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Home » Attualità » Se la siccità è un problema in Italia, che cosa sta succedendo in Africa?

Se la siccità è un problema in Italia, che cosa sta succedendo in Africa?

Nel continente 89 milioni di persone vivono "in condizioni di grave insicurezza alimentare". Save the Children: "In Somalia la peggiore crisi umanitaria mai vista prima"

Domenico Guarino
26 Giugno 2022
Una immagine diffusa dall'Oxfam che rileva come in Africa una persona su 5 soffre di denutrizione e 93 milioni di persone in 36 Paesi stanno rimanendo letteralmente senza cibo (Foto Ansa)

Una immagine diffusa dall'Oxfam che rileva come in Africa una persona su 5 soffre di denutrizione e 93 milioni di persone in 36 Paesi stanno rimanendo letteralmente senza cibo (Foto Ansa)

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Veder morire un bambino è uno strazio immane. Vederli morire a centinaia perché non hanno da mangiare è un incubo. L’incubo che tutti gli operatori umanitari stanno vivendo in Somalia e in tutto il Corno d’Africa, dove, dopo 3 anni senza piogge, si sta vivendo la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. E come se non bastasse, allo shock climatico si è poi aggiunto l’aumento dei prezzi dei cereali causato dall’invasione russa dell’Ucraina.

Le prime vittime di questa situazione sono naturalmente i più deboli, a cominciare dai bambini appunto. In una recente visita nel Paese, Claire Sanford, vicedirettrice umanitaria di Save the Children, ha affermato di aver incontrato madri che avevano già seppellito i loro figli nell’ultimo anno e i cui bambini sopravvissuti soffrivano ora di una grave malnutrizione. “Posso dire che nei miei 23 anni di risposta alla crisi umanitaria, questo è di gran lunga il peggiore che abbia mai visto, in particolare in termini di livello di impatto sui bambini”, ha detto.

Secondo Michael Dunford, direttore regionale del Programma alimentare mondiale (PAM) per l’Africa orientale, solo un “massiccio” e immediato aumento di fondi e aiuti umanitari può salvare la Somalia dalla carestia. “Abbiamo bisogno di soldi e ne abbiamo bisogno ora”, ha detto Dunford. “Senza non riusciremo a scongiurare la carestia. L’unico modo, a questo punto, è se c’è un massiccio investimento negli aiuti umanitari e tutte le parti interessate, tutti i partner, si uniscono per cercare di evitarlo”.

Una storia non nuova, quella cui stiamo assistendo. Undici anni fa la Somalia ha vissuto una carestia che ha causato la morte di più di 250.000 persone, per lo più bambini. Ma, secondo gli osservatori, la crisi alimentare di questi mesi potrebbe rivelarsi addirittura peggiore.

In Africa 89 milioni di persone, per lo più bambini, vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare (Foto Ansa)

Africa, 89 milioni di persone “in condizioni di grave insicurezza alimentare”

In tutta l’Africa orientale, ben 89 milioni di persone sono ora considerate “in condizioni di grave insicurezza alimentare”, numero che è cresciuto di quasi il 90% nell’ultimo anno. E se entro settembre non si troverà una soluzione, lo spettro della fame si abbatterà su 213.000 persone nelle aree più colpite della Somalia.

“Ce lo aspettavamo” dice Mohamud Mohamed, direttore di Save the Children in Somalia. “Una siccità durata 3 anni in Somalia e nel Corno d’Africa, che ha decimato i raccolti e il bestiame e ha messo a dura prova la capacità di sopportazione della gente, con le madri che hanno dovuto spesso mettere a dormire i propri figli affamati. Il tasso di malnutrizione tra i bambini è in costante aumento e le Nazioni Unite hanno avvertito che 350.000 bambini potrebbero morire entro l’estate se non interveniamo, ma la finestra di opportunità per agire e scongiurare una catastrofe si riduce ogni giorno che passa”.

Purtroppo appelli del genere si sono succeduti negli anni senza risposta. I membri del G7 lo scorso anno avevano garantito aiuti per 7 miliardi di dollari per prevenire la carestia, ma quei fondi non sono mai stati spediti.

“Abbiamo davvero fallito come comunità internazionale nel permettere che la situazione arrivasse nella misura in cui è in questo momento. Nel 2011, come comunità, abbiamo promesso che non avremmo mai, mai più permesso che accadesse di nuovo. Abbiamo fallito”, ha dichiarato sconfortata Sanford.

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#lucenews #lucelanazione #bebevio #inclusivity #libera #protesi #tornosubito
  • Maura Nardi, 41 anni a novembre, ed Emanuele Loati, 25, oltre ad essere innamorati, sono due giovani transgender che, dopo una vera e propria odissea, hanno completato insieme la transizione per il cambio di sesso. E ora, nuovi documenti alla mano, coroneranno finalmente il loro sogno d’amore con le nozze.

