Lucca, 19 agosto 2024 – Parlare di un fenomeno-piaga come quello delle violenze perpetrate in India (ma non solo) attraverso la pratica di sfregiare viso e corpo di una persona a mezzo di acido, non è cosa facile. Non deve essere facile nemmeno documentare “de visu“ tale pratica inumana. Lo ha fatto, con un mix che trasuda umanità mista a professionalità, il fotoreporter Marino Da Costa, contitolare del ristorante di corso Garibaldi, “In Pasta cibo e convivio”. Con un reportage pubblicato sulla testata online “InsideOver”, Da Costa documenta con maestria l’incontro avuto a Mumbai, con la responsabile dell’associazione vittime dell’acido (l’Ong Acid Survivors Saahas Foundatione) Daulat Bi Khan. Il reportage sfodera tutta la potenza del mezzo fotografico che evidenzia la furia di un atto che punisce prevalentemente le donne (il 70%).
Basta un matrimonio “non combinato” per arrivare a imporre lo sfregio: che non è solo del volto ma della propria dignità. E per la vita. Che riduce la donna a reietta in una società maschilista.
“Il colloquio avuto con Daulat – spiega Marino Da Costa – mi ha messo di fronte un fiume in piena; i suoi racconti sono stati precisi e significativi a registrare questo fenomeno che, con le dovute differenze, esprime lo stesso seme che tende a giustificare, anche da noi, la violenza subita da una ragazza, magari vestita con una gonna troppo corta: “se l’è cercata” sentiamo dire spesso, e così vale per ciò che fanno in India”. Donne sfregiate dal “teezab”, l’acido appunto, alle quali non è concesso poter vivere una vita normale. “Ho impiegato una settimana per il reportage – spiega Da Costa – e mi sono accorto quanto l’associazione che presiede Daulat sia attiva; iniziative con attori e personaggi dello sport, affiancano il desiderio di mettere in luce la questione, di renderla nota, visibile; stanno cercando anche di aprire un supermercato dove possano lavorare le donne vittime dell’acido”. Da Costa sottolinea anche come il messaggio transiti prevalentemente dalle immagini: “Non è stato facile fotografare persone che hanno subìto tali mutilazioni, ho pensato fino a che punto fosse stato giusto; ho dovuto intervallare pause anche di tre mesi per poter confezionare il reportage, proprio perché mi interrogavo sul limite di quanto stavo proponendo; per questo ‘editing è stato condiviso proprio con le protagoniste di quanto avevo documentato; posso affermare che questa esperienza la vivo come un dono che aiuta a capire”.
Il lavoro di Marino Da Costa per InsideOver, è insomma la cifra esatta di un giornalismo che scava, approfondisce, mette al centro le contraddizioni della società: l’esatto opposto della superficialità.