Intorno ai sei anni le bambine cominciano a sperimentare un cambiamento che poi avrà conseguenze nel corso di tutta la loro vita. Iniziano dubitare delle proprie capacità e soprattutto a ridurre la portata dei sogni sul proprio futuro: non pensano più di poter fare, da grandi, tutto quello che vorranno, ma ridimensionano le aspettative su quello che potrebbero diventare. La stessa cosa, invece, non succede ai coetanei maschi, che continuano a guardare al domani come a uno scenario con tutte le strade aperte. Questo fenomeno si chiama dream gap, letteralmente “differenza nei sogni” ed è forse la prima traccia del gender gap.
“Se puoi sognarlo, puoi farlo”
“Se puoi sognarlo puoi farlo” diceva Walt Disney. Ma che succede se non riesci nemmeno a sognare? Fantasticare in piccolo, già a sei anni, è una condanna per la vita, perché le bambine di oggi che non si immaginano scienziate, astronaute, presidenti, filosofe, sono le donne di domani che non ci proveranno nemmeno, pensando di non essere abbastanza.
Ma perché accade? E come si può invertire la tendenza? Ne abbiamo parlato con Ersilia Vaudo, astrofisica, Chief Diversity Officer e Special Advisor on Strategic Evolution all’Agenzia Spaziale Europea, ente che ha dato una forte accelerata proprio sul tema della gender equality: basti pensare che l’ultima classe di astronauti (bando del 2021) è composta da otto donne e nove uomini.
“Bisogna lavorare sulla voglia di “dream”, sulla proiezione di se stessi nel futuro, se questa proiezione è debole non si va molto lontano - spiega Vaudo - . Bisogna pretendere di avere un futuro in cui si può scegliere di tutto, avendo avuto tutte le opportunità per immaginarsi ogni strada aperta. E questo passa dal non lasciare nessuno fuori dal linguaggio della matematica, che è un abilitatore di pari opportunità”.
Ma qui, con la matematica, siamo arrivati alla fine. Ripartiamo dall’inizio: cos’è il dream gap? E perché si forma?
Lo studio del 2017
“Fino ai 5, 6 anni questa differenza si nota meno - spiega Vaudo -. Il gap inizia a formarsi con l’entrata alle elementari. C’è uno studio molto famoso che ha dimostrato che se ci sono giochi che richiedono “molta intelligenza” le bambine non partecipano, si sottovalutano. Ci sono ricerche Ocse che mostrano che le ragazze si considerano meno capaci dei ragazzi”. Lo studio di cui parla Ersilia Vaudo è stato pubblicato nel 2017 su Science col titolo “Gender stereotypes about intellectual ability emerge early and influence children’s interests”. Con diversi esperimenti condotti con gruppi di bambini e bambine, lo studio ha dimostrato che già a partire dai 6 anni diminuiscono le probabilità che le bambine associno il concetto di “brilliance” al proprio genere. E perdono interesse per le attività presentate come rivolte a persone “really, really smart”.
Le spiegazioni
“Ci sono tante spiegazioni per il dream gap - prosegue Ersilia Vaudo - Sicuramente c’è un problema di role models: è difficile, per le bambine, proiettarsi in posizioni in cui non si vedono donne. Come quel bambino tedesco che vedendo Scholz diventare cancelliere dopo Angela Merkel disse “ah ma allora anche gli uomini possono essere cancellieri”".
L’alternanza di genere favorisce la proiezione in avanti
Ma i modelli non devono essere per forza astronauti, presidenti, premi nobel. “E non necessariamente i role model hanno un genere definito - spiega Vaudo - . I papà possono usare un linguaggio più inclusivo, le mamme, se richieste di un aiuto nei compiti di matematica, dovrebbero evitare di dire “io non ci capisco niente, chiedi a papà”. Io considero più forti role models come cugini, amici, ragazze e ragazzi che abbiamo dieci anni di più, non cinquanta, che possono preparare la strada per quel sogno. Per questo è importante il contatto tra ragazzi del liceo e studenti delle elementari. Perché è alle elementari che si forma, si costruisce la propria identità”.
Mano a mano che si cresce, infatti, aumenta la falsa credenza che i maschi siano più intelligenti e quindi più adatti a certi ruoli. Per anni è stato svolto un esperimento sociale, il “Draw a scientist test”, iniziato nel 1966, che si basava su una semplice domanda, fatta a studentesse e studenti di ogni età, genere, nazionalità: come disegneresti “a scientist”? I primi risultati erano, agli occhi di oggi, shockanti: il 99,4% dei disegni rappresentava un uomo. Con il passare del tempo la proporzione di donne è aumentata ma solo grazie alle ragazze. In più, si è visto che mano a mano che cresceva l’età degli studenti interpellati, diminuiva il numero delle scienziate disegnate.
L’importanza della scuola e della famiglia
Ma non è solo un problema di role models che mancano. Non è solo la presenza di libri di testo pieni zeppi di “bias”, dove il chirurgo è uomo e la gelataia è donna, dove il papà “lavora” e la mamma “cucina”. La cosa che manca davvero, ancora, ciò che impedisce di colmare il gap dei sogni, è la mancata inclusione delle bambine nella matematica. Ma non perché si debba tutti e tutte sognare di diventare scienziate o scienziati.
