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Home » Lifestyle » “Mamma, sono Cora”. Storia di un bimbo che si sentiva bambina: famiglia e scuola lo hanno aiutato a diventare ciò che è

“Mamma, sono Cora”. Storia di un bimbo che si sentiva bambina: famiglia e scuola lo hanno aiutato a diventare ciò che è

A cinque anni confidò alla madre, poi al padre di non essere quello che il suo corpo indicava. I genitori, il fratellino, la nonna, i servizi sanitari hanno accompagnato il suo cammino senza procurargli danni psicologici. Poi è stata la volta dei compagni di classe, ad accoglierla con naturalezza. La storia di Cora è narrata nell'ambito del festival internazionale di fotografia Cortona On The Move

Sofia Francioni
15 Settembre 2021
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L’identità di genere non è determinata dall’insieme di informazioni cromosomiche, dagli organi genitali o dalle capacità riproduttive, ma risponde alla domanda più umana e universale di tutte: “Chi sono io?”. Nel 2016, in Spagna, quando prima di addormentarsi un bambino di appena 5 anni se lo domandava, la risposta notte dopo notte era sempre la stessa: “Sono Cora”. Sua madre non dimenticherà mai il giorno in cui al parco suo figlio le disse di essere in realtà una bambina. Ma “nessuno mi vede”, le confidò passeggiando. In quell’istante Ana si rese conto che quella tristezza, quel disagio espresso, non potevano più essere ignorati, così si chinò verso di lui e gli disse: “Devi parlare con papà”. Tre giorni dopo quella frase, il telefono di Ana squillò: “Me l’ha detto oggi, mentre andavamo a scuola”, la voce era quella di Ramon, suo marito.

Storicamente, il primo luogo di esclusione di un’esperienza trans è la famiglia: ma non sempre è così. Nel caso di Cora, dopo il sostegno dei suoi genitori, è arrivato anche quello di suo fratello Marc, che ha il nome scelto da sua sorella tatuato sul braccio, e di sua nonna. Casalinga e vedova da anni, quando sua figlia Ana si presentò a casa sua per dirle che suo nipote d’ora in poi sarebbe stata una bambina, rispose: “Una bambina? Cora? Beh, allora è così. Non fa alcuna differenza”. Tenendo sotto la manica del suo maglione un nastro blu, bianco e rosa, come i colori bandiera trans, racconta di fronte alla telecamera: “I primi giorni è stato un po’ difficile per me non sbagliare ed evitare di chiamarla con il vecchio nome, ma è perché sono anziana e confondo sempre tutti i nomi. L’amore di una nonna è lo stesso”. E aggiunge: “Auguro a mia nipote che il suo futuro sia felice e che non si lasci sopraffare”.

 

Transizione e famiglia 

 

I transgender sono sempre esistiti, quello che non esisteva prima erano delle famiglie pronte a supportarli. Intraprendere la transizione di genere da bambino non era cosa comune fino a qualche anno fa, ma gli esperti del settore non lo considerano sconveniente: “Se una bambina o un bambino mostrano molto chiaramente che l’identità di genere che sentono è diversa, perché non dovrebbero iniziare la transizione?”, dichiara Nuria Asenjo dell’Unità di Identità di Genere dell’Ospedale Ramón y Cajal di Madrid. Mentre Sore Vega di Tránsit, l’ufficio dell’Istituto catalano della Salute dedicato alla transessualità, sostiene: “Ogni persona, indipendentemente da come costruisce la propria identità, la struttura fin dalla più tenera età, eppure questo processo viene messo in discussione solo se si fa in ciò che si considera il senso opposto, contrario al genere assegnato alla nascita”. Vega propone di “ascoltare e accompagnare i bambini, affinché possano prendere decisioni a partire da un contesto di autonomia” ed evitare “i danni che possono essere causati dalla negazione dell’identità di un bambino”.

Le ricerche più recenti mostrano che la differenza tra accompagnare un bambino trans o negare la sua identità può essere in alcuni casi questione di vita o di morte. Nello studio Injustice at Every Turn. A Report of the National Transgender Discrimination Survey, dei transessuali adulti parlano di un’infanzia perduta a causa della negazione della loro identità, che comporta come conseguenza un rischio di suicidio del 41% (rispetto all’1,6% della popolazione generale). Inoltre, storicamente, invecchiare per la popolazione trans significava spesso farlo da soli e subire le conseguenze della disparità economica, sanitaria, educativa, lavorativa e sociale: lo studio Identification of factors of labor insertion of transgender people, conferma che la percentuale di esclusione lavorativa tra le persone transgender è di circa il 60%.

