Suo papà lo stava cercando, ma il telefono squillava vuoto. Un giovane uomo di 33 anni di Palermo si è tolto la vita perché la difficoltà di riuscire a vivere la sua omosessualità liberamente in un Paese, come l’Italia, in cui l’omofobia è purtroppo ancora molto presente. Un Paese che nella maggior parte dei casi non include le persone omosessuali, ma anzi le ghettizza e marginalizza.
A trovarlo è stato il padre, così come il biglietto di addio: “Scusate se non amo le donne”. Un grido doloroso di chi ha deciso di porre fine in modo estremo al pregiudizio, così feroce, della gente. È un grido che deve farci riflettere su quanto ancora ci sia da fare per non pensare che le persone omosessuali siano una minoranza da discriminare. Servono e sono quanto mai urgenti politiche di inclusione che sembrano quanto mai un miraggio al giorno d’oggi.
"Non sono riuscito né ad amare una donna né ad amare un uomo – le sue ultime parole – sono stato bravo a nascondere a tutti la mia omosessualità, soprattutto a lavoro. Chiedo scusa alla mia famiglia, al mio compagno e a tutti i miei colleghi”. La vittima è stata descritta da tutti, colleghi e non, come una persona solare e intraprendente. C’era un lato della sua vita, fondamentale, che nascondeva per paura di essere giudicato e discriminato. Un peso troppo grande.
Sulla vicenda è intervenuta anche l’Arcigay di Palermo, a cui il giovane infermiere non si era mai rivolto: "Ci addolora – dicono – leggere una notizia simile nel 2024. Purtroppo quando diciamo che i discorsi d’odio provocano gravi effetti sulle persone della nostra comunità non esageriamo: l’omolesbobitransafobia non si manifesta solo con i casi eclatanti di pestaggi, aggressioni, offese, ma agisce soprattutto creando un clima asfissiante che rende l’aria irrespirabile per chi non ha a propria disposizione una forte rete di salvataggio fatta da famiglia, amici, associazioni, collettivi, spazi sicuri”.