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Home » Lifestyle » Cannes, Victoria Bonya protesta per le donne russe discriminate: “La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero”

Cannes, Victoria Bonya protesta per le donne russe discriminate: “La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero”

Dopo la ragazza che si è denudata contro gli stupri in Ucraina e dopo lo striscione contro i femminicidi in Francia, l'influencer russa ha portato al Festival un cartello per difendere le donne russe: "Noi oggi siamo discriminate. Dobbiamo difendere il nostro diritto a non essere disprezzate"

Remy Morandi
23 Maggio 2022
victoria bonya, la protesta al Festival di Cannes per le donne russe discriminate

victoria bonya, la protesta al Festival di Cannes per le donne russe discriminate

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I baffi finti, uno smoking nero, e un cartello in mano con scritto: “La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero“. È la protesta che ha portato al Festival di Cannes l’influencer russa Victoria Bonya, divenuta celebre in Italia per aver tagliato e fatto a pezzi le borse di Chanel in seguito allo stop del marchio francese alle vendite in Russia. La nuova protesta dell’influencer, che a giudicare dal cartello sembrerebbe semplicemente una contestazione contro la guerra in Ucraina, è invece un messaggio a difesa delle donne russe: “A nome loro voglio esprimere la mia posizione, ovvero che oggi noi donne russe siamo discriminate“.

Al Festival di Cannes l’influencer Victoria Bonya protesta per le donne russe discriminate: “La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero” (Foto / Instagram / Victoria Bonya)

Victoria Bonya ha raccontato su Instagram i dettagli della sua protesta. L’influencer spiega che avrebbe voluto portare quel cartello sul red carpet della 75esima edizione del Festival di Cannes, ma lo staff della sicurezza l’avrebbe invitata ad andarsene: “Oggi mi è stato chiesto di lasciare il tappeto rosso del Festival di Cannes – scrive l’influencer russa su Instagram -. Dato che sono una cittadina che rispetta le leggi, me ne sono andata”. “Mi è stato detto – prosegue il racconto Victoria Bonya – che se mi fossi presentata in quel modo, la stampa ne avrebbe parlato troppo. Questo è tutto ciò che mi hanno detto”.

 

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Un post condiviso da VICTORIA BONYA (@victoriabonya)

In un video pubblicato su Instagram, l’influencer russa ha spiegato: “A nome delle donne della Russia, voglio esprimere la mia posizione, ovvero voglio dire che noi oggi siamo discriminate. Anche il fatto che non mi sia stato permesso di salire sul tappeto rosso con questo messaggio già dice molto”, riflette Victoria Bonya. “Qui stiamo parlando del fatto – aggiunge l’influencer – che tutto questo porta a pessime conseguenze. E credo che noi dobbiamo difendere i nostri diritti! O per lo meno dobbiamo difendere il diritto a non essere disprezzate“. “La donna stessa è un simbolo di vita, un simbolo di pace e amore. Per favore – conclude Victoria Bonya – pensateci così e non dimenticatevelo”.

Cannes, la protesta contro i femminicidi in Francia

Victoria Bonya non è l’unica ad aver portato al Festival di Cannes 2022 una protesta in difesa delle donne. Se l’influencer ha cercato di difendere le donne russe, vittime secondo lei di discriminazione a causa della guerra in Ucraina, domenica 22 maggio le attiviste del movimento femminista “Les Colleuses” hanno portato sul red carpet una protesta contro i femminicidi in Francia. Sul red carpet le attiviste hanno sfilato con uno striscione con i nomi di 129 donne uccise dai mariti o dai compagni.

Al Festival di Cannes la protesta del movimento femminista “Les Colleuses” contro i femminici in Francia (Foto Ansa)

Con il pugno chiuso e il braccio alzato, con dei fumogeni neri e un lungo striscione bianco, il movimento femminista “Les Colleuses” ha così protestato per tutte quelle donne vittime di femminicidi in Francia. Camille, Léa, Nadine, Alexia, Elise sono solo alcuni dei 129 nomi che le attiviste hanno voluto portare sul red carpet del Festival di Cannes.

La protesta del movimento femminista è avvenuta durante il red carpet per il film in concorso ‘Holy Spider‘ di Ali Abbasi. Il film, non a caso, racconta una parte del movimento femminista francese dando voce alle giovanissime donne che lo animano, armate di lenzuola bianche e vernice nera, impegnate in una protesta che è soprattutto una campagna di azione e di sensibilizzazione contro la violenza domestica, il sessismo e la disuguaglianza di genere in Francia e in tutto il mondo.