 

Nel mondo là fuori 

 

Sentirsi riconosciuta, valorizzata e accompagnata dentro e al di fuori del suo nucleo familiare è stato fondamentale per la crescita di Cora. “Durante il primo giorno in cui è stata riconosciuta, uscimmo in strada con una paura terribile, non volevamo lasciarla andare”, ricorda il padre. Ma Cora, felicissima, si avvicinò al portone della sua scuola e la sua amica Shannon, quando la vide arrivare, gridò: “Ciao, Coraaaa!”. E anche gli altri compagni iniziarono a chiamarla così. La scuola, dopo la casa, è il secondo luogo più importante per il pieno sviluppo di una persona. Le istituzioni scolastiche, che storicamente non sono state di supporto ai bambini trans, sono decisive quando si tratta di accompagnare un’esperienza trans in classe e promuovere un’educazione di genere più aperta, plurale, diversificata e fluida. Nella scuola di Cora non avevano esperienza in materia, ma hanno ricevuto una formazione e poi hanno deciso di convocare una riunione per parlare di identità di genere. “Quando ha sentito tutti chiamarla Cora è stato molto bello. Era un giorno importante. Da quel momento in poi, tutti cambiarono”, ricorda l’insegnante dell’epoca, Elisenda Dunyó, che raccontò in classe la storia di una ragazza che era stata scambiata per un maschio alla nascita. “I bambini hanno preso il cambiamento in modo naturale: sono intuitivi e in qualche modo l’avevano già notato. Non sembravano farci un caso”.

“In quei giorni, Cora andava al parco giochi e correva e correva. E il cortile della nostra scuola è minuscolo. Ma lei comunque correva. Bisognava vederla, che sensazione di libertà che trasmetteva!”. Come se essere vista da tutti per quello che sentiva di essere  le avesse messo le ali.

La storia che vi abbiamo raccontato è stata ripresa dalla mostra “Cora’s courage”, esposta durante il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move (aperto fino al 3 ottobre). Interviste, alcuni estratti e tutte le fotografie sono di Gabo Caruso, fotogiornalista e comunicatrice visiva, nata a Buenos Aires.

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  • Aumentano, purtroppo, gli episodi di bullismo e cyberbullismo. 

I minori vittime di prepotenze nella vita reale, o che le abbiano subite qualche volta sono il 54%, contro il 44% del 2020. Un incremento significativo, di ben 10 punti, che deve spingerci a riflettere. 

Per quanto riguarda il cyber bullismo, il 31% dei minori ne è stato vittima almeno una volta, contro il 23% del 2020. Il fenomeno sembra interessare più i ragazzi delle ragazze sia nella vita reale (il 57% dei maschi è stato vittima di prepotenze, contro il 50% delle femmine) sia in quella virtuale (32% contro 29%). Nel 42% si tratta di offese verbali, ma sono frequenti anche violenze fisiche (26%) e psicologiche (26%).

Il 52% è pienamente consapevole dei reati che commette se intraprende un’azione di bullismo usando internet o lo smartphone, il 14% lo è abbastanza, ma questo non sembra un deterrente. Un 26%, invece, dichiara di non saperne nulla della gravità del reato. Intervistati, con risposte multiple, sui motivi che spingono ad avere comportamenti di prepotenza o di bullismo nei confronti degli altri, il 54% indica il body shaming. 

Mentre tra i motivi che spingono i bulli ad agire in questo modo, il 50% afferma che così dimostra di essere più forte degli altri, il 47% si diverte a mettere in ridicolo gli altri, per il 37% il bullo si comporta in questo modo perché gli piace che gli altri lo temano.

Ma come si comportano se assistono a episodi di bullismo? Alla domanda su come si comportano i compagni quando assistono a queste situazioni, solo il 34% risponde “aiutano la vittima”, un dato che nel 2020 era il 44%. 

Un calo drastico, che forse potrebbe essere spiegato con una minore empatia sociale dovuta al distanziamento sociale e al lockdown, che ha impedito ai minori di intessere relazioni profonde. Migliora, invece, la percentuale degli insegnanti che, rendendosi conto di quanto accaduto, intervengono prontamente (46% contro il 40% del 2020). Un 7%, però, dichiara che i docenti, sebbene si rendano conto di quanto succede, non fanno nulla per fermare le prepotenze.

I giovanissimi sono sempre più iperconessi, ma sono ancora in grado di legarsi?

#lucenews #giornatacontroilbullismo
  • “Non sono giorni facilissimi, il dolore va e viene: è molto difficile non pensare a qualcosa che ti fa male”. Camihawke, al secolo Camilla Boniardi, una delle influencer più amate del web si mette ancora una volta a nudo raccontando le sue insicurezze e fragilità. In un post su Instagram parla della tricodinia. 

“Se fosse tutto ok, per questa tricodinia rimarrebbe solo lo stress come unica causa e allora dovrò modificare qualcosa nella mia vita. Forse il mio corpo mi sta parlando e devo dargli ascolto."

La tricodinia è una sensazione dolorosa al cuoio capelluto, accompagnata da un bruciore o prurito profondo che, in termini medici, si chiama disestesia. Può essere transitoria o diventare cronica, a volte perfino un gesto quotidiano come pettinarsi o toccarsi i capelli può diventare molto doloroso. Molte persone – due pazienti su tre sono donne – lamentano formicolii avvertiti alla radice, tra i follicoli e il cuoio capelluto. Tra le complicazioni, la tricodinia può portare al diradamento e perfino alla caduta dei capelli. 