“Con l’identità di genere non si può scendere a patti: puoi lottarci per un po’, ma alla fine devi accettare quello che sei perché in ballo c’è la tua vita”.

Emanuele e Maura si sono conosciuti 3 anni fa, proprio durante il difficile e lungo percorso che li avrebbe portati alla loro nuova identità. Da quel primo incontro, proprio come in una favola con la freccia di Cupido scoccata che non lascia scampo, i due non si sono più lasciati.

Uniti, supportandosi a vicenda senza mai smettere di amarsi, hanno affrontato tutte le difficoltà che si sono presentate e non sono state poche: prima la sofferenza emotiva (ma anche fisica) per la transizione, aggravata poi dalla burocrazia dello Stato. E dopo tante peripezie la luce è apparsa in fondo al tunnel: l’ufficio anagrafe del comune di Recanati, in provincia di Macerata, ha provveduto a rettificare i loro documenti di identità. Era l’ultimo step da superare prima del via libera al matrimonio. Ora non resta che organizzare.

Se quella di Nardi e Loati è una vicenda già particolarmente travagliata, anche se a lieto fine, per Maura le cose sono state, se possibile, ancora più difficili. Ha iniziato la transizione nel 2016 e quando ha completato il percorso, è stata la prima persona non vedente italiana a riuscirci. Da quando ha 19 anni soffre di una forma di cecità a causa dello sviluppo di una rara malattia alla retina, nel suo caso “è stato più semplice convivere con la cecità che con l’incongruenza di genere”.

E aggiunge: “Nonostante il supporto non è stata una passeggiata: ho avuto diversi momenti di sconforto e paura, altri in cui mi sono sentita in colpa per aver trascinato la mia famiglia in questo cammino così complesso. Oggi so che rifarei tutto. La ciliegina sulla torta è stata l’arrivo del mio compagno. Ora finalmente siamo pronti a sposarci e possiamo pensare a una cosa bella”.

#lucenews #recanati #nozze
  • Quello che molti temevano è purtroppo accaduto: per scoprire le interruzioni di gravidanza negli Usa le autorità stanno facendo ricorso anche ai dati personali contenuti nelle app di messaggistica e sui social. 

A destare scalpore è un caso in Nebraska, dove Celeste Burgess, 18 anni, e sua madre Jessica, 41, sono finite in tribunale per un presunto aborto illegale, con molteplici capi d’imputazione. La polizia ha presentato come prove i messaggi su Facebook che le due donne si sarebbero scambiate e a cui, con l’autorizzazione dei gestori della piattaforma – in questo caso Meta –, ha avuto accesso. Le chat private, secondo le autorità, mostrano le prove di un aborto farmacologico illegale, autogestito alla 28esima settimana di gestazione (settimo mese), e di un piano per nascondere "i resti”.

Dopo che la polizia ha ottenuto il materiale dai due mandati di perquisizione, Jessica è stata accusata di altri due reati, induzione all’aborto illegale e pratica dell’aborto come persona diversa da un medico autorizzato, per i quali si è nuovamente dichiarata non colpevole. Attualmente il Nebraska proibisce gli aborti dopo le 20 settimane, una legge in vigore da prima dell’annullamento della sentenza Roe v. Wade.

Il problema di fondo che emerge da questa e da tante altre vicende in materia di diritti ha un duplice aspetto: da una parte c’è l’obbligo di una società di fornire i dati alle forze dell’ordine che ne fanno richiesta per le indagini e dall’altra la possibilità di disporre di questi dati. 

Mai come oggi grandi aziende private possono disporre di informazioni personali relative ai propri utenti, e se queste sono utili per fermare chi commette crimini è un conto, ma se le leggi vengono modificate ciò che può essere giudicato come crimine cambia. Il caso di Celeste Burgess è solo un esempio, ma conferma anche che negare il diritto all’aborto non eradica il fenomeno, ma lo trasporta in una dimensione di illegalità e pericolo per la salute della donna.

#lucenews #lucelanazione #aborto #nebraska #abortion #usa
  • La scelta coraggiosa del calciatore croato Robert Peric-Komsic non poteva non fare il giro del mondo in un baleno. Nel fiore dell’età, e con tutta la vita davanti, a soli 23 anni ha deciso di lasciare il mondo del pallone. La sua non è stata una scelta forzata, è stata intimamente voluta, e se ha detto addio alla sua carriera è stato solo per una scelta d’amore. Dimostrando che la vita della propria madre viene prima di qualunque cosa. Prima della passione per il pallone, prima del successo, prima di ogni carriera.

“Non c’erano altre opzioni, io era l’unica possibilità, l’ultima. Ho avuto ben chiara qual era la mia missione: salvarla.”

