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Home » Economia » Quando l’etichetta conta: in Europa sarà un ‘semaforo’ a classificare gli alimenti sostenibili

Quando l’etichetta conta: in Europa sarà un ‘semaforo’ a classificare gli alimenti sostenibili

L'Ue punta su un nuovo tipo di etichettatura trasparente, che metta insieme i vari elementi del processo produttivo e distributivo dell’alimento in vendita. Ma alcuni Paesi storcono il naso e non mancano dettagli controversi

Domenico Guarino
3 Gennaio 2022
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Tra il 25% e il 42%, a seconda dei Paesi: secondo la commissione europea, il settore alimentare, in media, contribuisce per almeno un terzo alle emissioni globali di gas serra. Una quota non secondaria di cui si ha poca coscienza ma che rappresenta una grossa zavorra in vista del raggiungimento degli impegni presi per lo European green deal, che prevede la neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030.

Barattoli con etichette

In particolare sono i prodotti di origine animale – soprattutto la carne di manzo e di agnello ma anche i formaggi – gli alimenti che più contribuiscono alle emissioni di gas serra: l’80% sul totale causate dal consumo di cibo in Ue. In Italia, Lituania, Repubblica Ceca e Grecia la quota arriva fino all’85%, mentre il dato più basso si registra in Bulgaria, dove ammonta al 75%. Nonostante il valore -anche- etico di consumare cibi prodotti a chilometro zero sia innegabile, per fare la differenza da un punto di vista ecologico sarebbe importante anche prestare attenzione non solo alla distanza che intercorre tra la produzione ed il consumo, perché la questione delle emissioni generate dal trasporto degli alimenti è solo uno degli elementi che pesano sul processo complessivo. Paradossalmente, l’impronta ecologica di una banana importata in Europa dall’Ecuador è decisamente inferiore rispetto a quella di un formaggio prodotto in una fattoria locale, in quanto vanno misurate le emissioni di gas serra lungo tutta la catena di approvvigionamento in chilogrammi di anidride carbonica equivalente (kgCO₂eq) per chilogrammo di cibo.

L’etichettatura cosiddetta “a semaforo” è uno degli strumenti che l’UE sta sperimentando per arrivare al risultato previsto dai programmi di limitazione delle emissioni dannose. In base a questo sistema, alla stregua di quanto già accade per gli elettrodomestici, le etichette indicherebbero le quantità di Co2 associate al prodotto che si intende acquistare. Al momento, su molti prodotti già si trovano etichette che indicano se l’alimento in questione è stato prodotto secondo certi standard. Accade ad esempio i prodotti biologici o del mercato equo-solidale, o vegani, o a denominazione di origine controllata e garantita. L’etichettatura trasparente orienta i consumi consapevoli di una quota sempre maggiore della popolazione europea, spingendo di riflesso le aziende ad adeguare i propri standard. Non a caso, una recente ricerca dell’università di Oxford dimostra chiaramente come le etichette possano effettivamente influenzare le decisioni dei consumatori e persuaderli a scegliere i cibi meno inquinanti.

In Ue si studia l’applicazione del “Nutri-score”, che classificherebbe gli alimenti secondo le loro qualità nutrizionali

Attraverso la strategia Farm to fork l’Ue intende armonizzare l’etichettatura dei cibi entro la fine del 2022, immaginando un’etichetta che metta insieme i vari elementi del processo produttivo e distributivo dell’alimento in vendita, ovvero considerando in maniera complessiva i vari fattori ambientali. Questo permetterebbe un deciso salto di qualità, fornendo al consumatore un quadro il più possibile esaustivo delle caratteristiche di quello che sta acquistando e sarebbe anche uno strumento efficace per ridurre le emissioni legate al settore alimentare. Uno dei temi in discussione è l’introduzione del “Nutri-score”, che classificherebbe gli alimenti secondo le loro qualità nutrizionali. Poi un’etichetta riguardo il benessere degli animali durante il processo produttivo e un possibile ampliamento della gamma di prodotti per cui deve essere indicato il paese di origine.

Tutto bello sulla carta, ma come sempre il rischio è che queste iniziative non abbiano effetti sostanziali. Ad esempio si tralasciano elementi fondamentali come l’uso di pesticidi, la biodiversità, il benessere animale e ambientale. Questioni che invece sono state incluse, nel sistema di etichettatura francese “Planet-score”. Tanto che molte associazioni ambientaliste e di consumatori ne chiedono l’adozione a livello europeo, proprio per la maggiore completezza di elementi presi in considerazione. Naturalmente il fronte che si oppone a soluzioni di questo tipo è molto ampio. Soprattutto nei Paesi in cui l’industria alimentare rappresenta una quota importante del Pil e dell’export.

