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Home » Lifestyle » Antonio Caterino: “Io avvocato dislessico ho fatto cambiare la legge sull’esame di Stato”

Antonio Caterino: “Io avvocato dislessico ho fatto cambiare la legge sull’esame di Stato”

Con "tenace ottimismo", ha contribuito al protocollo che consente alle persone con Dsa di avere misure compensative nei concorsi e esami abilitanti

Marianna Grazi
24 Aprile 2021
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Antonio Caterino ha 36 anni, è cresciuto a Perugia e fa l’avvocato a Milano in uno studio che si occupa di diritto societario.
Durante gli anni di studio ci sono stati esami che ha ripetuto anche otto volte, senza capire cosa, in lui non andasse. Non conosceva la propria condizione, diagnosticata da un’amica medico due giorni prima della laurea. Antonio è dislessico.
Il giovane legale ha contribuito a scrivere un protocollo, siglato il 12 aprile scorso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati e la Corte d’appello di Milano, grazie al quale i candidati con disturbi specifici dell’apprendimento (Dsa) potranno utilizzare strumenti compensativi per l’esame di abilitazione. Una vittoria importante, la sua, contro la discriminazione: “Sono partito dalle mie difficoltà per cambiare le regole, una soddisfazione enorme” dice Caterino che rivela che nel suo curriculum c’è una frase a effetto: “Tenacemente ottimista”.
Antonio racconta di aver scoperto la sua dislessia a 26 anni: “Prima di allora, non sapevo di avere questo disturbo specifico dell’apprendimento. Io mi sono diplomato nel 2005, in un periodo nel quale la dislessia non era ancora così conosciuta“. Ma da quando lo ha scoperto ha iniziato a lottare per far valere i propri diritti e quelli di migliaia di persone. In Italia oltre due milioni di persone soffrono di Dsa e devono convivere ogni giorno con lacune normative, sociali e culturali. Soprattutto nel mondo del lavoro, chi soffre di un disturbo specifico dell’apprendimento rischia di rimanere escluso: “Oggi ci sono 12 mila persone con Dsa che si affacciano al mercato del lavoro – spiega Caterino –. Però non riescono ad arrivare nemmeno ai colloqui nonostante tutti i loro sforzi. Molte aziende, ancora oggi, valutano un candidato in base a dei parametri (voto finale e tempo impiegato per laurearsi, conoscenza di lingue straniere) che spesso non tengono conto delle difficoltà di chi ha un Dsa e portano molti a tacere circa il loro disturbo”.

Una discriminazione, quella denunciata dall’avvocato, che si riflette anche nei concorsi pubblici o negli esami abilitanti alla professione: “Attualmente le misure compensative sono previste nella legge 170 del 2010, una legge grandiosa che ha risolto il tema dei Dsa a scuola e nelle università. Ma non viene applicata nei concorsi pubblici o negli esami abilitanti alla professione. Questa è una lesione delle pari opportunità. Perciò l’Ordine degli avvocati e la Corte d’Appello hanno deciso di siglare un accordo che istituzionalizzi le misure compensative qualora fossero presenti persone con Dsa”.

Tali misure mettono i candidati con questo tipo di disturbi nella condizione di svolgere un concorso o un esame abilitante godendo, in astratto, delle stesse chance di successo di chi non ha un Dsa. In concreto, infatti, vengono sostituite le prove scritte con un colloquio orale, è data la possibilità di usare strumenti per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, e possono avere tempo in più per svolgere le prove. Tra coloro che hanno potuto usufruire di queste nuove regole, prima ancora che il protocollo venisse siglato, c’è proprio l’avvocato Caterino: “Io ho sostenuto l’esame avvalendomi di questi strumenti che si sono rivelati determinanti ai fini del successo nelle prove. Solo così ho potuto godere delle stesse chance dei miei colleghi”.

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  • Nicoletta Sipos, giornalista e scrittrice, ha vissuto in Ungheria, in Germania e negli Stati Uniti, prima di raggiungere Milano e lì restare. Il suo romanzo “La guerra di H”, un romanzo fortemente ispirato a fatti realmente accaduti.

L’autrice indaga in maniera del tutto nuova e appassionante un momento drammatico, decisivo della storia del nostro continente: la Seconda guerra mondiale. A raccontare l’ascesa e la disfatta del Nazismo è stavolta la voce di un bambino tedesco, che riporta con semplicità e veracità le molte sofferenze patite dal suo popolo durante il conflitto scatenato da Hitler, focalizzando l’attenzione del lettore sul drammatico paradigma che accomuna chiunque si trovi a vivere sulla propria pelle una guerra: la sofferenza. Pagine toccanti, le sue, tanto più intense perché impregnate di fatti reali, emozioni provate e sentite dai protagonisti e condivise da quanti, tuttora, si trovano coinvolti in un conflitto armato. La memoria collettiva è uno strumento potente per non commettere gli stessi errori. 