Al Festival di Cannes la protesta del movimento femminista “Les Colleuses” contro i femminici in Francia (Foto Ansa)

La protesta del movimento “Les Colleuses” segue quella di venerdì 20 maggio, quando una ragazza si è denudata urlando slogan di protesta contro gli stupri delle donne ucraine ad opera dei soldati russi. L’attivista francese del collettivo SCUM si è introdotta sul red carpet del film di George Miller, ‘Three thousand years of longing’, e, nuda e imbrattata di vernice sul corpo con i colori della bandiera ucraina, la ragazza ha iniziato a gridare “Smettetela di violentarci“, riferendosi alle notizie di stupri e torture perpetrate dalle forze russe in Ucraina.

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  • Stando a quanto dicono gli studiosi, i social network sono portatori malati di ansia e depressione. E, diciamocelo, non servivano studi e numeri per capirlo. I più attrezzati di noi a comprendere le dinamiche social e sociali che si nascondono dietro l’algoritmo di Meta già da tempo avevano compreso che “social sì, ma a piccole dosi”.

Eppure la deriva c’è stata e adesso distinguere il virtuale dal reale, l’immagine dallo schermo, il like dall’affetto sembra essere diventata un’operazione assai difficile.

Il senso di inadeguatezza delle persone di ogni età sta dilagando. Pare che il meccanismo sia più o meno questo: l’erba del vicino – di account – è sempre più verde. 

Che poi nella realtà non è così poco importante. A importare è ciò che appare, non ciò che è, tanto da ridurre il dilemma “essere o non essere” a coltissimo equivoco elitario. Cogito ergo sum un po’ poco, verrebbe da dire, se non fosse che la faccenda è seria e grave. 

Lo stress da social è reale e affligge grandi e piccini, senza distinzione di ceto. Una vera e propria sofferenza psicologica che tende a minare le fondamenta dell’intera società. Tra il 2003 e il 2018, i casi di ansia hanno registrato numeri da record, così come quelli di depressione, autolesionismo e problemi di alimentazione. Questo basti per capire che limitarsi a catalogare il problema come questione minore è sbagliato e pericoloso.

Complice il recente lockdown, la corsa verso la psicosocialpatologia ha accelerato il passo. L’unica soluzione a portata di mano, seppur temporanea, è prendersi una pausa dai social e uscire dalla bolla, come Selena Gomez insegna. 

Vivere la vita vera, in Logout, fatta di persone in carne e ossa che di perfetto hanno poco o nulla e che combattono ogni giorno per cercare di assomigliare a ciò che vorrebbero essere. 

E tu quanto tempo passi sui social? 📲

Di Margherita Ambrogetti Damiani ✍

#lucenews #lucelanazione #socialout #viverelavita #nofilter #autoconsapevolezza #stressdasocial #socialdetox
  • Ad appena 3 anni e mezzo, Vincenzo comunica ai genitori il desiderio di indossare vestiti e gonne. Alla richiesta viene inizialmente, quanto inevitabilmente, dato poco peso, come se fosse un gioco… 

Ma 6 anni e mezzo dopo Vincenzo fa un coming out più deciso, chiede di potersi chiamare Emma e di indossare un costume femminile alle lezioni di danza, che condivide con le due sorelle maggiori. Pochi giorni fa, grazie anche alla comprensione e disponibilità della sua insegnante di danza, ha vissuto il suo momento di gloria, esibendosi in un saggio-spettacolo di fine anno costruito su misura, con una coreografia che racconta la sua storia.

La danza, si sa, può essere di grande aiuto per costruire la propria identità, perché è prima di tutto libertà di espressione. 

“Gli anni di pandemia sono stati decisivi per mia figlia. La riflessione è diventata sempre più profonda e, con sofferenza, lo scorso ottobre, è riuscita a parlarci di ciò che davvero le stava a cuore. Le prime sostenitrici sono state proprio le sorelle, più aperte e predisposte mentalmente su questa tematica. Noi genitori ancora pensavano a una latente omosessualità, ma non era così: per nostra figlia la propria identità di genere non coincideva con il sesso assegnatole alla nascita”.

I primi tempi non sono stati facili, per certi aspetti è stato come elaborare un lutto perché Emma volava cancellare tutto il suo passato, buttando via foto e vestiti. La sua è stata una rinascita vera e propria, il suo “no" al nome, al genere maschile, è ormai definitivo. 

