spalancare le porte a tsunami come il gender gap: il divario salariale tra uomini e donne si nutre proprio di società con scarse competenze finanziarie. E non solo: a pagarne le spese sono anche gli anziani, che, senza strumenti adeguati, si ritrovano a fare i conti con condizioni economiche precarie.

Inutile girarci intorno, l’Italia avrebbe bisogno di un upgrade del sistema scolastico attraverso il quale portare tra i banchi di scuola un po’ di Paese reale, con l’obiettivo di costruire una società più equa e giusta. Che non si stia andando in questa direzione per scelta politica o per mancanza di lungimiranza, il risultato non cambia: o si fanno le cittadine e i cittadini di domani, o si muore. Prendere a modello chi ha già imboccato la strada giusta pare l’unica soluzione possibile. Magari aggiungendo, accanto alla Bibbia, la lettura laica di tutti i testi sacri. Non fosse altro che per allargare un po’ la visione di un mondo che, con gli occhi del conservatorismo, continua a sembrare molto più grande di quello che è.