"Imparai poco alla volta – scrive il piccolo Heinrich Stein, protagonista del romanzo – che nel nostro strano Paese la verità aveva più volti con infinite sfumature”.

👉Perché una storia così e perché ora?
“Ho incontrato il protagonista di questa mia storia molto tempo fa, addirittura negli anni ’50, ossia in un’epoca che portava ancora gli strascichi della guerra. Diventammo amici, parlammo di Hitler e della miseria della Germania. Poco per volta, via via che ci incontravamo, lui aggiungeva ricordi, dettagli, confessioni. Per anni ho portato dentro di me la testimonianza di questa storia che si arricchiva sempre più di dettagli. Molte volte avrei voluto scriverla, magari a quattro mani con il mio amico, ma lui non se la sentiva. Io stessa esitavo ad affrontare questa storia che racconta una famiglia tedesca in forte sofferenza in una Germania ferita e umiliata. La gente ha etichettato tutto il popolo tedesco durante il nazismo come crudele per antonomasia. Non si pensa mai a quanto la gente comune abbia sofferto, alla fame e al freddo che anche il popolo tedesco ha patito”.

✍ Caterina Ceccuti

#lucenews #giornodellamemoria #27gennaio
  • È dalla sua camera con vista affacciata sull’Arno che Ornella Vanoni accetta di raccontare un po’ di sé ai lettori di Luce!, in attesa di esibirsi, sabato 28 gennaio sul palco della Tuscany Hall di Firenze, dov’è in programma una nuova tappa della nuova tournée Le Donne e la Musica. Un ritorno atteso per Ornella Vanoni, che in questo tour è accompagnata da un quintetto di sole donne.

Innanzitutto come sta, signora Vanoni?
“Stanca, sono partita due mesi dopo l’intervento al femore che mi sono rotto cadendo per una buca proprio davanti a casa mia. Ma l’incidente non mi ha impedito di intraprendere un progetto inaspettato che, sin da subito, mi è stato molto a cuore. Non ho perso la volontà di andare avanti. Anche se il tempo per prepararlo e provare è stato pochissimo. E poi sono molto dispiaciuta“.

Per cosa?
“La morte dell’orso Juan Carrito, travolto e ucciso da un’auto cercava bacche e miele: la mia carissima amica Dacia (Maraini, ndr) l’altro giorno ha scritto una cosa molto bella dedicata a lui. Dovrò scrollarmi di dosso la malinconia e ricaricarmi in vista del concerto“.

Con lei sul palco ci sarà una jazz band al femminile con Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani. Perché questa scelta?
“Perché sono tutte bravissime, professioniste davvero eccezionali. Non è una decisione presa sulla spinta di tematiche legate al genere o alle quote rosa, ma nata grazie a Paolo Fresu, amico e trombettista fantastico del quale sono innamorata da sempre. Tempo fa, durante una chiacchierata, Paolo mi raccontò che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante musiciste bravissime. E allora ho pensato: ’Se sono così brave perché non fare un gruppo di donne? Certo, non l’ha fatto mai nessuno. Bene, ora lo faccio io“.

Il fatto che siano tutte donne è un valore aggiunto?
“In realtà per me conta il talento, ma sono felice della scelta: è bellissimo sentire suonare queste artiste, vederle sul palco intorno a me mi emoziona“.

L
  • Devanshi Sanghvi è una bambina di otto anni che sarebbe potuta crescere e studiare per gestire l’attività di diamanti multimilionaria appartenente alla sua facoltosissima famiglia, con un patrimonio stimato di 60 milioni di dollari.

Ma la piccola ha scelto di farsi suora, vivendo così una vita spartana, vestita con sari bianchi, a piedi nudi e andando di porta in porta a chiedere l’elemosina. Si è unita ai “diksha” alla presenza di anziani monaci giainisti. La bimba è arrivata alla cerimonia ingioiellata e vestita di sete pregiate. Sulla sua testa poggiava una corona tempestata di diamanti. Dopo la cerimonia, a cui hanno partecipato migliaia di persone, è rimasta in piedi con altre suore, vestita con un sari bianco che le copriva anche la testa rasata. Nelle fotografie, la si vede con in mano una scopa che ora dovrà usare per spazzare via gli insetti dal suo cammino per evitare di calpestarli accidentalmente.

