Michela Murgia, scrittrice 51enne morta il 10 agosto, è stata, fino all'ultimo giorno, una voce libera. Ha portato avanti battaglie per i diritti e le libertà civili e personali, per le donne, per le persone queer, per le famiglie arcobaleno, per chi si batteva per la vita e per la morte. Per tuttə coloro che i propri diritti se li sono vistə calpestare, ignorare, cancellare troppe volte. Per il femminismo intersezionale.
Accogliere l'odio e continuare a lottare
Non si è mai piegata a compromessi, il suo pensiero, la sua intelligenza andavano "Molto veloce, in un paese lentissimo", come ha ricordato lo scrittore Nicola La Gioia nel suo cordoglio su Instagram. Una voce spesso fuori dal coro, quella di Murgia, anticipatrice di fenomeni, aspramente critica o autenticamente solidale, compresa, accolta ma anche contestata. Ma l'odio, per lei, non è mai stato un problema:
"Preferiva essere odiata che compatita. Non che l’odio non le pesasse: raccontò di aver vomitato per mesi, non per le cure ma come reazione appunto all’odio che avvertiva su di sé. Però non si sarebbe perdonata il silenzio, il restare zitta e indifferente davanti a quelle che considerava ingiustizie".
Così scrive Aldo Cazzullo, che con la sua magistrale intervista a maggio aveva raccontato la malattia della scrittrice e che oggi la ricorda dopo la scomparsa.
Abitare le contraddizioni
No, chi non era d'accordo con lei, che la pensava in maniera opposta, era accoltə, non respintə. "Abitare la contraddizione è il metodo che include. Negarla o peggio, fare il processo a chi secondo noi la porta, significa togliere forza a tutte, perché nel femminismo in cui ci riconosciamo, senza contraddizione non c’è nessuna. Se dovete scegliere, siate la porta, non la portinaia".In un lungo video su Instagram a luglio la scrittrice, piegata dalla malattia ma tutt'alto che stanca di lottare, di portare avanti le sue battaglie sociali, era riuscita a parlare di un tema a lei caro, per il quale aveva atteso per anni il momento giusto. "Il tema è la brutta abitudine, molto diffusa nel mondo femminista, di certificare il femminismo altrui". La 51enne, stanca di ricevere continuamente messaggi in cui le vengono segnalati errori o commenti inappropriati da parte di figure di spicco del movimento, ha deciso di affidare ai social il suo messaggio sulla questione, invitando tuttə ad adottare un atteggiamento di maggior comprensione e apertura. Invece di combattere tra di loro, lə femministə, secondo l'autrice di "Stai Zitta", dovrebbero concentrarsi sulla lotta comune contro coloro che promuovono politiche discriminatorie o inique. "Non ho mai dato la patente di femminismo e mai la darò. Riconosco la contraddizione di certe posizioni, ma vedo anche che è irrisolvibile perché è impossibile che non vi siano cortocircuiti interni", prosegue, riconoscendo la molteplicità e varietà di battaglie portate avanti che non devono screditarsi tra di loro. Murgia, inoltre, sottolinea che l'essere femminista "parte tutto da una ferita personale. Nessuno lo diventa perché non aveva altro da fare". E certo veder aggravare quella ferita da chi invece dovrebbe esserci sorella nella lotta, pur portandone avanti una propria, non è certo il modo migliore per ottenere la vittoria. "Ci sono certe persone che non hanno studiato, che a volte fanno dei pasticci, ma a modo loro raccontano comunque che certe cose le hanno capite. Non perdiamo tempo a squalificare chi lotta - conclude - non costruiamo una portineria del femminismo, perché i nemici sono altri, e fanno le leggi".Visualizza questo post su Instagram