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dislessia
Quando parliamo di dislessia ci riferiamo forse al più noto tra i Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) che, a causa delle particolari caratteristiche della persona portatrice, ostacola il normale processo di interpretazione dei segni grafici con cui si rappresentano per iscritto le parole. Nessun deficit cognitivo: il bambino - o l'adulto – dislessico è dotato di una intelligenza pienamente nella norma, non ha problemi fisici né psicologici, necessita solo di adeguate opportunità di apprendimento. In occasione della Settimana Nazionale della Dislessia (dal 2 all8 ottobre 2023), ne abbiamo discusso insieme a Filippo Barbera, trentacinquenne vicentino insegnante di scuola primaria specializzato in Psicopatologia dell’apprendimento e autore del nuovo volume della serie Erickson “Dislessia. Cosa fare e non. Guida rapida per insegnanti”.
“Imparare con più difficoltà non significa non essere in grado di apprendere – è la prima puntualizzazione che Barbera tiene a fare-. Piuttosto che “disturbo”, preferisco identificare la Dislessia come una caratteristica che porta con sé alcuni aspetti positivi e altri che possono evolvere in difficoltà, se erroneamente affrontati dall'ambiente sociale che circonda il bambino.” Dottor Barbera, lei stesso è dislessico. A che età se ne è accorto? “Me ne sono accorto nel '94, quando ho iniziato a frequentare la prima elementare. Avevo più difficoltà degli altri a leggere e scrivere, perciò la mia maestra iniziò ad osservarmi con maggior attenzione; poi volle convocare la mia famiglia per suggerire di sottopormi a visite specialistiche di approfondimento. Emerse un sospetto di DSA, confermato solo al III anno di primaria perché prima di allora non è possibile diagnosticarlo.” Come reagì a tutto questo? "Ero cosciente di essere differente dai miei compagni e questo senso di diversità mi metteva molta tensione addosso, ma per mia fortuna non sono stato mai lasciato solo nel mio percorso di apprendimento, né dalla famiglia né dalla maestra, che pur di aiutarmi a raggiungere lo stesso livello degli altri ha rivisto la didattica, prima con piccoli interventi, poi con operazioni sempre più mirate. La famiglia mi motivava e mi seguiva nei compiti. Diciamo che, in questi casi, l'importanza della diagnosi precoce e del sostegno scuola-famiglia sono essenziali.”
Come è nata la volontà di diventare un insegnante? “È figlia del mio percorso di studente, che è stato molto felice alla scuola primaria, ma profondamente negativo alla scuola media. Qui ho incontrato insegnanti che non avevano idea di cosa fossero i DSA, ma che soprattutto non hanno inteso informarsi e che, anzi, mi hanno fatto in molte occasioni sentire a disagio, sottolineando le mie difficoltà e dicendomi cose del tipo “Perché non ti registri mentre leggi? Così finalmente potrai capire lo strazio cui ci sottoponi ascoltandoti”.
Dislessia, gli errori comuni
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Filippo Barbera, insegnante di scuola primaria specializzato in Psicopatologia dell’apprendimento
Dai banchi alla cattedra per un desiderio di rivalsa
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Filippo Barbera insieme a un gruppo di studenti
"Alle medie, gli insegnanti mi facevano sentire a disagio"
"In un periodo delicato come quello che si attraversa tra gli undici e i tredici anni, commenti del genere mi hanno molto demotivato - continua Barbera - oltre a fare piazza pulita delle potenziali relazioni sociali che avrei potuto avere. Da adulto ho deciso di veicolare il più possibile il messaggio: “avere difficoltà non significa essere incapaci di apprendere”. Con la giusta attenzione e una buona dose di sensibilità, una caratteristica come la mia può trasformarsi persino in un punto di forza per la didattica. Alla fine, il desiderio di rivalsa mi ha portato verso l'insegnamento: in primo luogo agli insegnanti stessi, cui testimonio la mia esperienza e spiego l'importanza di utilizzare strategie personalizzate sui bambini che incontrano nel loro cammino. Nel mio libro, il messaggio che vorrei arrivasse ai bambini è: “voi potete essere tutto”. Io credo molto nel valore della testimonianza: ci sono tante storie di ragazzi dislessici che potrebbero essere di esempio.”"Cari insegnanti, non partite prevenuti"
Secondo la sua esperienza, cos'è che un insegnante non dovrebbe mai fare quando si imbatte in un bimbo dislessico? “La cosa più importante è non partire prevenuti. Se si crede che quel bambino più di tanto non potrà mai arrivare a fare, anche lo studente si convincerà di non potercela fare. Si deve essere disposti ad investire su di lui, a credere in lui, soprattutto a non fermarsi dinanzi a ciò che non va, ma imparare a rispettare i suoi tempi e i suoi ritmi, individuando e sperimentando strategie utili a fargli ottenere gli stessi risultati degli altri. Non bisogna criticare né usare l'errore in un'ottica di giudizio, insomma; perché quello stesso errore, caso mai, deve servire per ripensare la strategia utilizzata fino a quel momento. Non siamo macchine, abbiamo bisogno di sentimenti ed emozioni per sentirci motivati.”![dislessia-consigli-vademecum](https://luce.lanazione.it/wp-content/uploads/2023/10/Tempo-I-1-1024x681.jpg)