Con “Farm to fork” l’Ue intende armonizzare l’etichettatura dei cibi entro la fine del 2022

In Francia, ad esempio, nonostante ci siano già oltre 500 aziende che lo adottano, i produttori di salumi e formaggi hanno iniziato a protestare cercando di mettere in discussione il modello. Tanto che su Le Monde, il 16 novembre 2021, è stato pubblicato un appello che ha raccolto in poche settimane le firme di oltre 900 scienziati, nutrizionisti, medici e docenti universitari a difesa del modello di etichettatura ‘trasparente’. A sostegno di questa tesi si sono schierate anche la Società francese di epatologia (Afef), la Società francese della salute pubblica (Sfsp) insieme ad altre 40 associazioni scientifiche, che hanno inviato una lettera di sostegno indirizzata al presidente del Consiglio e ai ministri responsabili della Salute, dell’Agricoltura e dell’alimentazione, dell’Economia e delle finanze e degli Affari europei.

In Italia il “Nutri Score” può invece contare sul supporto di alcune riviste del settore e di cinque autorevoli scienziati – tra cui Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e consigliere del ministro della Salute Speranza per l’emergenza Covid-19, e Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” – che due anni fa insieme a Paolo Vineis, Elio Riboli e Mauro Serafini avevano ribadito il valore del sistema a semaforo “al di là delle strumentali polemiche politiche”.

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 Intervista a cura di Andrea Spinelli ✍

#lucenews #qn #ariete #sanremo2023
  • Più luce, meno stelle. Un paradosso, se ci pensate. Più illuminiamo le nostre città, più lampioni, fari, led, laser puntiamo sulla terra, meno stelle e porzioni di cielo vediamo. 

Accade perché, quasi senza accorgercene, di anno in anno, cancelliamo dalla nostra vista qualche decina di quei 4.500 puntini luminosi che in condizioni ottimali dovremmo riuscire a vedere la notte, considerato che il cielo risulta popolato da circa 9.000 stelle, di cui ciascuno di noi può osservare solo la metà per volta, ovvero quelle del proprio emisfero. 

In realtà, già oggi, proprio per colpa dell’inquinamento luminoso, ne vediamo solo poche centinaia. E tutto lascia pensare che questa cifra si ridurrà ulteriormente, con un ritmo molto rapido. Al punto tale che, in pochi anni, la costellazione di Orione, potrebbe perdere la sua caratteristica ‘cintura’.

Secondo quanto risulta da uno studio pubblicato su “Science”, basato sulle osservazioni di oltre 50mila citizen scientist, solo tra il 2011 e il 2022, ogni anno il cielo in tutto il Pianeta è diventato in media il 9,6% più luminoso, con una forchetta di valori che non supera il 10% ma non scende mai sotto il 7%. Più di quanto percepito finora dai satelliti preposti a monitorare la quantità di luce nel cielo notturno. Secondo le misurazioni effettuate da questi ultimi infatti, tra 1992 e 2017 il cielo notturno è diventato più luminoso di meno dell’1,6% annuo.

“In un periodo di 18 anni, questo tasso di cambiamento aumenterebbe la luminosità del cielo di oltre un fattore 4”, scrivono i ricercatori del Deutsches GeoForschungs Zentrum di Potsdam, in Germania, e del National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory di Tucson, negli Stati Uniti. Una località con 250 stelle visibili, quindi, vedrebbe ridursi il numero a 100 stelle visibili. 

Il pericolo più che fondato, a questo punto, è che di questo passo inizieranno a scomparire dalla nostra vista anche le costellazioni più luminose, comprese quelle che tuti sono in grado di individuare con estrema facilità.

L
  • Per la prima volta nella storia del calcio, un arbitro ha estratto il cartellino bianco. No, non si tratta di un errore: se il giallo e il rosso fanno ormai parte di tantissimi anni delle regole del gioco ed evidenziano un comportamento scorretto, quello bianco vuole invece "premiare", in maniera simbolica, un gesto di fair play. Il tutto è avvenuto in Portogallo, durante un match di coppa nazionale tra il Benfica e lo Sporting Lisbona femminile.

