La
nuova direttiva sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva, approvata dal
Parlamento Europeo il 30 marzo 2023, renderà
obbligatoria per le aziende che cercano nuove risorse
l’indicazione della RAL (retribuzione annua lorda) direttamente negli annunci di lavoro entro i prossimi tre anni. In Italia è sicuramente una pratica poco diffusa, ma anche nel resto dei Paesi europei non è un’usanza abituale.
Reverse, azienda internazionale di HR e Recruiting, ha infatti condotto
un’indagine su un campione di 50 annunci di lavoro per ogni stato in cui lavora, Italia, Spagna, Francia e Germania. Gli annunci selezionati presentano tutti un livello di mid-seniority.
La nuova direttiva del Parlamento europeo sulla sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva è stata approvata a marzo 2023
Questa volta l’estero non è un "passo avanti" rispetto all’Italia
Dalla ricerca è emerso che, almeno in questo caso, il "mito dell’estero" che sarebbe sempre un passo avanti rispetto al Belpaese non trova evidenza. Se, infatti, degli annunci presi a campione per l’Italia, solo il
4% riporta la retribuzione, la stessa percentuale la si ritrova in
Spagna. Leggermente più virtuosa la
Francia, che presenta la RAL esplicitata nel
6% dei casi selezionati, mentre il fanalino di coda è rappresentato dalla
Germania, in cui l’indicazione del salario
non è presente in nessuno degli annunci analizzati. "In Italia siamo abituati a pensare che tutto il resto del mondo sia meglio di noi, almeno dal punto di vista economico e lavorativo - commenta
Daniele Bacchi, Ceo e co-founder di Reverse -. In realtà la nostra percezione è spesso distorta. Abbiamo voluto condurre questa indagine proprio per dimostrare, attraverso i dati, che la trasparenza salariale è purtroppo una questione delicata e importante che interessa tutta Europa e non solo il nostro Paese".
Federica Boarini, Head of International Development di Reverse
"Non mi stupisce che in Germania la percentuale sia lo 0%. - aggiunge Federica Boarini, Head of International Development di Reverse -. Si tratta di un Paese che culturalmente presenta un’elevata difficoltà ad accettare il cambiamento, oltre che a rendere pubblici dati come gli stipendi. Inoltre, ritengo abbia a che fare anche con lo stato del mercato del lavoro e con una
grande difficoltà a trovare profili. Nel senso che, qualora le aziende dovessero pubblicare un annuncio con una RAL non perfettamente allineata al mercato, ridurrebbero ulteriormente le possibilità di trovare persone. In questo Paese non è usanza chiedere la retribuzione attuale ai candidati, bensì la
retribuzione desiderata. E da questa partire come base di contrattazione. In Italia invece è molto più comune domandare la retribuzione attuale e poi contrattare al rialzo rispetto a quest’ultima".
La nuova direttiva europea: cosa prevede
Il Parlamento europeo contro il divario salariale di genere tra lavoratori e lavoratrici
La nuova direttiva sulla parità salariale approvata dal Parlamento Europeo lo scorso 30 marzo si basa sul fatto che le
donne, a parità di ruolo, nell’Ue guadagnano in media il
13% in meno degli uomini che, in termini pensionistici, si traduce in un gap di quasi il 30%. Questo divario è causato anche dal
segreto retributivo, ossia dalla mancata dichiarazione dello stipendio all’interno degli annunci di lavoro, che è sicuramente il punto di cui più si sta discutendo. Ma non è l’unico. La stessa normativa prevede anche il
divieto per le aziende di chiedere ai candidati, in nessuna fase della selezione,
la Ral precedente, evitando così che possa essere presa come
benchmark di riferimento. Inoltre, chi si occupa di selezione e recruiting, dovrà fare in modo che sia le offerte sia i titoli professionali siano neutri sotto il profilo del genere e che le procedure di assunzione siano condotte in modo
non discriminatorio. Sempre in ottica di trasparenza, le aziende saranno obbligate a mettere a disposizione dei lavoratori una descrizione dei criteri utilizzati per definire la retribuzione e l’avanzamento di carriera, oltre a fornire loro le informazioni sia sul proprio livello retributivo individuale, sia su quelli medi dei colleghi con mansioni e ruoli di pari valore, con l’obiettivo di far valere, se necessario, il
diritto alla parità retributiva.
Nella direttiva europea si precisa che le procedure di assunzione devono essere condotte in modo non discriminatorio
Infine, le imprese con almeno 250 lavoratori dovranno rendere pubblici i
dettagli sul divario retributivo tra uomini e donne, mentre alle organizzazioni e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa è richiesta una dichiarazione obbligatoria circa le proprie retribuzioni e, qualora emergesse un divario superiore al
5%, sarà necessaria una rivalutazione salariale insieme ai rappresentanti dei dipendenti. "Sebbene sia fortemente convinto della necessità di affrontare il fenomeno della disparità retributiva, ritengo anche che alcune delle misure previste, come il divieto di chiedere la retribuzione precedente, potrebbero
non essere facilmente attuabili nel concreto", aggiunge Daniele Bacchi.
"Sì alle misure per la parità salariale, ma serve un approccio personalizzato"
"Spesso infatti, in fase di selezione, lo stesso candidato presenta la necessità di esplicitare la sua retribuzione precedente per ottenere un significativo aumento. Poiché
non esiste un mansionario globale che indichi quanto pagare le persone a seconda delle loro competenze, quando un’azienda chiede una retribuzione ai candidati in linea per una posizione solitamente lo fa per capire quanto il mercato paga quelle determinate competenze. Pertanto, mentre accolgo con favore le iniziative volte a
garantire la parità e la trasparenza, ritengo anche sia fondamentale valutarne attentamente l'efficacia e l'applicabilità nel mondo del lavoro reale, oltre a monitorarne i risultati nel tempo. Personalmente sono per un approccio più olistico e personalizzato nella valutazione dei singoli individui e delle loro contribuzioni alle aziende, che tenga conto delle sfide e delle dinamiche specifiche delle negoziazioni salariali”.