"La Dad non ci piace, non andiamo più a scuola". E i genitori finiscono davanti al giudice

di CLAUDIO CAPANNI -
16 aprile 2021
abbandonoScolastico2

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I figli in difficoltà con la scuola che decidono di non entrare in classe. E così tre coppie di genitori sono state denunciate e indagate e denunciate per abbandono scolastico in un capoluogo di provincia toscano. I loro figli dopo il primo lockdown, hanno detto ai genitori di non voler più entrare in classe o seguire le lezioni in Dad. E oggi queste famiglie sono strette tra due fuochi: da un lato la giustizia, dall’altro gli effetti della pandemia. Il reato contestato è la violazione dell’articolo 731 del codice penale: inosservanza dell’obbligo d’istruzione dei minori. Ma dietro c’è tutto il disagio vissuto dai figli che, seppur piccoli, avrebbero già perso la voglia di studiare. I tre procedimenti sono in corso e potrebbero terminare con una condanna soft: 30 euro d’ammenda per ogni famiglia. Il massimo della pena prevista per questo reato. I minorenni sono in tutto quattro. Hanno tra gli 8 e i 15 anni, non si conoscono fra loro e frequentano scuole diverse. Ma nel periodo tra settembre 2020 e febbraio 2021 hanno collezionato fra le 50 e le 80 assenze. Le motivazioni, secondo quanto spiegato dalle famiglie alle forze dell’ordine, hanno a che fare soprattutto con gli effetti del lockdown.  

“E’ dislessico, la dad lo distrugge”

Le crisi e difficoltà dei quattro alunni emergono nei verbali delle indagini. Come quelle di un 15enne. I genitori, convocati dalla Municipale dopo la segnalazione del preside, hanno ammesso: “Ha problemi con la didattica a distanza. Soffre di discalculia, disortografia e dislessia. Non ne può più: quando avrà 16 anni ha già detto che smetterà la scuola”. Difficoltà incontrate anche da un altro dei minori, un bimbo di 11 anni. In quinta elementare ha totalizzato oltre 70 giorni d’assenza. I genitori, nel 2021, hanno così scelto di ritirarlo da scuola. E fare da soli: “Provvederemo noi all’istruzione parentale, da casa” hanno detto mentre venivano ascoltati dalla Municipale. Anche in questo caso le motivazioni sono le difficoltà incontrate a seguire le lezioni durante gli stop and go causati da zone rosse, quarantene preventive in classe e la lunga pausa del primo lockdown di marzo. La scelta dei suoi genitori si chiama anche homeschooling ed è prevista dalla legge. Da marzo 2020, secondo l’Associazione Istruzione Familiare sono state almeno duemila le richieste di istruzione parentale da parte delle famiglie italiane. Le condizioni sono due: presentare comunicazione al dirigente scolastico. E, come dispone il d.lgs. 76 del 2005 “mostrare di averne la capacità tecnica o economica”. A fine anno, la famiglia che ha richiesto l’istruzione parentale per il proprio figlio, dovrà metterlo in grado di sostenere un esame di ammissione alla classe successiva.  

La denuncia dei presidi

Gli accertamenti sulle tre famiglie toscane sono scattati dopo la segnalazione di tre dirigenti scolastici di fronte alle troppe assenze. Il picco di vuoti sui registri elettronici, tra le 60 e le 80 assenze come ricostruito dalle indagini di Carabinieri e Polizia Municipale, è stato totalizzato fra lezioni in presenza e Dad negli ultimi sei mesi. Mesi in cui la Toscana, come altre regioni, ha ondeggiato più volte sul confine delle tre zone di rischio. Con almeno sei cambi di colore, da giallo a rosso, solo da novembre. Dai verbali emerge una situazione di disagio scolastico già esistente nei quattro alunni, tutti con storie di difficoltà nell’apprendimento presistenti. Che il lockdown di marzo e l’ingresso nella seconda ondata a partire dallo scorso novembre, avrebbero accentuato. Prima della segnalazione alle forze dell’ordine, i tre dirigenti scolastici avevano già convocato le famiglie avvisandole delle numerose assenze e chiedendo loro di rispettare l’obbligo di frequenza scolastica. Il minimo di presenze da totalizzare, per legge, è infatti di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato.   La mamma e i carabinieri Tra i quattro minori che si sono arresi, uno ha appena 8 anni. I genitori hanno raccontato alle forze dell’ordine di non essere riusciti ad opporsi al rifiuto. Entrare in aula gli era diventato insopportabile, nonostante l’aiuto di un neuropsichiatra. “Non vuole andarci per mancanza di volontà e non riusciamo a fargli cambiare idea” ha spiegato la madre ai Carabinieri. “Sicuramente ha inciso il lunghissimo periodo di lockdown”. La donna precisa ai militari anche di aver chiesto aiuto ai servizi sociali e a uno specialista. In questo caso i servizi sociali hanno chiesto l’intervento di un’educatrice a casa per alcune ore la settimana. Ma la situazione non si è sbloccata. Dopo la conclusione delle indagini a marzo, le tre famiglie sono state inviate di fronte al giudice di pace, autorità competente per questo tipo di reato. Starà a lui decidere ora se condannare i genitori.   La Comunità di Sant’Egidio: a rischio 1 su 4 Sul rischio dispersione scolastica da lockdown, l’allarme è stato lanciato già a gennaio dalla comunità di Sant’Egidio che ha svolto un’inchiesta su un campione di 2.800 minori appartenenti a 533 tra scuole elementari e medie. Tutti frequentano i centri pomeridiani della comunità in 12 regioni italiane. L’obiettivo era stimare la dispersione scolastica causata dal Covid in Italia. Il risultato: 1 minore su 4 è risultato a rischio dispersione. Mentre il numero di assenze ingiustificate è stato stimato in circa tre al mese. “Un bambino su due - si legge nel rapporto - avrebbe difficoltà a seguire le lezioni con la didattica a distanza. Anche tra i minori che frequentano regolarmente, le ore di scuola effettive sono molto ridotte. Si pensi che una scuola su nove ha osservato orario ridotto fino a dicembre”.