Benfica-Sporting Lisbona femminile, quarti di finale della Coppa del Portogallo. I padroni di casa si trovano in vantaggio per 3-0 e vinceranno la sfida con un netto 5-0, ma un episodio interrompe il gioco: un tifoso sugli spalti accusa un malore, tanto che gli staff medici delle due squadre corrono verso le tribune per soccorrerlo. Dopo qualche minuto di paura, non solo per le giocatrici in campo ma anche per gli oltre quindicimila spettatori presenti allo stadio, il supporter viene stabilizzato e il gioco può riprendere. Prima, però, la direttrice di gara Catarina Campos effettua un gesto che è destinato a rimanere nella storia del calcio: estrae il cartellino bianco nei confronti dei medici delle due squadre.

Il cartellino bianco non influenza in alcun modo il match, né il risultato o il referto arbitrale; chissà che, da oggi in poi, gli arbitri non cominceranno ad agire più spesso, per esaltare un certo tipo di condotta eticamente corretta portata avanti anche dai calciatori.

#lucenews #cartellinobianco #calcio #fairplay
  • Son tutte belle le mamme del mondo. Soprattutto… quando un bambino si stringono al cuor… I versi di un vecchio brano ricordano lo scatto che sta facendo il giro del web. Quella di una madre che allatta il proprio piccino sul posto di lavoro. In questo caso la protagonista è una supermodella –  Maggie Maurer – che ha postato uno degli scatti più teneri e glamour di sempre. La super top si è fatta immortalare mentre nutre al seno la figlia Nora-Jones nel backstage dello show couture di Schiaparelli, tenutosi a Parigi.

La top model americana 32enne, che della maison è già musa, tanto da aver ispirato una clutch – non proprio una pochette ma una borsa che si indossa a mano che riproduce il suo volto –  nell’iconico scatto ha ancora il viso coperto dal make-up dorato realizzato dalla truccatrice-star Path McGrath, ed è coperta solo sulle spalle da un asciugamano e un telo protettivo trasparente. 

L’immagine è forte, intensa, accentuata dalla vernice dorata che fa apparire mamma Maurer come una divinità dell’Olimpo, una creatura divina ma squisitamente terrena, colta nel gesto di nutrire il proprio piccolo.

Ed è un’immagine importante, perché contribuisce a scardinare lo stigma dell’allattamento al seno in pubblico, sul luogo di lavoro e in questo caso anche sui social, su cui esistono ancora molti tabù. L’intera gravidanza di Maggie Maurer è stata vissuta in chiave di empowerment, e decisamente glamour. Incinta di circa sei mesi, ha sfilato per Nensi Dojaka sfoggiando un capo completamente trasparente della collezione autunno inverno 2022, e con il pancione.

Nell’intimo post su Instagram, Maggie Maurer ha deciso quindi condividere con i propri follower la sua immagine che la ritrae sul luogo di lavoro con il volto dipinta d’oro, una parte del suo look, pocoprima di sfilare per la casa di moda italiana, Schiaparelli. In grembo, ha sua figlia, che sta allattando dietro le quinte della sfilata. Le parole scritte a finco della foto, la modella ha scritto “#BTS #mommy”, evidenziando il lavoro senza fine della maternità, nonostante i suoi successi.