A scuola, ha chiesto e ottenuto di potersi chiamare Emma, così come in società. Fondamentale è stato il supporto della famiglia che, a un certo punto, ha capito che non si trattava di un gioco, malgrado la giovanissima età.

“A chi tuttora continua a ripeterci che avremmo dovuto insistere e iscriverla a calcio, dico con fermezza: i figli vanno ascoltati, è giusto che vivano la loro vita, quella più congeniale al loro sentire, perché tutti meritiamo di essere felici”.

Di Roberta Bezzi ✍

#lucenews #lucelanazione #bologna #emma #transgender #transrights
  • “Trova qualcuno a cui piaci come sei e digli di farsi curare”, scrive Andrea Pinna in uno dei suoi tipici post su Instagram. 

Ma se Andrea Pinna, apprezzato per i suoi aforismi taglienti, “né bello né ricco” come dice lui, è diventato uno degli influencer più originali del web, è anche perché ha fatto entrambe le cose: ha accettato se stesso com’era e ha intrapreso un percorso di cura.

Trentacinque anni, origini sarde e milanese di adozione, ha cominciato il suo cammino partendo dal gradino più basso. 

"Lavoravo a Roma nel mondo dei negozi, commesso e poi vetrinista. Mi hanno mandato in Sardegna, la mia terra, a seguire nuovi negozi, ma poco dopo hanno chiuso tutto lasciandomi senza lavoro. E lì si è scatenata la mia prima fortissima depressione. Che ho affrontato con Facebook, scrivendo status più o meno sarcastici per scaricare la rabbia”.

Non una depressione qualsiasi, ma un malessere profondo che a distanza di anni gli verrà diagnosticato come bipolarismo. 

"Non è stato facile. Ho passato periodi che non dormivo mai e altri in cui stavo sempre a letto. Avere un disagio psichico non è una passeggiata e bisogna raccontarlo, imparare ad ascoltarsi”.

Sul suo profilo Instagram @leperledipinna ha deciso di portare avanti due battaglie: quella per i diritti civili dei gay e l’altra per dare voce ai problemi mentali.

“La prima la combatto in prima persona da tanto tempo, la seconda per far capire che se vai dall’ortopedico quanto ti fa male il ginocchio è giusto andare da uno psicoterapeuta o uno psichiatra quando hai un disagio mentale o psicologico”.

E attraverso le dirette Instagram di psicoterapinna "racconto la mia storia, il mio vissuto, chiamando gli esperti a parlare dei vari problemi psicologici che la gente può avere”.

La storia di chi ha trovato il coraggio di affrontare il bipolarismo e ha saputo rendere i social un luogo in cui sentirsi a proprio agio. Qualunque sia il disagio.

L
  • "L’autismo è un fenomeno che riguarda sì, in primo luogo gli autistici e le loro famiglie, ma anche la società in generale. Un nato o nata ogni 70/80 rientra nello spettro autistico ormai ed è quindi bene che anche i cosiddetti neuro tipici sappiano di cosa si parla”.

Dopo la standing ovation ricevuta lo scorso 2 aprile al Cinema La Compagnia di Firenze e il fortunato tour avviato nei cinema e nei teatri della Toscana, il documentario “I mille cancelli di Filippo” sarà nuovamente proiettato lunedì 27 giugno alle 21, nella Limonaia di Villa Strozzi a Firenze. Al centro della narrazione il figlio del noto autore Enrico Zoi, il giovane Filippo, colpito da spettro autistico.

Con la delicatezza e la magia tipica di uno scrittore che, prima di tutto, è un babbo amorevole, Enrico – insieme a sua moglie Raffaella Braghieri – apre una volta ancora le porte della sua casa per raccontare al mondo la realtà speciale della sua famiglia.

E il consiglio per i genitori che hanno appena ricevuto una diagnosi di autismo sul proprio bambino sarebbe quello di "non chiudersi, di non chiedersi perché, di guardare al mondo esterno, di aprirsi. Chiudersi non serve a niente, anzi… è un po’ come una partita di calcio: se non scendi in campo la perdi a tavolino, se invece accetti il confronto te la puoi giocare!”.