L’attaccante del Cibalia Vinkovci non ci ha pensato due volte quando si è trattato di scegliere tra il suo futuro nel mondo calcistico e la salute della sua mamma malata. Per tanto, troppo tempo l’aveva vista lottare contro una malattia al fegato. Ora non c’era più tempo da perdere: si trattava di trovare un donatore compatibile, e al più presto. Lo stomaco della donna si stava oramai riempiendo di acqua, e questo voleva dire che le rimaneva poco tempo, secondo i medici che l’avevano in cura. Questione di qualche giorno appena. Il calciatore della seconda divisione croata era l’unico compatibile. A quel punto Peric-Komsic si è tolto la tuta, ha riposto maglietta e calzoncini da calciatore nella sua valigia e ha preso l’aereo, salendo sul primo volo con destinazione Istanbul. Lì ha trovato sua mamma Ljiljiana che l’aspettava per abbracciarlo, in fin di vita.

“Dopo aver lottato duramente per 13 anni, il vero eroe è lei. Io ho solo fatto quello che chiunque al posto mio avrebbe fatto."

Sono passati quattro mesi e più dall’intervento. Il trapianto è andato benee la signora Ljiljiana è migliorata molto da allora. Giorno dopo giorno ce l’ha messa tutta, e con una straordinaria forza di volontà, animata dall’amore di suo figlio, si sta piano piano riprendendo. E a chi si complimenta per aver fatto qualcosa di straordinario, con l’umiltà dei grandi risponde: “È stata mia madre a darmi la vita. Io l’ho solo estesa a lei”.

#lucenews #lucelanazione #donazionefegato #RobertPericKomsic #donarelavitaperamore
Veder morire un bambino è uno strazio immane. Vederli morire a centinaia perché non hanno da mangiare è un incubo. L’incubo che tutti gli operatori umanitari stanno vivendo in Somalia e in tutto il Corno d’Africa, dove, dopo 3 anni senza piogge, si sta vivendo la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. E come se non bastasse, allo shock climatico si è poi aggiunto l'aumento dei prezzi dei cereali causato dall'invasione russa dell'Ucraina. Le prime vittime di questa situazione sono naturalmente i più deboli, a cominciare dai bambini appunto. In una recente visita nel Paese, Claire Sanford, vicedirettrice umanitaria di Save the Children, ha affermato di aver incontrato madri che avevano già seppellito i loro figli nell'ultimo anno e i cui bambini sopravvissuti soffrivano ora di una grave malnutrizione. "Posso dire che nei miei 23 anni di risposta alla crisi umanitaria, questo è di gran lunga il peggiore che abbia mai visto, in particolare in termini di livello di impatto sui bambini", ha detto. Secondo Michael Dunford, direttore regionale del Programma alimentare mondiale (PAM) per l'Africa orientale, solo un "massiccio" e immediato aumento di fondi e aiuti umanitari può salvare la Somalia dalla carestia. "Abbiamo bisogno di soldi e ne abbiamo bisogno ora", ha detto Dunford. "Senza non riusciremo a scongiurare la carestia. L'unico modo, a questo punto, è se c'è un massiccio investimento negli aiuti umanitari e tutte le parti interessate, tutti i partner, si uniscono per cercare di evitarlo". Una storia non nuova, quella cui stiamo assistendo. Undici anni fa la Somalia ha vissuto una carestia che ha causato la morte di più di 250.000 persone, per lo più bambini. Ma, secondo gli osservatori, la crisi alimentare di questi mesi potrebbe rivelarsi addirittura peggiore.
In Africa 89 milioni di persone, per lo più bambini, vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare (Foto Ansa)

Africa, 89 milioni di persone "in condizioni di grave insicurezza alimentare"

In tutta l'Africa orientale, ben 89 milioni di persone sono ora considerate "in condizioni di grave insicurezza alimentare”, numero che è cresciuto di quasi il 90% nell'ultimo anno. E se entro settembre non si troverà una soluzione, lo spettro della fame si abbatterà su 213.000 persone nelle aree più colpite della Somalia. “Ce lo aspettavamo” dice Mohamud Mohamed, direttore di Save the Children in Somalia. “Una siccità durata 3 anni in Somalia e nel Corno d’Africa, che ha decimato i raccolti e il bestiame e ha messo a dura prova la capacità di sopportazione della gente, con le madri che hanno dovuto spesso mettere a dormire i propri figli affamati. Il tasso di malnutrizione tra i bambini è in costante aumento e le Nazioni Unite hanno avvertito che 350.000 bambini potrebbero morire entro l’estate se non interveniamo, ma la finestra di opportunità per agire e scongiurare una catastrofe si riduce ogni giorno che passa”. Purtroppo appelli del genere si sono succeduti negli anni senza risposta. I membri del G7 lo scorso anno avevano garantito aiuti per 7 miliardi di dollari per prevenire la carestia, ma quei fondi non sono mai stati spediti. "Abbiamo davvero fallito come comunità internazionale nel permettere che la situazione arrivasse nella misura in cui è in questo momento. Nel 2011, come comunità, abbiamo promesso che non avremmo mai, mai più permesso che accadesse di nuovo. Abbiamo fallito", ha dichiarato sconfortata Sanford.
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