Di Barbara Berti ✍

#lucenews #lucelanazione #india #DevanshiSanghvi
  • Settanta giorni trascorsi in un mondo completamente bianco, la capitana dell’esercito britannico Harpreet Chandi, che già lo scorso anno si era distinta per un’impresa tra i ghiacci, è una fisioterapista che lavora in un’unità di riabilitazione regionale nel Buckinghamshire, fornendo supporto a soldati e ufficiali feriti. 

Ha dimostrato che i record sono fatti per essere battuti e, soprattutto, i limiti personali superabili grazie alla forza di volontà e alla preparazione. E ora è diventata una vera leggenda vivente, battendo il record del mondo femminile per la più lunga spedizione polare – sola e senza assistenza – della storia.

Il 9 gennaio scorso, 57esimo giorno del viaggio che era cominciato lo scorso 14 novembre, la 34enne inglese ha raggiunto il centro del Polo Sud dopo aver percorso circa 1100 chilometri. Quando è arrivata a destinazione nel bel mezzo della calotta polare era felice, pura e semplice gioia di aver raggiunto l’agognato traguardo: “Il Polo Sud è davvero un posto incredibile dove stare. Non mi sono fermata molto a lungo perché ho ancora un lungo viaggio da fare. È stato davvero difficile arrivare qui, sciando tra le 13 e le 15 ore al giorno con una media di 5 ore di sonno”.

Di Irene Carlotta Cicora ✍

#lucenews #lucelanazione #polosud #HarpreetChandi #polarpreet
Antonio Caterino ha 36 anni, è cresciuto a Perugia e fa l'avvocato a Milano in uno studio che si occupa di diritto societario.
Durante gli anni di studio ci sono stati esami che ha ripetuto anche otto volte, senza capire cosa, in lui non andasse. Non conosceva la propria condizione, diagnosticata da un'amica medico due giorni prima della laurea. Antonio è dislessico.
Il giovane legale ha contribuito a scrivere un protocollo, siglato il 12 aprile scorso dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati e la Corte d'appello di Milano, grazie al quale i candidati con disturbi specifici dell'apprendimento (Dsa) potranno utilizzare strumenti compensativi per l'esame di abilitazione. Una vittoria importante, la sua, contro la discriminazione: "Sono partito dalle mie difficoltà per cambiare le regole, una soddisfazione enorme" dice Caterino che rivela che nel suo curriculum c'è una frase a effetto: "Tenacemente ottimista".
Antonio racconta di aver scoperto la sua dislessia a 26 anni: "Prima di allora, non sapevo di avere questo disturbo specifico dell'apprendimento. Io mi sono diplomato nel 2005, in un periodo nel quale la dislessia non era ancora così conosciuta". Ma da quando lo ha scoperto ha iniziato a lottare per far valere i propri diritti e quelli di migliaia di persone. In Italia oltre due milioni di persone soffrono di Dsa e devono convivere ogni giorno con lacune normative, sociali e culturali. Soprattutto nel mondo del lavoro, chi soffre di un disturbo specifico dell'apprendimento rischia di rimanere escluso: "Oggi ci sono 12 mila persone con Dsa che si affacciano al mercato del lavoro – spiega Caterino –. Però non riescono ad arrivare nemmeno ai colloqui nonostante tutti i loro sforzi. Molte aziende, ancora oggi, valutano un candidato in base a dei parametri (voto finale e tempo impiegato per laurearsi, conoscenza di lingue straniere) che spesso non tengono conto delle difficoltà di chi ha un Dsa e portano molti a tacere circa il loro disturbo".
Una discriminazione, quella denunciata dall'avvocato, che si riflette anche nei concorsi pubblici o negli esami abilitanti alla professione: "Attualmente le misure compensative sono previste nella legge 170 del 2010, una legge grandiosa che ha risolto il tema dei Dsa a scuola e nelle università. Ma non viene applicata nei concorsi pubblici o negli esami abilitanti alla professione. Questa è una lesione delle pari opportunità. Perciò l'Ordine degli avvocati e la Corte d'Appello hanno deciso di siglare un accordo che istituzionalizzi le misure compensative qualora fossero presenti persone con Dsa". Tali misure mettono i candidati con questo tipo di disturbi nella condizione di svolgere un concorso o un esame abilitante godendo, in astratto, delle stesse chance di successo di chi non ha un Dsa. In concreto, infatti, vengono sostituite le prove scritte con un colloquio orale, è data la possibilità di usare strumenti per le difficoltà di lettura, di scrittura e di calcolo, e possono avere tempo in più per svolgere le prove. Tra coloro che hanno potuto usufruire di queste nuove regole, prima ancora che il protocollo venisse siglato, c'è proprio l'avvocato Caterino: "Io ho sostenuto l'esame avvalendomi di questi strumenti che si sono rivelati determinanti ai fini del successo nelle prove. Solo così ho potuto godere delle stesse chance dei miei colleghi".
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