di Letizia Cini ✍🏻

#lucenews #maggiemaurer #materintà #mommy
Tra il 25% e il 42%, a seconda dei Paesi: secondo la commissione europea, il settore alimentare, in media, contribuisce per almeno un terzo alle emissioni globali di gas serra. Una quota non secondaria di cui si ha poca coscienza ma che rappresenta una grossa zavorra in vista del raggiungimento degli impegni presi per lo European green deal, che prevede la neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione del 50% delle emissioni entro il 2030.
Barattoli con etichette
In particolare sono i prodotti di origine animale – soprattutto la carne di manzo e di agnello ma anche i formaggi – gli alimenti che più contribuiscono alle emissioni di gas serra: l’80% sul totale causate dal consumo di cibo in Ue. In Italia, Lituania, Repubblica Ceca e Grecia la quota arriva fino all’85%, mentre il dato più basso si registra in Bulgaria, dove ammonta al 75%. Nonostante il valore -anche- etico di consumare cibi prodotti a chilometro zero sia innegabile, per fare la differenza da un punto di vista ecologico sarebbe importante anche prestare attenzione non solo alla distanza che intercorre tra la produzione ed il consumo, perché la questione delle emissioni generate dal trasporto degli alimenti è solo uno degli elementi che pesano sul processo complessivo. Paradossalmente, l’impronta ecologica di una banana importata in Europa dall’Ecuador è decisamente inferiore rispetto a quella di un formaggio prodotto in una fattoria locale, in quanto vanno misurate le emissioni di gas serra lungo tutta la catena di approvvigionamento in chilogrammi di anidride carbonica equivalente (kgCO₂eq) per chilogrammo di cibo. L’etichettatura cosiddetta “a semaforo” è uno degli strumenti che l’UE sta sperimentando per arrivare al risultato previsto dai programmi di limitazione delle emissioni dannose. In base a questo sistema, alla stregua di quanto già accade per gli elettrodomestici, le etichette indicherebbero le quantità di Co2 associate al prodotto che si intende acquistare. Al momento, su molti prodotti già si trovano etichette che indicano se l’alimento in questione è stato prodotto secondo certi standard. Accade ad esempio i prodotti biologici o del mercato equo-solidale, o vegani, o a denominazione di origine controllata e garantita. L’etichettatura trasparente orienta i consumi consapevoli di una quota sempre maggiore della popolazione europea, spingendo di riflesso le aziende ad adeguare i propri standard. Non a caso, una recente ricerca dell’università di Oxford dimostra chiaramente come le etichette possano effettivamente influenzare le decisioni dei consumatori e persuaderli a scegliere i cibi meno inquinanti.
In Ue si studia l'applicazione del "Nutri-score", che classificherebbe gli alimenti secondo le loro qualità nutrizionali
Attraverso la strategia Farm to fork l’Ue intende armonizzare l’etichettatura dei cibi entro la fine del 2022, immaginando un’etichetta che metta insieme i vari elementi del processo produttivo e distributivo dell’alimento in vendita, ovvero considerando in maniera complessiva i vari fattori ambientali. Questo permetterebbe un deciso salto di qualità, fornendo al consumatore un quadro il più possibile esaustivo delle caratteristiche di quello che sta acquistando e sarebbe anche uno strumento efficace per ridurre le emissioni legate al settore alimentare. Uno dei temi in discussione è l’introduzione del "Nutri-score", che classificherebbe gli alimenti secondo le loro qualità nutrizionali. Poi un’etichetta riguardo il benessere degli animali durante il processo produttivo e un possibile ampliamento della gamma di prodotti per cui deve essere indicato il paese di origine. Tutto bello sulla carta, ma come sempre il rischio è che queste iniziative non abbiano effetti sostanziali. Ad esempio si tralasciano elementi fondamentali come l’uso di pesticidi, la biodiversità, il benessere animale e ambientale. Questioni che invece sono state incluse, nel sistema di etichettatura francese “Planet-score”. Tanto che molte associazioni ambientaliste e di consumatori ne chiedono l’adozione a livello europeo, proprio per la maggiore completezza di elementi presi in considerazione. Naturalmente il fronte che si oppone a soluzioni di questo tipo è molto ampio. Soprattutto nei Paesi in cui l’industria alimentare rappresenta una quota importante del Pil e dell’export.
Con "Farm to fork" l’Ue intende armonizzare l’etichettatura dei cibi entro la fine del 2022
In Francia, ad esempio, nonostante ci siano già oltre 500 aziende che lo adottano, i produttori di salumi e formaggi hanno iniziato a protestare cercando di mettere in discussione il modello. Tanto che su Le Monde, il 16 novembre 2021, è stato pubblicato un appello che ha raccolto in poche settimane le firme di oltre 900 scienziati, nutrizionisti, medici e docenti universitari a difesa del modello di etichettatura ‘trasparente’. A sostegno di questa tesi si sono schierate anche la Società francese di epatologia (Afef), la Società francese della salute pubblica (Sfsp) insieme ad altre 40 associazioni scientifiche, che hanno inviato una lettera di sostegno indirizzata al presidente del Consiglio e ai ministri responsabili della Salute, dell’Agricoltura e dell’alimentazione, dell’Economia e delle finanze e degli Affari europei. In Italia il "Nutri Score" può invece contare sul supporto di alcune riviste del settore e di cinque autorevoli scienziati – tra cui Walter Ricciardi, ex presidente dell’Istituto superiore di sanità e consigliere del ministro della Salute Speranza per l’emergenza Covid-19, e Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri” – che due anni fa insieme a Paolo Vineis, Elio Riboli e Mauro Serafini avevano ribadito il valore del sistema a semaforo “al di là delle strumentali polemiche politiche”.
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