Lo spiega bene Vaudo: “L’alfabetizzazione matematica è oggi quello che cento anni fa era l'alfabetizzazione letteraria. È un discorso di uguaglianza delle opportunità. In più se si conoscono i numeri, si è meno manipolabili. È tenuta democratica. Le bambine non devono pensare di non essere portate per la matematica. Se lo pensano, dovere del sistema scolastico è fare in modo di includerle”.
Non solo. “Occorre, a scuola come a casa, valorizzare l’errore: deve essere vissuto come qualcosa da cui si impara, non bisogna avere un atteggiamento punitivo, al contrario bisogna insegnare alle bambine e ai bambini a chiedersi “cosa abbiamo imparato dall’errore?””. Su questo potrebbe dover essere necessario un approccio diverso tra bambine e bambine: “I bambini, rispetto agli errori, sono più spregiudicati, le bambine hanno più timore di sbagliare e potrebbero vivere con ansia le materie scientifiche o la matematica. Bisogna poi usare i progressi della neuroscienza per capire come impara un bambino. E lungo tutto il percorso scolastico fare in modo di rispondere a questa ansia”.
Bisogna insegnare ad accettare l’errore, che è fondamentale per crescere e imparare
Il tema dell’ansia che prende le studentesse di fronte a materie scientifiche è stato trattato anche in un altro report Ocse del 2023, dal titolo “Gender, Education and Skills. The Persistence of Gender Caps in Education and Skills” secondo il quale le ragazze, soprattutto quelle con le performance migliori a scuola, tendono ad andare peggio in matematica perché sono meno sicure di loro rispetto ai ragazzi, una mancanza di sicurezza che spesso è esacerbata da stereotipi di genere vissuti a casa, a scuola o nelle comunità. Lo stesso studio mostra poi che, nel passaggio dalla scuola superiore all’università, le studentesse, anche quelle brillanti, non prendono in considerazione le facoltà Stem perché non si ritengono all’altezza.
C’è ancora molto da fare
Ma non si può pensare di colmare il dream gap senza l’impegno attivo delle famiglie. “Studi Ocse mostrano come nelle famiglie sia tre volte più probabile che siano i figli a scegliere facoltà Stem, mentre le figlie tutt'al più medicina. Deve esserci un’alleanza positiva tra genitori e insegnanti, i genitori devono essere attenti ai risultati delle figlie in scienze e in matematica”. Ma la scuola italiana, su questi temi, com’è messa? “Male. Secondo l’ultimo studio Pisa (Programme for International Student Assessment, che misura le competenze degli studenti 15enni dei PAesi aderenti, ndr) dell’Ocse, l’Italia è agli ultimi posti nel gap di competenze tra maschi e femmine, le ragazze sono fuori dalla matematica, sono fuori dai mondi dove si immagina il futuro, sono fuori dagli ambiti in cui le competenze Stem sono necessarie, e questo le mette al di fuori delle carriere dove si guadagna di più. È anche un discorso di mancata emancipazione”.
Le conseguenze: l’assenza delle donne negli ambiti Stem
I risultati sono, purtroppo ancora, sotto gli occhi di tutti. Secondo alcune ricerche condotte per Steamiamoci (progetto nato nel 2016 all’interno di Assolombarda) in Italia le donne sul totale degli iscritti a corsi Stem sono il 37%; sul totale delle studentesse, il 18% è iscritto a corsi Stem; nei corsi di laurea in Ingegneria Industriale e dell’Informazione le donne sono il 23%; il gap retributivo per le laureate magistrali dei corsi Stem è il 6%; il 28% dei ruoli manageriali in Italia è occupato da donne. Il voto medio di laurea delle laureate magistrali in ingegneria in Italia è 107,2%.
Colmare il gap, due esempi pratici
Invertire la rotta si può. Ersilia Vaudo ha fondato, con altre donne, l’associazione Il cielo itinerante che porta la scienza lì dove di solito non arriva con laboratori scientifici e summer camp. Tra i progetti c’è “Operazione cielo”, summer camp di matematica con un metodo nuovo e coinvolgente che la scorsa estate ha coinvolto i bambini di Napoli, Tor Bella Monaca a Roma e Giambellino a Milano. “Noi misuriamo con Ipsos l’impatto delle nostre attività, per i summer camp dell’anno scorso abbiamo notato un 95% di aumento delle competenze. I bambini arrivano dicendo “Non mi piace la matematica” e finiscono affermando “sarebbe bello essere bravi in matematica””. Di più: i risultati dei test al termine mostrano un miglioramento equivalente a quasi due anni di scuola.
Alzando lo sguardo allo spazio, come detto l’Esa ha preso molto sul serio il tema della gender equality (e non solo). “Abbiamo poi un programma di educazione nei 23 paesi dell’Esa, che fa in modo di sviluppare il discorso dello spazio con grande attenzione alle bambine. Inoltre presentiamo le carriere spaziali con un linguaggio più inclusivo, non più come narrativa di conquista bensì come possibilità di avere un grosso impatto per un mondo migliore”.
Il bando del 2021, il quarto nella storia dell’Agenzia, è stato presentato con l’obiettivo dichiarato di attirare più candidate possibili. Samantha Cristoforetti all’epoca aveva esortato le ragazze a provarci, a non temere di non essere abbastanza preparate. Vaudo, com’è andata? “Ci sono arrivate 22mila candidature, una su quattro erano donne. Nei precedenti tre bandi non si era mai arrivati a più del 16% di candidate donne, una su sei”.