#lucenews #lucelanazione #camihawke #tricodinia
  • Dai record alle prime volte all’attualità, la 65esima edizione dei Grammy Awards non delude quanto a sorprese. 

Domenica 5 febbraio, in una serata sfavillante a Los Angeles, la cerimonia dell’Oscare della musica della Recording Academy ha fatto entusiasmare sia per i big presenti sia per i riconoscimenti assegnati. 

Intanto ad essere simbolicamente premiate sono state le donne e i manifestanti contro la dittatura della Repubblica Islamica: “Baraye“, l’inno delle proteste in Iran, ha vinto infatti il primo Grammy per la canzone che ispira cambiamenti sociali nel mondo. Ad annunciarlo dal palco è stata nientemeno che  la first lady americana Jill Biden.

L’autore, il 25enne Shervin Hajipour, era praticamente sconosciuto quando è stato eliminato dalla versione iraniana di American Idol, ma la sua canzone è diventata un simbolo delle proteste degli ultimi mesi in Iran evocando sentimenti di dolore, rabbia, speranza e desiderio di cambiamento. Hajipour vive nel Paese in rivolta ed è stato arrestato dopo che proprio questo brano, a settembre, è diventata virale generando oltre 40 milioni di click sul web in 48 ore.

#lucenews #grammyawards2023 #shervinhajipour #iran

L’identità di genere non è determinata dall’insieme di informazioni cromosomiche, dagli organi genitali o dalle capacità riproduttive, ma risponde alla domanda più umana e universale di tutte: “Chi sono io?”. Nel 2016, in Spagna, quando prima di addormentarsi un bambino di appena 5 anni se lo domandava, la risposta notte dopo notte era sempre la stessa: “Sono Cora”. Sua madre non dimenticherà mai il giorno in cui al parco suo figlio le disse di essere in realtà una bambina. Ma “nessuno mi vede”, le confidò passeggiando. In quell’istante Ana si rese conto che quella tristezza, quel disagio espresso, non potevano più essere ignorati, così si chinò verso di lui e gli disse: “Devi parlare con papà”. Tre giorni dopo quella frase, il telefono di Ana squillò: “Me l’ha detto oggi, mentre andavamo a scuola”, la voce era quella di Ramon, suo marito.

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Le ricerche più recenti mostrano che la differenza tra accompagnare un bambino trans o negare la sua identità può essere in alcuni casi questione di vita o di morte. Nello studio Injustice at Every Turn. A Report of the National Transgender Discrimination Survey, dei transessuali adulti parlano di un’infanzia perduta a causa della negazione della loro identità, che comporta come conseguenza un rischio di suicidio del 41% (rispetto all’1,6% della popolazione generale). Inoltre, storicamente, invecchiare per la popolazione trans significava spesso farlo da soli e subire le conseguenze della disparità economica, sanitaria, educativa, lavorativa e sociale: lo studio Identification of factors of labor insertion of transgender people, conferma che la percentuale di esclusione lavorativa tra le persone transgender è di circa il 60%.

 

Nel mondo là fuori 

 

Sentirsi riconosciuta, valorizzata e accompagnata dentro e al di fuori del suo nucleo familiare è stato fondamentale per la crescita di Cora. “Durante il primo giorno in cui è stata riconosciuta, uscimmo in strada con una paura terribile, non volevamo lasciarla andare”, ricorda il padre. Ma Cora, felicissima, si avvicinò al portone della sua scuola e la sua amica Shannon, quando la vide arrivare, gridò: “Ciao, Coraaaa!”. E anche gli altri compagni iniziarono a chiamarla così. La scuola, dopo la casa, è il secondo luogo più importante per il pieno sviluppo di una persona. Le istituzioni scolastiche, che storicamente non sono state di supporto ai bambini trans, sono decisive quando si tratta di accompagnare un’esperienza trans in classe e promuovere un’educazione di genere più aperta, plurale, diversificata e fluida. Nella scuola di Cora non avevano esperienza in materia, ma hanno ricevuto una formazione e poi hanno deciso di convocare una riunione per parlare di identità di genere. “Quando ha sentito tutti chiamarla Cora è stato molto bello. Era un giorno importante. Da quel momento in poi, tutti cambiarono”, ricorda l’insegnante dell’epoca, Elisenda Dunyó, che raccontò in classe la storia di una ragazza che era stata scambiata per un maschio alla nascita. “I bambini hanno preso il cambiamento in modo naturale: sono intuitivi e in qualche modo l’avevano già notato. Non sembravano farci un caso”.

“In quei giorni, Cora andava al parco giochi e correva e correva. E il cortile della nostra scuola è minuscolo. Ma lei comunque correva. Bisognava vederla, che sensazione di libertà che trasmetteva!”. Come se essere vista da tutti per quello che sentiva di essere  le avesse messo le ali.

La storia che vi abbiamo raccontato è stata ripresa dalla mostra “Cora’s courage”, esposta durante il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move (aperto fino al 3 ottobre). Interviste, alcuni estratti e tutte le fotografie sono di Gabo Caruso, fotogiornalista e comunicatrice visiva, nata a Buenos Aires.

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