Vivono in Italia ma non sono italiani: sono migliaia i cittadini figli di immigrati che in questi giorni attendono con il fiato sospeso gli sviluppi sulla proposta di legge per lo ius scholae, con la speranza, mai sopita, di poter finalmente sentirsi parte del Paese in cui da sempre vivono, studiano e lavorano. È la storia di Hiba Nairi e di moltissime altre ragazze e ragazzi che nonostante abbiano concluso tutto il ciclo di studi in Italia e vi risiedano da decenni, non hanno una cittadinanza.
“Sono arrivata in Italia che avevo 5 anni, nel dicembre 2004 – ha raccontato Hiba -. Oggi ho 25 anni, sono passati 20 anni. Tutte le scuole le ho fatte in Italia. Tutta l’esperienza, anche universitaria l’ho fatta in Italia, triennale e magistrale a Siena. Mio padre sta qui in Italia da oltre 30 anni, mia madre da 20 anni come me, anche loro non hanno la cittadinanza”.
Ostacoli accademici e professionali, la doppia sfida degli italiani senza cittadinanza
I problemi e le complicazioni date dalla sua condizione di figlia di immigrati da vent’anni a questa parte non abbandonano Hiba, nonostante i suoi successi accademici.
“Prima di iniziare l’università volevo fare l’accademia militare, ovviamente non ho potuto farla. Oggi che sono laureata in magistrale mi vedo impossibilitata a fare un concorso di tipo pubblico. Io ho studiato scienze internazionali e diplomatiche ma non posso fare i concorsi, mentre alcuni miei colleghi sono già entrati al Ministero – ha spiegato Hiba -. I problemi iniziano anche prima del lavoro vero: durante la magistrale volevo fare uno stage all’ambasciata dello Yemen a Firenze, ma uno dei requisiti era anche la cittadinanza italiana. Non mi è permesso neanche sviluppare competenze sul campo nel mio ambito: sono sempre un gradino in basso rispetto ai miei colleghi”.
Come molti altri giovani Hiba è parte integrante del tessuto sociale italiano, di fatto lo alimenta e ne trae linfa, ma sempre e soltanto da una posizione di svantaggio e non riconosciuta. “Io tengo molto alla raccolta firme per il referendum sull’autonomia differenziata, per cui una delle regioni più colpite è la mia Sicilia, ma io posso solo divulgare la raccolta firme, non posso partecipare. Io sono nata in Tunisia, ma la mia terra è qui, io sono cresciuta qui. Ad esempio, io potrei anche fare il concorso diplomatico in Tunisia, ma io il diritto internazionale l’ho fatto tutto in italiano, e ho studiato la giurisdizione italiana non tunisina”.
Il risultato è che Hiba è una ragazza molto attiva politicamente, ma non può votare; Hiba ha studiato scienze internazionali e vorrebbe viaggiare, ma ha sempre avuto problemi a farlo; Hiba ha ricevuto prestigiosi premi durante il suo percorso di studi, ma a differenza dei suoi colleghi non può partecipare a molti concorsi pubblici.
La cittadinanza negata: un ostacolo che segna una vita intera
“La cittadinanza non è un regalo ma un diritto che dovrebbe spettare a tutti coloro che sono cresciuti in Italia, indipendentemente dal reddito – incalza la giovane -. L’acquisizione per residenza avviene solo con un certo livello di reddito, e qui il problema è evidente. Non avere la cittadinanza vuol dire crescere e non avere gli stessi diritti sociali e politici dei propri coetanei, io non ho mai votato in vita mia, non so neanche come è fatta una scheda elettorale. Io sono laureata ma non posso fare il percorso diplomatico perché non sono cittadina italiana. Anche viaggiare è complicato perché mi devo procurare dei visti, che costano, mentre per un italiano è molto facile acquisirli”.
Hiba Nairi non ha le stesse possibilità dei suoi coetanei e colleghi e, per quanto s’impegni, lo svantaggio sociale dato dalla mancanza di cittadinanza non solo la penalizza, ma ne ha segnato l’intero percorso di vita. Ecco perché sarebbe importante portare avanti lo ius scholae: cambierebbe radicalmente l’asset sociale dei figli di immigrati in Italia.
“I bambini potranno crescere sapendo di essere uguali ai loro coetanei, ai loro compagni di classe, di cui avranno le stesse opportunità a livello politico e lavorativo – ha spiegato Hiba -. Questo cambierebbe totalmente la visione del futuro dei ragazzi, perché già non essere cittadino italiano vuol dire essere additato come lo straniero della classe, con la cittadinanza invece sarebbe possibile integrarsi: ad esempio andare in gita scolastica senza avere problemi, senza doversi preoccupare dei soldi necessari per visti e senza doversi assentare da scuola per rinnovare il permesso di soggiorno in questura. Io ho perso molti giorni di scuola perché ogni due e cinque anni dovevo rinnovare il mio permesso. È inammissibile assentarsi da scuola per questo, quando tu sei cresciuto in questo paese. Si tratta di un insieme di cose di cui i ragazzi di oggi risentiranno domani, lo vedo sulla mia pelle: quello che non ho avuto durante l’infanzia, quando mi sono sentita sempre straniera, si è ripresentato crescendo”.
L’attuale legge sulla cittadinanza in Italia è ferma al 1992, ritagliata su una realtà molto diversa da quella attuale, in cui le comunità straniere sono ovunque, e i bambini stranieri sono oltre il 10% della popolazione scolastica. In questo contesto una legge per lo ius scholae sarebbe una rivoluzione a 360 gradi.
“Significherebbe che i bambini di oggi non dovranno vivere quello che abbiamo e stiamo vivendo noi, sarebbe fondamentale perché non è facile fare i conti con questa condizione – ha detto Hiba -. I bambini potrebbero crescere in una condizione diversa, essere messi in grado di fare progetti per il futuro, sentirsi parte di una società di cui contribuire al cambiamento votando, lavorando, viaggiando. È molto bello, per questo temo che non venga approvato. Sarebbe come dire: bambini potete sognare in grande. È qualcosa in grado di rivoluzionare una vita”.