Di Caterina Ceccuti ✍

#lucenews #lucelanazione #enricozoi #imillecancellidifilippo #firenze #autismo #autismawareness
I baffi finti, uno smoking nero, e un cartello in mano con scritto: "La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero". È la protesta che ha portato al Festival di Cannes l'influencer russa Victoria Bonya, divenuta celebre in Italia per aver tagliato e fatto a pezzi le borse di Chanel in seguito allo stop del marchio francese alle vendite in Russia. La nuova protesta dell'influencer, che a giudicare dal cartello sembrerebbe semplicemente una contestazione contro la guerra in Ucraina, è invece un messaggio a difesa delle donne russe: "A nome loro voglio esprimere la mia posizione, ovvero che oggi noi donne russe siamo discriminate".
Al Festival di Cannes l'influencer Victoria Bonya protesta per le donne russe discriminate: "La guerra non esisterebbe se gli uomini partorissero" (Foto / Instagram / Victoria Bonya)
Victoria Bonya ha raccontato su Instagram i dettagli della sua protesta. L'influencer spiega che avrebbe voluto portare quel cartello sul red carpet della 75esima edizione del Festival di Cannes, ma lo staff della sicurezza l'avrebbe invitata ad andarsene: "Oggi mi è stato chiesto di lasciare il tappeto rosso del Festival di Cannes - scrive l'influencer russa su Instagram -. Dato che sono una cittadina che rispetta le leggi, me ne sono andata". "Mi è stato detto - prosegue il racconto Victoria Bonya - che se mi fossi presentata in quel modo, la stampa ne avrebbe parlato troppo. Questo è tutto ciò che mi hanno detto".
 
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In un video pubblicato su Instagram, l'influencer russa ha spiegato: "A nome delle donne della Russia, voglio esprimere la mia posizione, ovvero voglio dire che noi oggi siamo discriminate. Anche il fatto che non mi sia stato permesso di salire sul tappeto rosso con questo messaggio già dice molto", riflette Victoria Bonya. "Qui stiamo parlando del fatto - aggiunge l'influencer - che tutto questo porta a pessime conseguenze. E credo che noi dobbiamo difendere i nostri diritti! O per lo meno dobbiamo difendere il diritto a non essere disprezzate". "La donna stessa è un simbolo di vita, un simbolo di pace e amore. Per favore - conclude Victoria Bonya - pensateci così e non dimenticatevelo".

Cannes, la protesta contro i femminicidi in Francia

Victoria Bonya non è l'unica ad aver portato al Festival di Cannes 2022 una protesta in difesa delle donne. Se l'influencer ha cercato di difendere le donne russe, vittime secondo lei di discriminazione a causa della guerra in Ucraina, domenica 22 maggio le attiviste del movimento femminista "Les Colleuses" hanno portato sul red carpet una protesta contro i femminicidi in Francia. Sul red carpet le attiviste hanno sfilato con uno striscione con i nomi di 129 donne uccise dai mariti o dai compagni.
Al Festival di Cannes la protesta del movimento femminista "Les Colleuses" contro i femminici in Francia (Foto Ansa)
Con il pugno chiuso e il braccio alzato, con dei fumogeni neri e un lungo striscione bianco, il movimento femminista "Les Colleuses" ha così protestato per tutte quelle donne vittime di femminicidi in Francia. Camille, Léa, Nadine, Alexia, Elise sono solo alcuni dei 129 nomi che le attiviste hanno voluto portare sul red carpet del Festival di Cannes. La protesta del movimento femminista è avvenuta durante il red carpet per il film in concorso 'Holy Spider' di Ali Abbasi. Il film, non a caso, racconta una parte del movimento femminista francese dando voce alle giovanissime donne che lo animano, armate di lenzuola bianche e vernice nera, impegnate in una protesta che è soprattutto una campagna di azione e di sensibilizzazione contro la violenza domestica, il sessismo e la disuguaglianza di genere in Francia e in tutto il mondo.
Al Festival di Cannes la protesta del movimento femminista "Les Colleuses" contro i femminici in Francia (Foto Ansa)
La protesta del movimento "Les Colleuses" segue quella di venerdì 20 maggio, quando una ragazza si è denudata urlando slogan di protesta contro gli stupri delle donne ucraine ad opera dei soldati russi. L'attivista francese del collettivo SCUM si è introdotta sul red carpet del film di George Miller, 'Three thousand years of longing', e, nuda e imbrattata di vernice sul corpo con i colori della bandiera ucraina, la ragazza ha iniziato a gridare "Smettetela di violentarci", riferendosi alle notizie di stupri e torture perpetrate dalle forze russe in Ucraina.
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