
La Corte costituzionale ha riconosciuto la limitazione alla sessualità nelle carceri come una lesione dei diritti fondamentali (Illustrazione di Arnaldo Liguori)
Nelle carceri italiane, la sessualità è sicuramente uno degli aspetti più repressi nella quotidianità dei detenuti e delle detenute. La privazione delle libertà alle quali sono sottoposti i carcerati, infatti, vede nella negazione dell’intimità una parte implicita della pena detentiva, attuata spesso con metodologie punitive che contrastano col principio cardine della detenzione: la rieducazione del reo.
Per questo motivo, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ha recentemente emesso una serie di linee guida fondamentali per l’attuazione della pronuncia della Consulta emanata oltre un anno fa. La Corte costituzionale, sulla base di un interrogativo sollevato da un giudice, ha riconosciuto la limitazione alla sessualità nelle carceri come una vera e propria della lesione dei diritti che, per un dato periodo di tempo, vedono limitate le proprie libertà.
Anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, annovera la dignità della persona detenuta tra i diritti supremi del cittadino. Principi che, per decenni, sono stati completamente ignorati dal legislatore e dagli organi responsabili dell’attuazione dei dettami costituzionali, e che oggi sono in procinto di essere sovvertiti.
Le nuove linee guida per le carceri
La novità principale riguarda l’introduzione dei colloqui intimi, incontri riservati tra il detenuto e il proprio partner senza la presenza visiva del personale di sorveglianza che consentiranno affetto e contatto fisico. Potranno accedervi il coniuge o la coniuge, così come la persona che convive civilmente con chi è detenuto dietro le sbarre.
La priorità andrà a coloro che non beneficiano di ulteriori sconti di pena o che, da più tempo, vedono il proprio diritto all’intimità limitato da un sistema inefficiente che, per anni e anni, non ha riconosciuto questa possibilità. In 32 istituti penitenziari sparsi sul territorio nazionale, a partire dai prossimi mesi, i “colloqui” garantiranno momenti di intimità con i rispettivi e le rispettive partner, aprendo uno spiraglio di dignità in contesti carcerari nei quali, molto spesso, il fine rieducativo lascia spazio a meccanismi punitivi che non riducono il rischio di recidività.

Come funzionava prima
Fino ad oggi, la sessualità nelle carceri italiane è rimasta un tabù istituzionalizzato. Nessuno spazio per l’intimità, nessun riconoscimento formale del diritto al contatto fisico prolungato con il partner. I detenuti potevano abbracciare e baciare i propri cari solo per pochi istanti, sotto stretta sorveglianza e in ambienti affollati e privi di privacy.
Anche le relazioni affettive non ufficialmente registrate – come quelle tra conviventi o partner dello stesso sesso – venivano spesso ignorate o ostacolate, escludendo centinaia di detenuti da qualsiasi tipo di contatto fisico. In un contesto in cui solitudine e privazione del corpo sono da sempre parte integrante della pena, il desiderio è stato fino ad ora silenziato e ignorato e la sessualità repressa in tutte le sue forme.
I “colloqui intimi” nel resto d'Europa
Ma non tutti i sistemi carcerari d’Europa condividono le stesse problematiche che affliggono endemicamente gli istituti italiani. Nel 2013, infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannando l’Italia a causa del sovraffollamento delle carceri. Un fattore che, negli anni, è diventato l’emblema di un sistema penitenziario da rivoluzionare.
In Europa, al contrario, misure per garantire incontri affettivi riservati sono applicate in Germania, Paesi Bassi, Spagna e Francia. Anche nei paesi scandinavi, dove i sistemi carcerari sono un modello per tutto il mondo, l’umanizzazione della pena è garantita grazie alla possibilità di incontrare il proprio partner per poter usufruire di momenti di intimità. L’Italia, prima della sentenza della Corte costituzionale e delle recenti linee guida del Dap, risultava nel novero di paesi attenzionati per le scarse condizioni detentive, assieme a Polonia, Romania, Bulgaria e Serbia.